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La spunta blu e l’eguaglianza. La riflessione di Celotto

La rete ci è tanto piaciuta non soltanto perché è di facile accesso, ma anche perché è nata libera e con l’impressione che nel mondo digitale fossimo davvero tutti uguali. Invece il poter pagare per accedere a una classe di servizi superiore, ci fa capire che anche il mondo digitale finisce per replicare quello reale… Il commento di Alfonso Celotto

Per anni la spunta blu sui social network è stato un segno distintivo. Soltanto i profili rilevanti e verificati la ottenevano. Dal punto di vista dei social, era un modo per garantire che il profilo di Chiara Ferragni o della Nike fosse veramente autentico. Ma per noi utenti normali è subito diventato uno status symbol. Così noi guardavamo con grande ammirazione e un po’ di invidia a quel segnetto colorato accanto ai nomi di personaggi famosi, bravi influencer, grandi aziende. Con lo stesso sguardo con cui possiamo guardare una Ferrari sgargiante o una borsetta di Hermes.

In fondo ottenere la spunta blu significava essere arrivati, famosi.

Ma negli ultimi mesi le cose sono cambiate.

Ha iniziato Twitter con la spunta blu a pagamento. Chi non vorrebbe spendere una decina di dollari al mese per essere immediatamente segnato con la stessa spunta dei Vip. Ovviamente anche Instagram e Facebook l’hanno subito seguito, con la spunta a pagamento. Un successo clamoroso. Instagram pare che ne abbia vendute 44 milioni in poche settimane. Cioè circa 600 milioni di incasso al mese.

Potremmo lungamente commentare sul fatto che molti di noi spendono volentieri un po’ di soldi in più per apparire famosi. Ma il punto è un altro. Perché ora Twitter ha iniziato a differenziare i servizi per chi ha la spunta blu: cioè soltanto chi ha comprato la spunta blu può mandare tweet più lunghi, rispondere a più messaggi diretti, accedere a liste più ampie e così via.

È il segnale che il mondo di internet si sta trasformando profondamente.

La rete ci è tanto piaciuta non soltanto perché è di facile accesso, ma anche perché è nata libera e con l’impressione che nel mondo digitale fossimo davvero tutti uguali. Invece il poter pagare per accedere a una classe di servizi superiore, ci fa capire che anche il mondo digitale finisce per replicare quello reale anche nel divario fra ricchi e poveri. E che quindi molto dovremo combattere per una maggiore eguaglianza anche nella rete.


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