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Un passo avanti e due indietro. Dalla demagogia al realismo? Scrive Cangini

Dal famigerato decreto rave al prelievo sulle banche, sono molte le retromarce del governo. Giorgia Meloni sembra essere passata dalla demagogia al realismo (per esempio sull’Europa), col tempo i fatti daranno la risposta definitiva

Un passo in avanti e due indietro. L’indugiare del governo Meloni sul terreno del realismo politico assomiglia tanto a quelle processioni religiose in cui, appunto, ad ogni passo compiuto spavaldamente in avanti ne seguono un paio mestamente compiuti in direzione necessariamente contraria. L’ultimo caso, le banche. Il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti esclude la tassazione dei cosiddetti extraprofitti, in conferenza stampa Matteo Salvini annuncia che la tassazione si farà, poi si viene a sapere che il governo ammorbidirà la norma, poi si capisce che il Parlamento la depotenzierà ulteriormente.

È così sin dall’inizio. Andando in ordine cronologico, e senza pretesa di completezza: il decreto sui rave, l’uso di Pos e contante, il contenimento dell’immigrazione clandestina, la bizzarra ricostruzione storica dell’attentato di via Rasella fatta e poi ritrattata dal presidente del Senato La Russa, la nazionalizzazione di Tim annunciata dal sottosegretario Butti, l’atteggiamento nei confronti del salario minimo reclamato dalle opposizioni, l’offensiva sulle compagnie aeree e sulle multinazionali esibita dal ministro Urso, lo stralcio della norma sul 5G dal maxidecreto agostano…

Oggi, sul Foglio, Sabino Cassese dà del fenomeno una spiegazione sistemica di carattere generale. Eccola: “Dalla fine della cosiddetta Prima Repubblica, cioè da quando i partiti hanno cominciato a morire, i leader non hanno più basi sicure e si comportano nel modo criticato in un bel libro scritto dal presidente Kennedy, Ritratti del coraggio: predominio dell’arte del ‘guadagnare voti’ sull’‘arte del governare’. Manca il ‘coraggio politico di fronte alle pressioni elettorali’ perché non si capisce che il disprezzo della popolarità è la ‘virtù massima dell’uomo di stato’ (con queste parole Luigi Einaudi riassumeva il pensiero di Kennedy)”. Le cause, dunque, sarebbero la vacuità identitaria dei partiti politici e la sondaggite che affligge i loro leader.

Ma è sulla questione identitaria che il direttore Claudio Cerasa avanza un dubbio di fondo. Retromarce a parte, Giorgia Meloni sembra essere passata dalla demagogia al realismo (per esempio sull’Europa). La domanda, dice Cerasa, è se si tratti di una “svolte strutturali” o “episodiche”, cioè “destinate a diventare controsvolte alla prima occasione utile”. Col tempo, saranno i fatti a darci la risposta definitiva.


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