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Vi racconto l’attualità di George Bernanos. Scrive Pedrizzi

Non si può certamente dire che manchi di attualità la sua critica alla cultura di massa ed al mondo moderno, alla civiltà tecnologica disumanizzante ed alla tecnocrazia agnostica, ai miti del numero, ai sistemi politici pseudodemocratici e totalitari, al progressismo cristiano ed al laicismo ateo

Cade quest’anno l’anniversario della nascita e della morte di George Bernanos. L’autore di La grande paura dei benpensanti, I grandi cimiteri sotto la luna, Diario di un curato di campagna, Sotto il sole di Satana, Rivoluzione e libertà, La Francia contro i robots, Lettere agli inglesi, tanto per citare alcune delle sue opere più note, era nato infatti a Parigi il 20 gennaio 1888 e morì a Neuilly il 5 luglio 1948.

Più di cinquant’anni fa, aveva scandalizzato scrittori e politici, accademici e semplici curiosi che erano accorsi alla Sorbona per ascoltarlo al suo ritorno dal lungo esilio brasiliano. “La parola democrazia – disse Bernanos in quella occasione, sorprendendo tutti non significa assolutamente più niente per me, mi chiedo se non sia la parola più sputtanata di tutte le lingue”.

Fu subito tacciato di incoerenza e quella etichetta nonostante sia passato oltre mezzo secolo se l’è portata appiccicata addosso perché mai nessuno si sarebbe aspettato, all’alba di una nuova era, che proprio lui che aveva subito appoggiato De Gaulle, preferendo l’esilio piuttosto che scendere a patti con gli avversari, proprio lui rinnegasse tutte le idee tornando a collocarsi su quelle posizioni che lo avevano portato da giovane ad affiancare la controrivoluzionaria Action Française.

Cattolico intransigente, aveva, infatti, fin dal liceo trovato, nel movimento del de Maistre di quel tempo, come fu definito allora Charles Maurras, la sistematizzazione di tutte le intuizioni che aveva avuto nel corso della sua adolescenza, quando era solito leggere Balzac, Barbey d’Aurevilly, Walter Scott e Drumont. E cosi all’università, a Parigi, si era messo a contestare i preti progressisti, i professori radicali, partecipando a tutte le manifestazioni di piazza che si svolgevano in quel periodo nella capitale ed in particolare nel quartiere Latino tra il 1906 ed il 1913, anno in cui si trasferì a Rouen per dirigere il settimanale monarchico L’Avant Garde de Normandie.

Si era alla vigilia del primo grande conflitto mondiale e proprio in quel tempo si andavano fondendo nella nazione d’Oltralpe, nel crogiuolo dei Cercles Proudhon, fondati qualche anno prima, il tradizionalismo di Maurras con il sindacalismo anticapitalista e nazionale di Sorel; d’altro canto il corporativismo veniva indicato come l’unica strada alternativa sia al liberalismo che al collettivismo. Ed è proprio ora e siamo nel 1913 che Bernanos pubblica La grande paura dei benpensanti, che resterà il suo capolavoro sia dal punto di vista letterario che dottrinario.

Egli, infatti, pur non essendo un politico e tantomeno un sistematico, riesce in quel saggio ad esprimere tutto il suo mondo ideale e culturale, cui, al di là di tutte le sue prese di posizione politiche contingenti, resterà sostanzialmente fedele. La critica al mondo moderno ed a tutte le sue manifestazioni più deteriori, come il produttivismo ed il consumismo; la previsione quasi profetica della decadenza dell’Europa; la individuazione della causa principale dell’alienazione spirituale della nostra epoca nella rivolta razionalista dell’uomo contro Dio; la contestazione alla borghesia capitalistica sempre pronta a cedere alle forze di sinistra; soprattutto il rifiuto di un cattolicesimo progressista e suicida, disposto a rinunciare ad ogni influenza nella società: queste sono le idee espresse in La grande paura dei benpensanti che guidarono, anche successivamente, la vita e la condotta del cattolico francese.

Con questa concezione della vita e del mondo lo scrittore partiva per il campo di battaglia, ove doveva distinguersi, tanto da meritarsi alcune citazioni al merito, anche per le numerose ferite subite. Torna dalla grande guerra e lo scenario francese ed europeo è cambiato del tutto.
La stessa Action Française, accentuando il suo agnosticismo, lancia il motto politique d’abord, si laicizza e viene condizionata sempre più dal pragmatismo di Maurras, che porta pian piano il movimento verso posizioni eccessivamente patriottarde ed accesamente nazionalistiche comuni, peraltro, ai settori più retrivi e moderati del Parlamento francese.

E ciò mentre Bernanos avvertiva che ormai non si trattava più e tanto di risolvere un problema strettamente politico, quanto esistenziale: o l’uomo tornava a Dio o si sarebbe perso. Era sull’uomo e sulla sua responsabilità che bisognava portare tutta l’attenzione e fare un lavoro in profondità e non sulle strutture politico istituzionali (monarchia o repubblica, liberalismo o corporativismo, ecc. ecc.). E su questi temi non v’è oggi chi non possa dirsi d’accordo, ove si consideri che, settant’anni e più dopo, Giovanni Paolo II nella sua Esortazione Apostolica Reconciliatio et Paenitentia scriverà: “Una situazione e così un’istituzione, una struttura, una società non è, di per sé, soggetto di atti morali; perciò, non può essere, in se stessa, buona o cattiva. Al fondo di ogni situazione di peccato si trovano sempre persone peccatrici”.

Ed è il cosiddetto Mysterium iniquitatis che fin da allora il cattolico controrivoluzionario aveva compreso che bisognava combattere, tanto da assumere come sua parola d’ordine e come suo imperativo quella di: “Rispiritualizzare l’uomo”. Alla ricerca, quindi, di una spiritualità più profonda ed intima, Bernanos si ritirò dalla vita pubblica e si impiegò in una compagnia di assicurazioni, ove trovò il sostentamento per sé e la sua famiglia. Qui lavorerà, pur continuando a scrivere come e quando poteva, fino al 1926, quando vide la luce il suo romanzo Sotto il sole di Satana, il cui successo gli darà l’occasione di riprendere il suo posto di intellettuale impegnato e di lasciare per sempre il suo impiego presso le assicurazioni.

Le vicende di quegli anni sono note: l’arcivescovo di Bordeaux condanna Maurras e la sua dottrina; Bernanos, però, nonostante le divergenze che vi erano state, insorge schierandosi a fianco dell’Action Française, ma chiedendo al suo capo di abbandonarne la direzione ideologica; infine la rottura definitiva con il movimento, che ai suoi occhi non era più quello di un tempo così come il suo leader.
“Chi è veramente cambiato fra lui e me? Maurras, dal tempo che chiamava Drumont il suo maestro, ne ha fatta di strada… Ha fatto suo l’egoismo del partito conservatore, la fobia per la legislazione sociale, l’immoralità delle coalizioni manovrate dai capitalisti”, scriverà Bernanos in “Les enfants humiliés”.

E nel 1934 si trasferisce per vari motivi, non ultimo le difficoltà economiche che lo preoccupavano, a Palma de Maiorca, ove porrà mano alla sua opera più apprezzata, Diario di un curato di campagna. Di questo periodo sono le altre opere: I grandi cimiteri sotto la luna, Les enfants humiliés, Scandale de la verité, Nous autres francais e Le chemin de la Croix des ames nelle quali pur mostrando rispetto per il falangismo si dichiarerà antifranchista: “Certo, scriveva nei Grandi cimiteri sotto la luna, io giudico la vecchia falange onorevole, e mai e poi mai paragonerò un capo magnifico come J. A. de Rivera ai generali astuti che sguazzano da diciotto mesi a questa parte con i loro stivaloni nei più schifosi carnai della storia”.

La sua, in effetti, era la critica di un uomo che continuava a rimanere un cattolico controrivoluzionario ed un monarchico convinto, che vedeva nei movimenti che erano nati tra le due guerre in Europa solamente la degenerazione e la fase terminale di quelle democrazie che egli, come Peguy e Maurras, aveva odiato da sempre. Lo scrittore, allora, non immaginava nemmeno, che, invece, la sconfitta di quelle che furono appellate le rivoluzioni conservatrici, non avrebbe impedito il diffondersi di tutti quei fenomeni più eclatanti del mondo moderno contro i quali Bernanos stesso già nella Lettres aux anglais si era scagliato, individuando nella civiltà americana con i suoi miti ed i suoi falsi idoli l’espressione più negativa e degenerativa.

Con queste idee, il pensatore francese tornava nel suo Paese nel 1945. Di qui la delusione della sinistra francese, di cui abbiamo detto all’inizio. Odiato, dunque, dalla destra, che non gli perdonava, tra l’altro, di non aver mosso un dito, a differenza di tanti altri intellettuali anche antifascisti, per sottrarre all’esecuzione il giovane poeta Robert Brasillach; inviso alla sinistra ed al cattolicesimo democratico e progressista che restavano nel mirino della sua critica e dei suoi attacchi specialmente ora, dopo la guerra, Bernanos proprio quando avrebbe potuto godere della fama e del successo, di cui andavano beneficiando tanti resistenti dell’ultima ora, restò solo a combattere per le sue idee di sempre fino alla sua morte che doveva sopraggiungere di lì a pochi anni, nel 1948.

Siamo nel 2004, sono passati dunque quarantasei anni, gli odi si sono sopiti, i rancori stemperati, molti dei protagonisti di quel tempo non ci sono più, dunque sarebbe veramente il momento di giudicare questo scrittore indipendentemente dalle antipatie o simpatie, che potettero provocare i suoi atteggiamenti contingenti e la sua partigianeria caratteriale, ma solamente in base alla sua opera complessiva ed alle sue idee, valutandone, se del caso, l’attualità e l’universalità.

E non si può certamente dire che manchi di attualità la sua critica alla cultura di massa ed al mondo moderno, alla civiltà tecnologica disumanizzante ed alla tecnocrazia agnostica, ai miti del numero, ai sistemi politici pseudodemocratici e totalitari, al progressismo cristiano ed al laicismo ateo. Né si può negare l’esattezza delle previsioni che a suo tempo aveva fatto circa gli sviluppi che avrebbero determinato, anche a distanza di secoli, avvenimenti, come la rivoluzione francese, e certi fenomeni, come l’industrialismo selvaggio ed il consumismo incontrollato.

Alla sua opera, dunque, oggi più che mai, bisognerà fare riferimento ed in particolare ad idee come quelle che Egli aveva sul ruolo pubblico del cattolicesimo, sulla proprietà privata, sulla società organica e sull’Europa, se si vuole tentare di superare la fase di omologazione culturale che stiamo vivendo.


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