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Perché il voto in Spagna non cambia nulla per i programmi di Meloni. Parla Mauro

“Il tentativo di dialogo tra Weber e Meloni resta la novità politica nel quadro europeo. Le ricette economiche di Sanchez? Sbagliate, per questa ragione ha basato la sua campagna elettorale solo sull’anti-Vox. Un governo di larghe intese? Sono scettico, perché nel Psoe c’è un atteggiamento di chiusura totale verso le proposte del Pp”. Conversazione con Mario Mauro, ex ministro della Difesa ed esponente popolare

Il tentativo di dialogo tra Manfred Weber e Giorgia Meloni rimane la maggiore novità politica nel quadro europeo che, pur con alcune difficoltà, non potrà essere messo a rischio dal voto spagnolo. Popolari, socialisti e Vox rappresentano l’occasione per Mario Mauro, già vicepresidente del Parlamento europeo e Ministro della Difesa, di analizzare sia il caso ispanico legato alla protogenia del Partito popolare, sia i commenti ‘capziosi’ sulla strategia italiana di Meloni verso le elezioni europee e la nascita di una Commissione politica.

Feijóo insiste per parlare con il Psoe: pur di governare accetterà un esecutivo di larghe intese con i socialisti? E come ne uscirà il suo partito?

La verità è che un governo di quel tipo in un Paese come la Spagna sarebbe possibile solo nell’ottica di recuperare quella dimensione della pacificazione nazionale che si era persa con i governi socialisti, non solo di Sanchez, ma anche di Zapatero. Ma era stato il frutto di un grande socialista come Gonzales che aveva messo al centro il tema delle regole del gioco e anche un accordo che superasse il franchismo, recuperando l’elemento della monarchia.

Oggi ci sono le condizioni in Spagna per un accordo di questo genere che rilanci nuovamente le regole del gioco?

Teniamo presente che la Spagna vive ormai una condizione di profonda destabilizzazione istituzionale, a causa dello spazio che si sono auto-attribuite le regioni che si considerano quasi Stati indipendenti. Ciò pone un problema strutturale molto complesso alla nazione spagnola, tant’è che a complicare la formazione del governo in Parlamento ci sono otto partiti cosiddetti regionalisti che intendono far pagare un prezzo elevatissimo a chi verrà incaricato. Quindi, se le larghe intese servissero per chiudere in questo senso questa pagina difficoltà istituzionale, dovrebbero essere a tempo determinato e lontane dalle questioni di natura economica.

C’è una base programmatica tra Pp e Psoe?

Le ricette di popolari e socialisti sono radicalmente alternative e questa sintonia tra socialisti e popolari fino ad oggi in Spagna può esserci solo su una questione sola: rimettere mano alle regole del gioco per evitare che il meccanismo dei regionalismi impazziti trascini il Paese nell’autodistruzione. Su questo, forse, da parte dei socialisti potrebbe esserci anche un ripensamento, perché bisogna tener conto che negli ultimi tempi Sanchez, soprattutto con lo scopo di portare avanti la propria esperienza di governo, ha fatto parecchi patti del diavolo, provando a barcamenarsi con i catalani, con i baschi e con altre autonomie. Questo schema in Spagna non funziona, nel senso che i partiti regionalisti sono dei partiti che chiedono un dito e si prendono la mano.

Ovvero?

Una volta ottenuti margini di autonomia, incassano la legittimazione politica di un processo di indipendenza, mettendo a rischio l’unità della nazione. Quindi se la preoccupazione di Stato è ordinata a colmare questo gap e a dare alla Spagna una prospettiva istituzionale più equilibrata, più forte e magari in accordo con la monarchia stessa, è un conto. Diversamente la trovo difficile, per la semplice ragione che il sentire comune dell’elettorato dei due partiti principali è molto contrario storicamente a forme di grande coalizione. Quindi i primi a pagare dazio nel rapporto con gli elettori sarebbero proprio le leadership dei due partiti.

Quando ci chiediamo come potrà nascere l’intesa tra Vox e Pp cosa dovremmo sapere?

Si tratta di una questione che va compresa bene, perché il mondo spagnolo si trascina dietro un momento di illuminazione politica che ha portato alla fusione dei democristiani con i conservatori: e quindi quando noi ci chiediamo se potrà mai nascere un’intesa tra Vox e il Partido popular spagnolo, la risposta è che la domanda è sbagliata.

In che senso?

Nel senso che il Pp era già frutto di questa intesa, non a caso Santiago Abascal viene da lì: il Partito popolare era già l’unione dei democristiani con i franchisti. È un problema che non si pone quello di chiedersi se ci potrà essere in futuro un’intesa con Vox. Questa è la lettura che troppo spesso offre il sistema mediatico orientato a sinistra di molti Paesi, tra cui anche l’Italia, volendo sempre sottolineare che c’è una realtà di destra o di centrodestra che vince e si punta a creare il mito di un’estrema destra che la renda di per sé pericolosa.

E invece?

Nella realtà il Partido popular, per chi conosce le dinamiche spagnole, nasce in modo molto più drastico come l’unione tra i democristiani, i liberali e la destra spagnola, quindi ogni altro tipo di discussione è capziosa. Abascal rompe col Partito popolare in un momento in cui Zapatero opera una forzatura attraverso la famosa Ley de la memoria, cioè quella che aveva ipotizzato di rimuovere le salme di Franco e di una serie di altri personaggi dai luoghi storici. Per cui è la sinistra che ha cercato la violazione degli equilibri storici ottenuti da Gonzales nel momento della ricomposizione del Paese dopo la dittatura di Franco, perché quell’inasprimento del rapporto portasse un beneficio elettorale che poi ha dato la maggioranza a Zapatero. La reazione dentro il Partito popolare ha determinato l’iniziale successo di Vox, poi confluito con la Meloni nei Conservatori europei.

Quale la ragione della riduzione del consenso di Abascal?

Non è misurabile sugli errori che può aver fatto Vox, ma sul ritorno di fiamma dei popolari che insistendo tutti sullo stesso bacino di elettori si sono andati a riprendere una parte di voti. Tutto qui, non c’è chissà quale analisi raffinata da fare, ma l’unica cosa importante da sottolineare è che il falso quesito posto dalla sinistra, ovvero come possa il Pp stare con Vox, è appunto un falso quesito perché Vox era nient’altro che una costola del Partido popular. E la cosa impressionante è che il Partido popular, quello portato in trionfo per esempio da Aznar, era già strapieno di esponenti anche di destra. Nasce originariamente alla fine degli anni ’70 con il traghettamento voluto da un grande democristiano spagnolo che si chiama Manuel Fraga, tra l’altro padre anche di una bravissima parlamentare europea. Per questa ragione oggi la sinistra spagnola cerca di separare le diverse anime dei popolari.

Quale il bilancio economico del governo Sanchez?

Le politiche di Sanchez sono state sbagliate, per questa ragione ha basato la sua campagna elettorale solo sull’essere anti-Vox. E non a caso ha fatto una campagna elettorale di grande qualità nella comunicazione ma totalmente basata sull’operazione di mistificazione, adombrando il rischio per la democrazia in Spagna in caso di alleanza Pp-Vox. Ma resto scettico sull’idea che possa nascere un governo di grande coalizione che alla fine non darebbe i frutti sperati, perché i socialisti in Spagna non accettano anche le proposte più banali dei popolari, dimostrando quasi di essere più comunisti che socialisti.

Qualcuno usa l’analisi sul voto spagnolo per mettere in dubbio il percorso dei conservatori verso le europee del 2024 e verso la nascita di una Commissione europea politica, dopo le larghe intese merkeliane. È così?

Mi dispiace dover deludere qualcuno, ma da questo punto di vista torniamo a ciò che sostengo da tempo. Il tentativo di dialogo tra Weber e Meloni credo resti la maggiore novità politica nel quadro europeo, perché soprattutto per i partiti democristiani tedeschi ha sempre avuto forza il principio di non veder sorgere alternative alla propria destra. La verità è che le cose stanno cambiando, perché i numeri che sta prendendo in Germania AfD consigliano, soprattutto ai bavaresi che temono molto la concorrenza a destra, di essere più prudenti. Non vedo dunque ostacoli nel dialogo tra i popolari e la destra che oggi assume la forma del partito Ecr. Al contempo, non nascondo le difficoltà che si concentrano soprattutto in Paesi inquieti come la Polonia che è fortemente coinvolta nella vicenda russo-ucraina e che vede un rapporto tra i popolari di Tusk e i conservatori di Kaczynski gravemente compromesso anche per ragioni personali e che quindi ben difficilmente potrà sfociare in un’intesa.

Prevede uno stallo in Ue?

Questo orientamento politico è chiamato a confrontarsi con i dati delle prossime europee e chiunque sia un po’ ragionevole sa che sarà difficilissimo per una parte dell’emiciclo in sede europea avere il sopravvento. Quindi, come non c’è mai stato un governo di centrosinistra dell’Unione Europea, così anche questa volta l’unica cosa che si otterrà è che, per fare una maggioranza stabile, bisognerà aggiungere a liberali, socialisti e popolari anche i conservatori, perché i conservatori faranno complessivamente un buon risultato, trascinati dai numeri di Meloni in Italia. La vera sfida è nel fatto che senza parlare di governi di grande coalizione che è una definizione che può andare bene in un singolo Paese ma non nel contesto europeo, al fine di poter garantire all’Europa una posizione da primo attore su scala globale, serviranno anche i numeri dei conservatori. E i numeri non sono solo quelli del Parlamento europeo ma sono quelli dei governi.

@FDepalo


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