La trasferta del ministro della Difesa russo suggerisce l’importanza che stanno assumendo i rapporti tra Mosca e Pyongyang. Oltre a sostenersi reciprocamente sul piano materiale, i due Paesi mirano a costruire un fronte diplomatico comune che ha come minimo comune denominatore l’antagonismo a Washington
Il 70° anniversario della fine della Guerra di Corea, celebrato nella metà settentrionale del Paese come il “Giorno della Vittoria” ha fornito il pretesto a Mosca per una visita diplomatica che non sembra affatto essere solamente di cortesia. Non a caso, per guidare la delegazione russa a Pyongyang è stato scelto il ministro della Difesa Sergei Shoigu, uscito vittorioso (almeno per il momento) dallo scontro con il capo della Wagner Yevgeny Prigozhin: è la prima volta che un Ministro della Difesa moscovita si reca in Corea del Nord sin dai tempi della caduta dell’Unione Sovietica.
Allo stesso tempo, la visita del plenipotenziario russo rappresenta per il regime di Kim Jong Un la prima occasione di accogliere una delegazione diplomatica di alto livello in seguito alla chiusura ermetica dei confini ordinata dal leader nordcoreano per far fronte alla minaccia del Coronavirus.
Le dichiarazioni del ministro di Putin al riguardo sono molto eloquenti. “Sono convinto che i colloqui di oggi contribuiranno a rafforzare la cooperazione tra le nostre agenzie di difesa”, afferma Shoigu in un comunicato rilasciato dagli organi ufficiali del ministero della Difesa.
Una cooperazione che trova le sue origini nell’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022, in seguito alla quale la Russia si è trovata in uno stato di isolamento diplomatico e commerciale, con le sanzioni occidentali che la deprivavano dell’accesso a mercati fondamentali per il sostenimento dello sforzo bellico. Questa nuova realtà delle cose ha costretto Mosca a collaborare, più volente che nolente, con gli altri stati “pariah” del sistema internazionale come l’Iran o, appunto, la Corea del Nord.
Già nell’autunno del 2022, a pochi mesi dall’inizio delle operazioni militari, funzionari del governo americano denunciavano l’invio alle forze russe impegnate al fronte di materiale bellico, e nella fattispecie di razzi e missili per la fanteria, prodotto in Corea del Nord. Nei mesi successivi questo tipo di esportazioni sembra non essere affatto cessato, aumentando anche d’intensità ed estendendosi ad altri tipi di prodotti, come le classiche munizioni a frammentazione.
Dal canto suo, Mosca ha ripagato queste forniture militari rifornendo Pyongyang con beni di prima necessità come il cibo, costantemente carente in Nord Corea, e petrolio, il cui afflusso verso lo stato guidato da Kim è aumentato negli ultimi mesi.
Una cooperazione già strutturata, dunque, che si rispecchia anche in un reciproco sostegno diplomatico. La Corea del Nord ha prontamente espresso il suo sostegno all’invasione all’indomani dell’inizio delle operazioni militari, affermando che la guerra fosse stata causata dalla “politica egemonica” e “prepotente” degli Stati Uniti. Pochi mesi dopo è stato uno dei cinque Paesi (insieme a Siria, Bielorussia e Nicaragua, oltre che ovviamente alla Russia) ad opporsi alla risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che condannava l’azione militare.
In occasione della visita della sua controparte russa, il ministro della Difesa coreano Kang Sun Nam come le forze armate dei due Paesi stiano combattendo “nella stessa trincea” all’interno della “lotta anti-imperialistica”.
In concomitanza con il viaggio di Shoigu, anche una delegazione cinese si è recata a Pyongyang per celebrare l’anniversario della fine del conflitto coreano. Il fatto che soltanto Mosca e Pechino abbiano inviato una rappresentanza diplomatica non passa certo inosservato: non in pochi vedono in questa circostanza un’ulteriore conferma della nascita di un nuovo blocco nella regione asiatica, nato con lo scopo di opporsi alla presenza statunitense degli Stati Uniti e dei suoi alleati nel teatro pacifico.