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Simbologia e competizione. Kissinger a Pechino, visto da Del Pero

Kissinger non basterà stavolta? Per Del Pero (SciencesPo), la visita in Cina dell’ex Segretario di Stato ha evidenziato ciò che Pechino vorrebbe dal rapporto con Washington, ma che difficilmente adesso otterrà

“La simbologia della visita di Henry Kissinger è evidente e probabilmente costituisce anche l’aspetto più significativo dei suoi incontri con Xi Jinping e altri leader cinesi. A Pechino serve per rimarcare come relazioni diverse, e meno conflittuali, con gli Stati Uniti siano possibili laddove questi ultimi accettino lo status di grande potenza della Cina e adottino una prosaica realpolitik (kissingeriana) in cui i legittimi interessi cinesi siano riconosciuti, si mettano da parte velleitarie crociate democratiche e umanitarie, e si lavori di comune accordo al mantenimento di una stabilità globale, che per Pechino è minacciata proprio dagli Stati Uniti”. Mario Del Pero, docente di Storia Internazionale e Storia della politica estera statunitense all’Institut d’études politiques di Parigi (SciencesPo), ragiona con Formiche.net sulla missione cinese dell’iconico ex Segretario di Stato, inquadrata in un forcing diplomatico mosso da Washington verso Pechino.

L’amministrazione Biden ha trascorso la maggior parte del 2023 cercando di riprendere i contatti di alto livello con i suoi omologhi di Pechino, dopo che un pallone spia cinese fuori controllo ha fatto esplodere le relazioni tra i due Paesi. Per Washington un ritorno agli scambi diplomatici regolari è fondamentale come forma di gestione delle tensioni. E non a caso negli ultimi mesi, il segretario di Stato Antony Blinken, la segretaria al Tesoro Janet Yellen e l’inviato presidenziale speciale per il clima John Kerry si sono tutti recati a Pechino. Infine, quasi in contemporanea, è toccato a Kissinger essere ospitato. Perché?

“A Kissinger la visita serve per stare sotto quei riflettori che anche a 100 anni compiuti continua ad agognare, per fare un po’ di pedagogia pubblica su come si debba condurre la politica estera, per criticare la naïveté degli americani”, risponde Del Pero. “E forse, ma questo non lo sapremo mai, per portare a Xi il messaggio di pezzi di una comunità imprenditoriale che da decenni paga lautamente le consulenze della sua Kissinger Associates e che sappiamo guardare con grande, e comprensibile, preoccupazione al deterioramento dei rapporti tra le due grandi potenze dell’ordine internazionale corrente”.

Per Pechino, c’è anche un elemento ulteriore: dimostrare che Kissinger è un grande politico accolto come “grande amico della Cina”, con rispetto e apertura (anche chiaramente forzati), mentre figure come Blinken e gli altri dell’amministrazione statunitense sono considerati di livello inferiore. I risultati degli incontri infatti sono stati misti. La risposta della Cina alle visite dei funzionari current è stata corretta ma non calorosa. La Cina non è fredda nei confronti di tutti gli americani, però è interessata a trattare solo materie di carattere economico e commerciale, come dimostra l’attenzione riservata a Yellen, notevolmente superiore a quella concessa a figure come Blinken. O addirittura all’assenza di contatti tra il capo del Pentagono e il ministro della Difesa, Li Shangfu, sanzionato dagli Usa — che però ha incontrato Kissinger.

Molte delle differenze di approccio si ritrovano nelle frasi del capo della diplomazia del Partito Comunista Cinese, Wang Yi, rilasciate dopo l’incontro con l’ex segretario: “Ha dato un contributo storico a rompere il ghiaccio nelle relazioni tra Cina e Stati Uniti e ha svolto un ruolo insostituibile nel migliorare la comprensione tra i due Paesi”. Xi è stato ancora più caloroso: “Il popolo cinese non dimentica mai i suoi vecchi amici e le relazioni sino-americane saranno sempre legate al nome di Henry Kissinger”. Memoria, storia, riconoscenza, comprensione. Pechino denuncia l’assenza del clima che questi concetti possono creare; Washington sostiene che quel clima è irriproducibile attualmente perché nei fatti è la Cina a non rispettare regole condivise.

Il contrasto era evidente tra il calore mostrato alla prestigiosa Diaoyutai State Guesthouse, e l’atmosfera più fredda alla Grande Sala del Popolo, dove gli ufficiali di Biden si sono incontrati con i loro omologhi. La Repubblica popolare è un’istituzione cerimoniale: il protocollo, la forma, conta quanto la sostanza e il messaggio era chiaro. Meglio Kissinger che l’amministrazione attuale — e probabilmente anche la prossima. E Kissinger, nonostante tutto il suo prestigio e nonostante abbia viaggiato informando l’amministrazione, non agirà come canale di comunicazione secondario per negoziati tra Stati Uniti e Cina. Lo ha sottolineato il dipartimento di Stato, evidenziando che “Super-K” stava viaggiando come cittadino privato e non sotto l’egida del governo degli Stati Uniti. 

Per capire la prospettiva di Pechino, è importante ricordare che il clima politico a Washington si è radicalmente voltato contro il Partito\Stato negli ultimi dieci anni. Nonostante si parli di polarizzazione della politica estera americana, una delle poche aree di consenso bipartisan recente è stata quella di considerare la Cina come un rivale assoluto piuttosto che un potenziale partner. Questo è iniziato alla fine dell’amministrazione Obama. L’amministrazione Trump ha aumentato l’ostilità, evidenziando le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang, rafforzando il sostegno a Taiwan e avviando un confronto commerciale sempre più spinto.

Nei primi due anni dell’amministrazione Biden, se possibile, si è accelerata la ritirata dall’approccio di coinvolgimento e il passaggio alla competizione strategica. Questo è diventato evidente nel primo incontro dell’era Biden tra funzionari di alto livello cinesi e statunitensi ad Anchorage, in Alaska, nel marzo 2021. L’atmosfera nella stanza era più fredda della temperatura esterna, spiegavano le fonti ai tempi. Dopo che i funzionari cinesi hanno criticato i loro omologhi statunitensi, Blinken aveva risposto che gli Stati Uniti avrebbero continuato a difendere i propri valori e interessi. Questo scambio ha dato il tono alle relazioni tese tra i due Paesi.

In questo contesto, la calorosa accoglienza di Henry Kissinger in Cina è significativa. Kissinger, che ha svolto un ruolo chiave nella normalizzazione delle relazioni tra Stati Uniti e Cina negli anni ’70, è ancora molto rispettato in Cina. La sua visita ha offerto alla leadership cinese l’opportunità di sottolineare l’importanza di mantenere il dialogo e la cooperazione, ma con “caratteristiche cinesi”. È infatti difficile che, sebbene ipotetici buoni propositi, si assista presto a un cambiamento nelle dinamiche generali delle relazioni tra Stati Uniti e Cina. Le questioni fondamentali che dividono i due Paesi, come il commercio, i diritti umani e la competizione geopolitica, rimangono irrisolte. L’approccio dell’amministrazione Biden nei confronti della Cina è ancora incentrato sulla competizione e sull’affrontare le aree di preoccupazione.

Fino alla crisi del 2008, c’è stata una cosiddetta lunga luna di miele tra Washington e Pechino, ma a quanto pare le condizioni e i compromessi su cui quella fase era poggiata non sono più accettabili (o praticabili) per entrambe le parti. Ma allora, cosa muove questi contatti? Per Del Pero, c’è innanzitutto una dimensione strategica, legata alla volontà di non stimolare un ulteriore riavvicinamento della Cina alla Russia ovvero di coinvolgere gradualmente Pechino nel gioco diplomatico che si sviluppa attorno al conflitto ucraino. “Vi sono inoltre le pressioni, fattesi vieppiù esplicite, di pezzi importanti del mondo imprenditoriale statunitense, preoccupato dagli effetti destabilizzanti di uno scontro Usa-Cina su un’economia globale di suo contestata e in sofferenza, e spesso direttamente coinvolto in catene di produzione nelle quali la Cina svolge ancora un ruolo centrale. Vi è, infine, la consapevolezza pienamente politica che si è giunti a una soglia di rischio assai elevata, con un Congresso e un’opinione pubblica dove sempre più forti e popolari sono posizioni anti-cinesi o, addirittura, sinofobiche, che, se pienamente legittimate, rischiano di alimentare una spirale che potrebbe davvero andare fuori controllo”.

Quello a cui l’amministrazione Biden pare oggi puntare è la stabilizzazione di un canale di comunicazione per gestire in qualche modo la competizione, che in sostanza significa ridurre il rischio e salvaguardare in una certa misura i reciproci interessi. “Dovrà, questa amministrazione così come quella che seguirà, sostanziare le richieste che vengono dall’elettorato per ridurre l’interdipendenza con la Cina e promuovere politiche di re-industrializzazione, quanto meno in alcuni ambiti”, aggiunge il professore di SciencesPo. “A dispetto degli interessi economici in ballo, e delle tante lobbies che li rappresentano, costrizioni politico-elettorali e nuove visioni strategiche sembrano spingere inesorabilmente verso forme di disaccoppiamento delle due economie, e di questo sembrano essere consapevoli gli stessi cinesi”.


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