A poche settimane dalla raffica di roadshow delle grandi banche statunitensi nel Dragone, il segretario al Tesoro è pronta a capitalizzare i primi germogli di distensione, di cui anche la Cina ha bisogno. D’altronde Pechino è conscia delle sue conclamate difficoltà economiche
La finanza, quella di grosso calibro, ha già aperto la pista. Ora tocca alla politica, tentare di riallacciare i nodi con la seconda economia globale, quella Cina che sogna troppo e cresce troppo poco. Janet Yellen, tra pochi giorni, atterrerà a Pechino per una visita ufficiale dal chiaro sapore geopolitico. Ma non solo. Il segretario al Tesoro americano è uno dei primi sostenitori della necessità di mantenere rapporti costruttivi con il Dragone, seppur nella consapevolezza delle palesi violazioni dei diritti umani ancora in essere nell’ex Celeste impero.
Poche settimane fa, come raccontato da Formiche.net, l’ex governatore della Federal Reserve ha tenuto il suo annuale discorso davanti alla Commissione Finanze del Senato statunitense. E, proprio in quella occasione, Yellen ha ribadito l’importanza di una distensione tra Cina e Stati Uniti. Esattamente quello che chiedono i grandi manager che oggi guidano le banche statunitensi, come Jp Morgan, Citi, Morgan Stanley.
Lo scorso 5 giugno, Jane Fraser, ceo di Citigroup, principale gruppo assicurativo e bancario americano, ha incontrato per esempio il capo della vigilanza finanziaria cinese, Li Yunze, al quale ha espresso l’intenzione di ampliare le operazioni di Citi nel Paese data la “piena fiducia nel suo sviluppo economico e finanziario”. Il giorno successivo, è stata invece la volta di un colloquio con Lin Songtian, presidente dell’Associazione popolare cinese per l’amicizia con i Paesi stranieri, con cui Fraser avrebbe discusso un rafforzamento del dialogo tra Cina e Stati Uniti nelle aree di interesse comune, stando ad una nota dell’organizzazione dedicata alla gestione degli affari esteri.
Prima di Fraser, anche Jamie Dimon di Jp Morgan aveva incontrato i funzionari del governo cinese e le autorità di regolamentazione locali. A marzo, invece, David Solomon di Goldman Sachs, Noel Quinn di Hsbc e Bill Winters di Standard Chartered avevano fatto lo stesso. Incontri, spiegava allora Reuters, dettati da un minimo comun denominatore: la volontà di espandersi e istituire nuove joint venture nella seconda economia mondiale. Tutto questo mentre la rivale newyorkese di Jp Morgan, Morgan Stanley, teneva un proprio evento incentrato sulla Cina a Hong Kong, con la partecipazione di circa 500 dirigenti di 260 aziende cinesi e più di 1.500 investitori globali.
Ora tocca a Janet Yellen capitalizzare il tutto, facendo tesoro delle prove generali di distensione della grande finanza americana. Il segretario al Tesoro incontrerà alti dirigenti cinesi e le aziende americane operanti nel Paese. Già il fatto che parta è un buon segnale, nonostante l’annunciato giro di vite cinese sui metalli rari, che ha tutto il sapore della rappresaglia contro i dazi risalenti all’amministrazione Trump e che sono, giova ricordarlo, ancora in vigore. Ma la posta in gioco è alta e vale la pena tentare. Tra l’aumento generalizzato del costo del denaro, gli effetti distruttivi della guerra in Ucraina (a cominciare dall’inflazione) e uno yuan sempre più debole contro il dollaro, la Cina non può certo permettersi di fare a meno del potenziale economico degli Usa. Lo sa Xi, come lo sa Yellen.