Gli interessi dell’Austria in Russia sono numerosi, e Mosca vede di buon grado l’amicizia con Vienna. Ma il rapporto tra le due non è assolutamente strutturato su base paritaria. E da Paese neutrale l’Austria rischia di diventare un cavallo di Troia
C’è un filo rosso che, attraversando l’Europa Orientale e il bassopiano sarmatico, unisce la capitale degli Asburgo al Cremlino. Un filo rosso che non può certamente essere definito sottile, se si considera come il rapporto tra Austria e Russia sia particolarmente stretto in una miriade di dimensioni, da quella energetica a quella diplomatica, passando per quella finanziaria e toccando anche quella politica.
Questa vicinanza ha radici profonde: basti pensare ai secoli addietro quando Vienna e Mosca, entrambe centri imperiali, cooperavano di buon grado nella spartizione delle proprie sfere di influenza e nel mantenimento dello status quo, seppure con qualche piccolo scontro fisiologico. Ma neanche il collasso del primo impero e la palingenesi del secondo hanno fatto sì che questo legame venisse meno. All’indomani della Seconda guerra mondiale l’Austria torna pienamente indipendente al prezzo di promettere neutralità assoluta; una posizione che le permetterà di svolgere il ruolo di mediatore tra l’Occidente capitalista e l’Oriente comunista, riuscendo a trarre beneficio dal rapporto con entrambi i fronti e rendendo Vienna una sede perfetta per una pluralità di Organizzazioni Internazionali.
Neanche la fine della Guerra Fredda porta l’Austria a un cambio di rotta. Mentre l’Alleanza Atlantica si espande e accoglie i Paesi orfani del Patto di Varsavia, Vienna continua a tenersi fuori (pur partecipando al progresso di integrazione europea), in parte per rispettare il proprio dettato costituzionale e in parte per continuare a svolgere il ruolo di “valvola di collegamento”, che si traduce nel mantenimento di una special relationship con Mosca. Se questa relazione sia poi paritaria, è un altro discorso.
Uno dei nuclei del filo rosso evocato in apertura è certamente il settore energetico. Sin dagli anni’60 l’Austria ha importato la quasi totalità del suo fabbisogno di petrolio e gas naturale dalla Russia. Il raffreddamento nei rapporti tra Occidente e Mosca in seguito agli eventi del 2014 non ha coinvolto minimamente Vienna, che anzi nel 2018 ha firmato che obbliga Omv, la compagnia di bandiera austriaca nel settore, ad acquistare annualmente almeno sei miliardi di metri cubici di gas russo fino al 2040. Neanche lo scoppio della guerra in Ucraina ha smosso le acque in modo significativo: mentre il resto dell’Europa abbatteva la sua dipendenza energetica nei confronti di Mosca, la quota di Vienna si limitava a scendere dall’80% al 70% delle importazioni totali. La promessa fatta nel 2019 dal governo allora in carica di ridurre a zero la dipendenza dal gas russo entro il 2027 sembra destinata a rimanere lettera morta.
Austria e Russia appaiono legate anche da interessi di carattere finanziario. Numerosi sono i casi di businessmen che decidono di investire in Russia, di aziende che continuano ad operare all’interno dei suoi confini anche dopo lo scoppio della guerra in Ucraina o di politici che trovano un impiego nell’amministrazione di società russe. Con cifre importanti: nel 2022 l’istituto bancario austriaco Raffeisen Bank International ha prodotto guadagni per 2 miliardi di euro, di cui più della metà sono profitti netti. Una cifra importante, considerando che in borsa il valore della società stessa ammonta a 5 miliardi di euro. Tuttavia, il regime di sanzioni adottato nei confronti della Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina impedisce all’istituto di poter mettere mano su questi fondi. Questa realtà dei fatti garantisce a Mosca un ulteriore strumento per esercitare pressione su Vienna.
Ma l’aspetto più interessante da analizzare nel rapporto tra Austria e Russia è proprio quello politico e diplomatico. Dietro alla narrativa del “Paese mediatore” l’Austria nasconde una forma di schiacciamento sugli interessi russi per garantirsi determinati vantaggi, arrivando a divenire un cavallo di Troia moscovita all’interno della cinta muraria euroatlantica.
A dimostrare questa tendenza ci sono prove conclamate, come un video diffuso nel 2019: in questo filmato l’allora vice-cancelliere Strache, afferente al partito di destra Freiheitliche Partei Österreichs noto per le sue posizioni filorusse, offre influenza politica per il Cremlino ad una donna da lui considerata vicina ad un oligarca russo. Lo scandalo seguente causò la caduta del governo guidato proprio dal FPÖ. Negli anni successivi a essere oggetto di attenzioni furono i servizi segreti del Paese transalpino, accusati di aver facilitato la fuga del latitante Jan Marsalek (accusato di frode finanziaria nel caso Wirecard) proprio verso la Russia, considerata come territorio amico. Le pressioni internazionali portarono il governo centrale a smantellare e ricostruire da zero l’intero apparato dell’intelligence.
All’indomani dello scoppio del conflitto in Ucraina il cancelliere austriaco Nehammer è stato il primo tra i rappresentanti europei a recarsi a Mosca come “mediatore”, in linea con la narrativa adottata da Vienna. Non è chiaro quale sia stato il contenuto della conversazione tra Nehammer e Putin, ma mentre i flussi di gas e petrolio proveniente dalla Russia si interrompevano in mezzo continente, quelli diretti verso l’Austria non hanno subito alcuna variazione.
Inoltre, Vienna continua a esercitare il suo potere di veto rispetto all’accessione di Romania e Bulgaria nell’area Schengen. Formalmente, alla base di questa sua posizione vi sarebbe la questione dell’immigrazione incontrollata. Ma accostare a questo il fatto che Mosca non gradisca troppo il rafforzamento delle strutture euroatlantiche lungo l’Eastern Neighborhood e, soprattutto, l’Eastern Flank, non risulta particolarmente difficile.