Da un’analisi di Forbes è emerso come da ottobre ad oggi sono stati pubblicizzati oltre un migliaio di post a difesa delle politiche sul Covid-19, della bellezza naturalistica dello Xinjiang – senza menzionare ciò che accade alla minoranza musulmana uigura – oltre alle critiche contro Stati Uniti e Unione europea per le reticenze sulla Via della Seta. Un episodio che rafforza i sospetti sul legame tra la piattaforma e il Partito comunista cinese
Un uomo balla una danza tradizionale, con sotto la scritta “lo Xinjiang è un bel posto”. Una campagna per incentivare il turismo nella regione musulmana, la cui cultura viene celebrata come nulla fosse. Gatti che giocano tra di loro sulla Grande Muraglia cinese. Una difesa a spada tratta delle politiche di contenimento del Covid-19 decise da Pechino. Una critica feroce ai media occidentali e, nel particolare, delle reticenze statunitensi ed europee sulla Via della Seta. Questi sono solamente alcuni dei contenuti che TikTok ha fatto circolare negli ultimi mesi sui dispositivi occidentali, promuovendo temi e argomenti che circolano spesso sui canali di comunicazione, raccontandoli però a favore del governo centrale. È quanto emerge da un’analisi portata avanti da Forbes, iniziata nell’ottobre del 2022 e terminata pochi giorni fa, riscontrando durante questo periodo oltre un migliaio di annunci di questa natura.
A vedere tali contenuti sponsorizzati da Pechino sono stati milioni di utenti europei – Austria, Belgio, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca e Ungheria i Paesi interessati – ma, come al solito, avere la certezza che dietro ci sia il governo cinese è impossibile. Tuttavia, la loro esistenza è innegabile e il fatto che abbiano toccato questioni scottanti e delicate, con una narrazione perfettamente allineata alla linea governativa cinese, è sicuramente un elemento su cui non si può sorvolare.
La regione dello Xinjiang è ormai nota più per le violazioni dei diritti umani ai danni della minoranza musulmana uigura, che per le sue bellezze naturalistiche. Eppure, nei contenuti pubblicizzati, niente lasciava pensare a un qualche tipo di sopruso nei confronti di queste persone. Sono stati promossi dei tour nella regione e in un video un giornalista mostrava la costruzione di una scuola, proprio laddove l’Australian Strategic Policy Institute aveva osservato la costruzione di sei strutture carcerarie.
“TikTok non mostra annunci politici o elettorali sulla piattaforma. Pertanto, non sarà possibile trovarne di natura politica nella Commercial Content Library”, si legge sul sito. E lo stesso ha recitato il portavoce della piattaforma di ByteDance, Jamie Favazza, precisando come “gli enti governativi possono essere idonei a fare pubblicità se lavorano con un rappresentante commerciale di TikTok”. Alle domande specifiche sugli annunci, però, non ha proferito parola.
Per diffondere tranquillità soprattutto nelle istituzioni, il social network ha deciso di accodarsi alle altre Big Tech, come Meta e Google, etichettando gli account gestiti dal governo, così che gli utenti possano essere consapevoli di ciò che sta passando sotto i loro occhi. Con una differenza sostanziale: alcuni media quali il Global Times e il People’s Daily, noti per essere un megafono del governo pechinese, non vengono riconosciuti come organi statali e, pertanto, i loro post non vengono bollati in alcuna maniera. Va da sé, dunque, che tutto ciò che pubblicano viene considerato oggettivo. Così, su 124 annunci promossi dai media statali, 92 facevano riferimento allo Xinjiang senza tuttavia raccontare ciò che accade alla popolazione musulmana locale.
La notizia complicherà ancor di più le trattative con Stati Uniti ed Unione europea, che non si fidano di TikTok ma anzi la accusano di essere uno strumento di politica estera in mano al Partito Comunista Cinese. Con Washington è ancora tutto aperto anche se la strada per arrivare a un accordo è in salita – inevitabilmente sempre più ripida se continuano a susseguirsi storie come quella riportata da Forbes – mentre con Bruxelles ci sono delle nuove regole (il Digital Services Act) che stringono le maglie dei controlli, complicando la vita alla piattaforma. Che, va ricordato, è stata vietata per i funzionari delle istituzioni europee ed americane per la paura di un potenziale spionaggio.
Il rapporto tra politica e TikTok è stato al centro del dibattito anche qualche mese fa, quando l’Alliance for Securing Democracy aveva notato che, mentre il Ceo Shou Zi Chew era intento a rispondere alle domande del Congresso di Capito Hill, i funzionari del governo di Xi Jinping inondavano Twitter – il loro social preferito – di commenti negativi nei confronti dei loro omologhi statunitensi.
Oppure, come suggeriva l’attore comico e podcaster newyorkese Andrew Schultz, “in Cina l’algoritmo non premia le persone che fanno stupidi balletti e giocano con il loro cane”. Piuttosto, diffonde ciò che le autorità cinesi vogliono mostrare ai loro cittadini, trasformando ad esempio questioni scientifiche in argomenti masticabili da tutti. A quanto pare, anche all’estero Pechino fa vedere ciò che più le conviene.