L’ex locomotiva d’Europa è entrata nel tunnel e questo è un problema per un’economia legata a doppio filo ai destini tedeschi, come quella italiana. Eppure se davvero l’intero continente frenerà la sua corsa, Roma potrebbe essere l’ultima a inchiodare. Conversazione con Matteo Villa, economista dell’Ispi
Sì, il motore tedesco si è inceppato. Ma no, non è il caso di abbandonarsi alla più cupa delle disperazioni. Nel primo trimestre del 2023, il Pil della Germania ha fatto registrare il segno meno (-0,3%), così come successo nell’ultima parte del 2022 (-0,5%). All’Italia è successo per esempio nel 2018. I tedeschi lo hanno sperimentato altre nove volte nel passato.
Nulla di tragico, ma è comunque un segnale preoccupante. Lo sanno a Berlino e lo sanno a Roma, come ha fatto intendere giorni fa lo stesso ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, nel ricordare che la Germania non se la passa poi così tanto bene. E lo sanno anche gli imprenditori del Nord, reduci dal loro primo vero confronto con il premier Giorgia Meloni, in occasione dell’Assemblea annuale dell’Assolombarda.
Le industrie italiane, come noto, esportano molto in Germania, rifornendo di componentistica, tanto per fare un esempio, il mercato dell’auto. Ma se Berlino si ingolfa, può essere un problema, specialmente in tempi in cui il denaro prestato dalle banche alle imprese per garantirne la liquidità, costa il 4% in più rispetto a un anno fa. Eppure, dice a Formiche.net Matteo Villa, economista dell’Ispi, conviene essere ottimisti.
“La recessione della Germania è ovviamente un segnale preoccupante, non è il caso di ignorarlo. Ed è un segnale che ci riguarda, perché noi esportiamo tantissimo nell’ex locomotiva d’Europa, a cominciare dai prodotti semilavorati. Questo dà la cifra della nostra esposizione, se peggiora la situazione in Germania, nel lungo termine peggiora anche in Italia”, premette Villa. Che però a un certo punto ribalta il punto di vista.
“Quando si entra nelle secche non si sa mai quando se ne esce. Ma detto questo, ci sono anche degli aspetti positivi, che in parte compensano quelli negativi. Un esempio? La produzione industriale e l’indice delle nostre Pmi rivelano come la frenata italiana sia molto minore di quella tedesca. L’indice Pmi è al 44, quello della Germania al 40. Dunque, l’Italia rallenta meno della Germania e questo nonostante la persistente dipendenza energetica dell’Italia”.
Villa si spinge oltre, toccando il tema dell’inflazione. “Siamo in una fase di rallentamento strutturale della zona euro, ma in tale contesto, l’Italia regge certamente meglio di tanti altri. E per fortuna l’inflazione sembra pronta a scendere per davvero, dopo mesi di rialzi. Se prendiamo il dato mensile, quello dell’Istat, ne ricaviamo dei segnali importanti, perché probabilmente la Bce la smetterà di alzare i tassi”. Già, il costo del denaro.
“Purtroppo finora la Banca centrale europea ha scelto di rischiare la recessione pur di combattere l’inflazione. Un atteggiamento che sembra pagare, a patto che che non si scivoli in una recessione profonda. Vede, la nostra economia deve riassestarsi su tassi ai quali non eravamo più abituati. Il costo del denaro da oggi rimarrà alto ma forse presto smetterà di aumentare”.