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Perché il G7 dovrebbe ascoltare le istanze dei Brics. La versione di Sisci

Per il sinologo Sisci, il vertice dei Brics ha mostrato limiti e potenzialità dell’organizzazione. Il gruppo non è unito, ma le sue istanze dovrebbero essere ascoltate dal G7 e dal sistema occidentale che rappresenta

“Il G7 e gli Usa devono affrontare i problemi messi in luce dai Brics e dal suo allargamento”. Parola di Francesco Sisci, sinologo ed editorialista italiano, attento osservatore delle dinamiche asiatiche e di quella parte di mondo in via di sviluppo che spesso viene identificata con il termine inglese Global South. Formiche.net lo ha contattato per analizzare il vertice dei Brics, appuntamento a cui è il nostro sito ha dedicato particolare attenzione perché momento determinante delle dinamiche internazionali del 2023, e dunque degli anni a venire.

La Cina è, con l’India, il grande attore del raggruppamento. Come esce Pechino da questo vertice? Perché ha spinto per l’allargamento? Cosa rappresentano i Brics per la Cina?

La Cina si dimostra una protagonista. È riuscita a ottenere l’allargamento dei Brics che per essa, specie all’interno e verso i Paesi in via di sviluppo rappresentano una piattaforma di sfida al potere del G7 allargato, ormai trasformato in una specie di club anticinese. Quindi è una vittoria. Bisognerà vedere poi come andrà avanti e in che senso. Come elemento positivo è utile che Paesi diversi trovino una piattaforma di dialogo e discussione. Bisognerà capire se e come diventerà più di questo.

I Brics sono un sistema che sembra disunito, ciascun membro ha interessi differenti: è così?

Oggi è una compagine in realtà sparpagliata con intenzioni diverse. Russia e Cina vorrebbero trasformarlo in una piattaforma anti-occidentale e anti-americana, ma dei 5 Paesi fondatori gli altri tre hanno idee diverse. Brasile e Sudafrica hanno sottolineato che si oppongono chiaramente a un’agenda del genere, e l’India è  quasi membro supplente del G7 allargato e membro integrale del Quad, l’organizzazione di difesa in Asia orientale che si oppone alla Cina. Tra i nuovi Paesi ci sono Iran e potenzialmente il Venezuela, con un pedigree anti-occidentale, ma altri sono molto meno militanti. Inoltre l’Indonesia ha rifiutato l’adesione. Arabia Saudita, Emirati, Egitto, Etiopia e Argentina sembrano interessati invece più a una politica dei due forni: ottenere qualcosa dalla Cina e poi “rivenderselo” all’America.

Come potrebbe trovare unità d’azione, oltre che di narrazione?

Per ora l’unità di narrazione è solo l’alterità al G7. Ma il G7 è unito perché c’è una leadership accettata dai membri, gli Usa, c’è unità di valori democratici e di istituzioni di mercato. Nulla di tutto questo c’è nei vecchi o nuovi Brics.

La Cina o la Russia diventano leader? È possibile, ma gli altri membri accetterebbero?

Sui valori istituzionali e di mercato ci sono ugualmente molte diversità con il Paese chiave in questo caso, la Cina, con una moneta il Renminbi non pienamente convertibile e quindi ostacolata nella sua azione di espansione commerciale. Né appare reale la sfida al Dollaro. Oltre alla moneta cinese, la rupia indiana non può circolare all’estero, il rublo russo è sotto sanzioni, e le altre monete non hanno alle spalle volumi e economia tali da rappresentare una sfida al biglietto verde. Piuttosto in queste grida contro il Dollaro si vede una specie di urlo contro un capro espiatorio incolpato di tutte le debolezze invece dagli accusatori. Ma come spiega Girard, alla fine è il capro espiatorio che ricompone l’unità sociale, in questo caso internazionale.

Ma in definitiva, sono un reale contrappeso al G7, come è stato detto più volte in questi giorni? In che misura potrebbero esserlo?

I Brics sono un utilissimo spazio di parola e ascolto, quindi sarebbe folle che il G7 vi si contrapponesse, anzi. Deve diventare un momento di confronto anche per il G7. Cioè, il G7 e gli Usa devono affrontare i problemi messi in luce dai Brics e dal suo allargamento. Il sistema del Dollaro, anche se non è una dittatura è un problema anche solo se percepito come tale. È un altro segnale dello sgretolamento delle strutture emerse 80 anni fa, dopo la fine della guerra mondiale. In realtà i Brics allargati sono un’altra pietra sulla tomba dell’Onu. C’è poi l’indebolimento del Wto, l’organizzazione del commercio mondiale che tanto ha aiutato la Cina nella sua crescita negli ultimi 25 anni. Queste sono tutte sfide che i Brics, forse più del G7, avranno difficoltà ad affrontare, vista la differenza di opinioni al loro interno. Ma Usa e G7, a mio avviso, devono pensare profondamente al futuro del mondo anche alla luce delle istanze dei Brics, e degli avversi all’occidente presenti in questa cornice. Gli avversari spesso sono più utili degli amici troppo fedeli.

Una nota a margine: nelle stesse ore in cui i Brics si riunivano a Johannesburg, a 150 chilometri da Mosca precipitava un aereo con presumibilmente a bordo Yvgeny Prigozhin. Coincidenze o forse no?

È interessante che proprio durante il vertice dei Brics Prigozhin sia stato ucciso in quello che appare come un assassinio politico di cui si sospetta il presidente russo Vladimir Putin. Un’organizzazione che si allarga, si rifonda all’ombra di oscure trame di sangue forse non nasce sotto una buona stella. Oppure rinvia a pratiche antiche quando le alleanze erano battezzate con sacrifici umani. La politica non c’entra con la superstizione certo, ma dalla Russia non arriva un segnale pacifico e ben augurante.

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