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Ucraina, Turchia e spesa militare. L’intervento di Sullivan al Nato Public Forum

Jake Sullivan, National Security Advisor, US NATO Vilnius.

Intervenendo al Nato Public Forum, Jake Sullivan fornisce la sua visione sul Summit di Vilnius e non solo. Dal via libera turco all’accessione della Svezia all’unità dell’Alleanza e alla “regola del 2%”, ecco tutte le tematiche affrontate

Durante la seconda giornata di lavori al summit Nato di Vilnius, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan è intervenuto al Nato Public Forum, rispondendo alle domande postegli da Cristoph Heusgen, diplomatico tedesco e presidente della Munich Security Conference.

Il dialogo viene aperto dalla domanda di Heusgen sull’evoluzione nella posizione della Turchia rispetto all’entrata della Svezia nell’Alleanza atlantica, e in particolare sul ruolo avuto da Washington in questo spostamento. Il politico statunitense ha evidenziato come il vero artefice di questa evoluzione sia stato il segretario della Nato Jens Stoltenberg, che ha agito da mediatore tra le posizioni contrastanti di Ankara e Stoccolma fino a raggiungere il punto di compromesso, il sì di Erdogan all’ingresso della Svezia nell’Alleanza. Ha poi aggiunto che gli Stati Uniti si sono limitati ad assumere un ruolo gregario nei confronti dello sforzo di Stoltenberg, con il presidente Joe Biden che ha evidenziato alla sua controparte turca l’importanza fondamentale che l’entrata della Svezia nella Nato avrebbe per la struttura di sicurezza euroatlantica.

Sullivan ha anche negato fermamente la supposizione avanzata dal suo moderatore sulla possibilità di superare l’impasse nella fornitura degli F-16 ad Ankara in cambio della rimozione del veto sulla Svezia, ricordando come Biden lavori da mesi su questa questione, e che il dialogo con il congresso per approvare la fornitura proseguirà dopo l’accordo tra Svezia e Turchia agli stessi ritmi di prima.

Sul disappunto ucraino rispetto agli scarsi progressi raggiunti a Vilnius nei confronti dell’entrata di Kiyv nella Nato, la risposta di Sullivan non lascia spazio a dubbi. Il consigliere per la sicurezza nazionale evidenza come gli Stati membri dell’Alleanza siano d’accordo sul non poter includere l’Ucraina nella Nato fintanto che rimane in guerra con la Russia (poiché esso implicherebbe un estendersi del conflitto all’alleanza stessa secondo l’Articolo 5), così come sulla questione della Membership Action Plan, e ancora sul fatto che Kiyv abbia fatto grandi progressi sul piano delle riforme, progressi che però non sono sufficienti a raggiungere gli standard che tutti gli stati della Nato hanno dovuto rispettare prima di poter diventare membri dell’Alleanza.

Il comunicato rilasciato al termine dei lavori della prima giornata è stato concordato da tutti i leader partecipanti nel rispetto della propria visione, e per come è formulato esso rappresenta la posizione dell’Alleanza come un blocco unico; per arrivare a questo punto ogni stato condivide la sua visione tattica con gli altri, che tramite un processo di reciproca integrazione e mutuo aggiustamento portano alla nascita di una strategia comune basata su principi logici condivisi. “Unità non può essere l’essere d’accordo su ogni singola cosa dall’inizio alla fine”, nota l’amministratore statunitense.

La questione dell’unità è stata particolarmente sottolineata da Sullivan, riecheggiando quanto detto da Biden sull’importanza di mostrarsi uniti davanti a una Russia. Nei 505 giorni trascorsi dall’inizio dell’invasione il presidente russo Vladimir Putin ha più volte cercato il punto di rottura nelle discussioni dell’Alleanza, discussioni che però sono fisiologiche in un’alleanza composta da 31 diverse democrazie con interessi non sempre coincidenti.

Riguardo all’Ucraina, il consigliere di Biden rimarca come tutti i membri della Nato vedono nel lungo periodo l’ottenimento della membership da parte di Kyiv, visione confermata dai risultati del Summit di Vilnius; inoltre, Sullivan sottolinea come gli Stati Uniti (e non solo) siano pronti ad offrire all’Ucraina tutto il sostegno economico e militare necessario per difendersi da Mosca fino al raggiungimento della membership.

L’ultima questione affrontata da Sullivan è quella della “quota del 2%”: Heusgen ricorda che 9 anni fa, al summit in Galles svoltosi all’indomani dell’annessione della Crimea, gli Stati membri si impegnarono a destinare il 2% del proprio Pil alle spese militari; adesso quella del 2% viene vista come una soglia minima, ma alcuni paesi non sono ancora riusciti a raggiungerla, mentre i problemi all’orizzonte (anche non squisitamente militari) continuano a moltiplicarsi. Sullivan nota come negli ultimi 9 anni tutti gli stati membri abbiano comunque accresciuto la loro spesa militare, con alcuni paesi che hanno già raggiunto la soglia prefissata e altri che hanno un piano preciso per farlo; viceversa, come nota il politico americano, ci sono anche paesi che sono ben lontani dal raggiungimento del 2%, e i gap tra la spesa di diversi stati membri continua ad essere importante.

Considerando l’evolversi della situazione geopolitica, l’idea di Sullivan è che il 2% diverrà per forza di cose una soglia minima da estendere ulteriormente; gli Stati Uniti incoraggeranno questo processo e “non saranno timidi nel pressare chiunque rimanga indietro”.



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