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Il riavvicinamento tra Santa Sede e Pechino visto da Francesco Sisci

L’azione del papa conferma la volontà della Santa Sede di collaborare con Pechino, in un contesto internazionale sempre meno stabile, che anzi andrà sicuramente a peggiorare. L’obiettivo di Xi Jinping, la proposta di Parolin di aprire una rappresentanza della Santa Sede a Pechino, le tensioni dei cinesi tra la fedeltà spirituale alla Chiesa e la fedeltà civile allo Stato. Conversazione con Francesco Sisci

Lo scorso 15 Luglio è arrivata la notizia della nomina da parte di Papa Francesco di Giuseppe Shen Bin come nuovo vescovo di Shangai. Shen Bin si era già insediato de facto nel mese di aprile dopo la nomina da parte delle autorità cinesi, ma in assenza di quella papale. Con una modalità non conforme a quanto previsto dall’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi stipulato nel 2018. Formiche.net ha parlato della questione con Francesco Sisci, sinologo, autore ed editorialista residente a Pechino.

La notizia della nomina di Giuseppe Shen Bin come vescovo della diocesi di Shangai da parte del Santo Padre chiude una crisi che aveva visto coinvolti la Chiesa di Roma e il Governo di Pechino. Ma le cause di questa crisi sono svanite?

Un problema di fondo dietro a questa nomina è la profonda divisione interna della Chiesa Cattolica in Cina. La “prima nomina” di Shen Bin pare sia stata promossa sia dai funzionari del Dipartimento Religioso sia dalla comunità cattolica di Shanghai. Questa nomina ha toccato forse una delle zone grigie dell’Accordo Provvisorio sulla Nomina dei Vescovi stipulato nel 2018. Il punto qui potrebbe essere il trasferimento di un vescovo da una diocesi ad un’altra. Forse secondo un’interpretazione questo provvedimento avrebbe potuto essere preso in modo autonomo. Siamo in un terreno delicato per il diritto canonico ma per ogni sede vescovile il Papa deve fare una nomina. Il vero punto è che su Shen Bin c’è stato un appoggio di parte della comunità cattolica cinese. Questo fenomeno segnala una frattura che permane all’interno della Chiesa cinese.

Pensa che la ratifica papale della nomina fatta in prima istanza dalle autorità civili ed ecclesiastiche cinesi sia un cedimento da parte della Santa Sede?

Questo riconoscimento arriva in un momento molto complicato. Comunque alla fine forse si è risolto con un passo avanti nella ricerca di una mutua comprensione e di una riconciliazione con una chiesa cinese segnata da divisioni interne. I cattolici cinesi devono conciliare una fedeltà “spirituale” verso Roma e una fedeltà civile di cittadini cinesi. In alcuni casi ciò può non essere facilissimo. Con questa nomina, arrivata dopo un lavoro lungo e pesante, si costruito un ulteriore canale di comprensione reciproca, atto a impedire il ripetersi di errori di questo tipo.

Un risultato, quello della distensione tra Santa Sede e Pechino, in controtendenza con i trend internazionali. Quali pensa che siano i motivi di questo disgelo?

Il dialogo tra il governo cinese e la Santa Sede è al centro dell’attenzione globale quindi è estremamente importante. Al netto delle difficoltà questo dialogo riesce a dare degli impulsi positivi e costruttivi, un esito che altri processi non riescono avere. La situazione internazionale è grave e probabilmente rimarrà tale o peggiorerà. Nonostante la serie di visite di alti funzionari statunitensi in Cina, le relazioni bilaterali tra Pechino e Washington non sono affatto migliorate, al massimo si sono stabilizzate. Ma la questione che vede coinvolta la Chiesa Romana e la Repubblica Popolare Cinese non è declinabile soltanto come un mero rapporto internazionale: la Santa Sede si adopera per tutelare il bene di quei cittadini della Repubblica Popolare che sono anche cattolici. Roma porta avanti un rapporto doppio sia con la comunità cattolica che con le istituzioni governative.

Non è la stessa cosa anche per Pechino?

In un certo senso. Anche il governo cinese si trova a doversi rapportare con una parte della sua popolazione che, per motivi di fede religiosa, guarda a una realtà estera e straniera. Non penso che sia semplice, ma è un esercizio nuovo ed importante per entrambi. Il cui risultato può essere interessante come punto di riferimento.

In questo contesto, qual è la posizione di Xi Jinping? È possibile che il Segretario del Partito Comunista Cinese veda la Chiesa Cattolica come un’interferenza al suo potere politico, e di conseguenza cerchi di combatterla?

Tutt’altro. Xi è stato il primo motore della normalizzazione dei rapporti con la Santa Sede. Nel 2018 è stato promotore dell’Accordo Provvisorio con la Chiesa di Roma, e due anni prima c’è stato il rilancio sui media nazionali dell’intervista al Papa sulla Cina. I rapporti tra la Santa Sede e Pechino sono stati molto travagliati a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, con una parte della comunità cattolica cinese che ha collaborato col governo cinese, e un’altra parte che ha preferito rimanere in clandestinità, ma a partire da Papa Wojtyla negli anni ‘80 abbiamo assistito ad una graduale riconciliazione di queste due anime interne e a una normalizzazione dei rapporti tra lo Stato Cinese e la Chiesa di Roma. Ma rimangono ancora grandi difficoltà e importanti passi da compiere. L’idea suggerita dal segretario di Stato Pietro Parolin di aprire una rappresentanza della Santa Sede a Pechino sarebbe importante, ma ci sono implicazioni non banali per entrambe le parti coinvolte, quindi per il momento dobbiamo seguire gli eventi.

Non c’è il rischio che i rapporti tra Pechino e il Vaticano possano subire contraccolpi o deteriorarsi col tempo?

Ci possono sicuramente essere degli incidenti, gli incidenti sono parte della vita. Ma è proprio grazie alle difficoltà che ci si conosce meglio, e non tramite una navigazione senza ostacoli. La questione di Shanghai dimostra come entrambe le parti cerchino una conciliazione e siano interessate a perseguire la strada del dialogo. Certo, ci sono voci discordanti all’interno di ognuna delle due realtà che non condividono questo approccio. Ma il fatto che si sia trovata una soluzione, anche se non ideale, è significativo del fatto che le volontà dei due attori nella direzione della cooperazione sono molto forti.

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