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Svalutazioni e downgrade. L’estate difficile delle banche americane

Nel giro di poche ore gli istituti statunitensi hanno incassato perdite per 19 miliardi, frutto delle svalutazioni sui crediti a loro volta riconducibili all’aumento dei tassi. Mentre Moody’s declassa alcune banche di media stazza. Ora la Casa Bianca deve accelerare la riforma

Due sirene, da non sottovalutare. A cinque mesi e mezzo dal crack della Silicon Valley Bank e di First Republic (poi salvate ma non certo a costo zero), gli Stati Uniti rivivono un altro brivido. Come a dire, la strada per una completa messa in sicurezza del sistema bancario americano è ancora lunga. Sì, alla Casa Bianca e al Congresso i democratici lavorano all’estensione della garanzia sui depositi anche alle somme di grossa taglia, oltre i 250 mila dollari. E sì, il governo federale punta a rafforzare la vigilanza, onde impedire che la politica monetaria impatti troppo significativamente sulle banche.

Ma basterà? Agli atti c’è la maxi-svalutazione dei prestiti di molti istituti, sull’onda di quei tassi portati dalla stessa Federal Reserve al 5,25%. Si tratta di crediti entrati in sofferenza, perché diventati di difficile recupero visto l’aumento del loro costo. E per questo trasformatisi in perdite per 19 miliardi di dollari, incastonate nel solo secondo trimestre. Si tratta del livello più alto di svalutazioni trimestrali nel giro di tre anni. Dunque, gli istituti di credito Usa hanno registrato 18,9 miliardi di dollari di cosiddetti charge-off, ossia perdite su prestiti classificati come irrecuperabili, con un aumento di quasi il 17% rispetto ai tre mesi precedenti e del 75% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

In totale, le banche hanno perso 61 centesimi per ogni 100 dollari prestati, il massimo dal secondo trimestre del 2020, quando la pandemia stava devastando l’economia. Forse è anche per questo che, ed ecco la seconda sirena, Moody’s Investors Service ha appena abbassato i rating creditizi di 10 banche statunitensi di piccole e medie dimensioni e ha affermato che potrebbe declassare alcuni grandi istituti di credito tra cui U.S. Bancorp, Bank of New York Mellon, State Street, Truist Financial.

Motivando il declassamento del giudizio, l’agenzia di rating ha spiegato che il downgrade riflette “diverse fonti di tensione” sul settore bancario statunitense: pressioni sul funding, debolezze del capitale regolamentare e rischi crescenti associati alle esposizioni immobiliari commerciali. “Collettivamente, questi tre sviluppi hanno abbassato il profilo creditizio di un certo numero di banche statunitensi, anche se non tutte le banche allo stesso modo”. Messaggio chiaro?

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