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La transizione energetica è partita, ma serve una stima dei suoi effetti macroeconomici

Siamo di fronte a scelte che hanno messo in moto meccanismi decisivi di cambiamento dei paradigmi tecnologici e del quadro complessivo dell’economia. Gli operatori stanno cambiando le proprie scelte ed è opportuno considerarne le conseguenze piuttosto che fermarsi e guardare indietro. L’economista Jean Pisani-Ferry ha appena consegnato un rapporto alla premier francese Elisabeth Borne che ha sollevato molta discussione. Ci ripromettiamo di farlo per l’Italia, con il Gruppo dei 20, alla ripresa autunnale

Il sospiro di sollievo tirato dai paesi europei per aver superato meglio del previsto la crisi dei prezzi e degli approvvigionamenti di energia non deve far dimenticare che è in corso una transizione energetica la cui evoluzione è tutt’altro che definita e richiede un forte impegno per realizzarla rendendone espliciti timing ed effetti.

Su questo tema e sulle politiche legate alla crisi climatica, dopo un periodo di grande impegno culminato con la Conferenza Onu di Glasgow del 2021, cominciano a manifestarsi perplessità e atteggiamenti caratterizzati da uno scetticismo che, in verità, non trova concreto riscontro nelle valutazioni degli scienziati.

Questi ultimi fanno presente che finora abbiamo avuto solo alcune anticipazioni della crisi climatica che potrebbero diventare drammatiche, se non riuscissimo a rallentare il riscaldamento terrestre prodotto dall’aumento della CO2 in atmosfera. Ci sarebbero, secondo gli scienziati raccolti nello Ipcc, effetti disastrosi se la temperatura media del pianeta aumentasse nel 2050 di 2 gradi centigradi. Inoltre, ogni 0,1 C° in più aumenta la probabilità di danni crescenti a ritmi crescenti.

Va tenuto presente che la temperatura è già cresciuta di 1,1 gradi centigradi rispetto al suo livello all’inizio del secolo attuale. Alla conferenza di Glagslow si è fatto un importante passo avanti con l’impegno di gran parte dei paesi a sviluppare le azioni necessarie a contenere il riscaldamento del nostro pianeta in 2° gradi centigradi attraverso il contenimento della Co2. Secondo IEA nel 2021 i Paesi impegnati a realizzare emissioni zero di Co2 al 2050-60 rappresentano il 70% dei responsabili delle emissioni totali.

La concentrazione sulla CO2 delle policies internazionali trova corrispondenza con l’impegno dell’Ue sul green deal, con un piano (Fit for 55) per tagliare le emissioni del 55% (rispetto al 1990) al 2030 e ottenerne l’azzeramento nel 2050. Si tratta di una forte accelerazione degli interventi di policy rispetto agli anni passati.

Lo scetticismo che si sta manifestando in Europa, in alcune aree dell’opinione pubblica, trova sostegno soprattutto nei costi annunciati per l’efficientamento degli edifici di abitazione. Si osserva che a questi costi si contrappone la quota, relativamente modesta (8/9%) con cui i paesi europei contribuiscono alle emissioni totali di CO2 ed è dunque modesta l’influenza che il nostro comportamento virtuoso può determinare a livello globale sul controllo delle emissioni.

È una considerazione realistica, non c’è dubbio. Essa però dimentica che il clima non è più  soltanto un tema che riguarda la scienza ma è diventato un impegno della politica economica internazionale che ha raccolto l’allarme dell’Ipcc .

Ne è nata la determinazione a tener conto dell’enormità dei rischi in gioco e la convinzione che sia possibile realizzare attraverso la transizione una crescita maggiore dell’attuale (Stern-Stiglitz, 2023).

E’un orientamento avviato dal NextGenEu, con più del 30% d’investimenti diretti a realizzare la transizione dalle energie fossili a quelle rinnovabili.

La forte accelerazione del Green Deal per la riduzione delle emissioni prevede impegni di grande importanza in materia d’investimenti per la transizione energetica. Altrettanto si può dire sull’Inflation Reduction Act americano dell’agosto scorso che prevede massicci sostegni a favore delle energie rinnovabili e ha sollecitato una forte spinta a favore di analoghe iniziative europee e una politica industriale che si fonda sugli investimenti per la transizione energetica. Per non parlare della decisione, non solo europea, a favore dell’auto elettrica.

Siamo di fronte, in altre parole, a scelte che hanno messo in moto meccanismi decisivi di cambiamento dei paradigmi tecnologici e del quadro complessivo dell’economia. La dimensione, il timing degli investimenti previsti e avviati è tale che sta già modificando le scelte di tutti gli operatori ed è perciò opportuno considerarne le conseguenze piuttosto che fermarsi e guardare indietro.

È per questo che il Gruppo dei 20 nel valutare il nuovo quadro economico che si associa all’avvio del Pnrr, ha sostenuto nel suo più recente volume, presentato di recente al Cnel, che bisogna”Spostare il Baricentro” e renderne esplicite le connessioni con le politiche industriali e le scelte europee.

In questo contesto è di particolare importanza approfondire l’impatto macroeconomico della transizione energetica. Lo ha fatto per la Francia l’economista Jean Pisani-Ferry con un rapporto da poco consegnato alla Premier Elisabeth Borne che ha sollevato molta discussione. Ci ripromettiamo di farlo per l’Italia, con il Gruppo dei 20, alla ripresa autunnale.

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