Dal famigerato decreto rave al prelievo sulle banche, sono molte le retromarce del governo. Giorgia Meloni sembra essere passata dalla demagogia al realismo (per esempio sull’Europa), col tempo i fatti daranno la risposta definitiva
È così sin dall’inizio. Andando in ordine cronologico, e senza pretesa di completezza: il decreto sui rave, l’uso di Pos e contante, il contenimento dell’immigrazione clandestina, la bizzarra ricostruzione storica dell’attentato di via Rasella fatta e poi ritrattata dal presidente del Senato La Russa, la nazionalizzazione di Tim annunciata dal sottosegretario Butti, l’atteggiamento nei confronti del salario minimo reclamato dalle opposizioni, l’offensiva sulle compagnie aeree e sulle multinazionali esibita dal ministro Urso, lo stralcio della norma sul 5G dal maxidecreto agostano…
Oggi, sul Foglio, Sabino Cassese dà del fenomeno una spiegazione sistemica di carattere generale. Eccola: “Dalla fine della cosiddetta Prima Repubblica, cioè da quando i partiti hanno cominciato a morire, i leader non hanno più basi sicure e si comportano nel modo criticato in un bel libro scritto dal presidente Kennedy, Ritratti del coraggio: predominio dell’arte del ‘guadagnare voti’ sull’‘arte del governare’. Manca il ‘coraggio politico di fronte alle pressioni elettorali’ perché non si capisce che il disprezzo della popolarità è la ‘virtù massima dell’uomo di stato’ (con queste parole Luigi Einaudi riassumeva il pensiero di Kennedy)”. Le cause, dunque, sarebbero la vacuità identitaria dei partiti politici e la sondaggite che affligge i loro leader.
Ma è sulla questione identitaria che il direttore Claudio Cerasa avanza un dubbio di fondo. Retromarce a parte, Giorgia Meloni sembra essere passata dalla demagogia al realismo (per esempio sull’Europa). La domanda, dice Cerasa, è se si tratti di una “svolte strutturali” o “episodiche”, cioè “destinate a diventare controsvolte alla prima occasione utile”. Col tempo, saranno i fatti a darci la risposta definitiva.