Visti gli insuccessi riformatori emersi sino ad oggi, chi può riformare i riformatori? Forse sarebbe il caso che venisse finalmente restituito lo scettro all’unico principe legittimato in Repubblica: i cittadini. L’opinione di Luigi Tivelli
L’Italia e specie la sua classe politica, soffrono da troppo tempo di un’altra malattia di fondo oltre a quello che comunemente viene definito “presentismo”, una malattia che amo definire “oggicrazia”. Il confronto politico e i tentativi riformatori si sviluppano quasi sempre senza memoria storica e senza pensare ai precedenti. Diceva giustamente Tocqueville che “quando il passato non illumina più il futuro lo spirito cammina nelle tenebre”. Una condizione che possiamo osservare in tanti scenari odierni…
Ad esempio, quante vantate riforme della Pubblica amministrazione ci sono state? Quasi tutte ridicole e che non hanno lasciato nessun segno (se non qualche danno…). Quante riforme della Scuola? Ricordo benissimo, anche perché vi ho dedicato un libro, “Le riforme di Matteo Renzi” che aveva lanciato lo slogan “una riforma al mese” che io definivo “le riforme fatte sul tapis roulant”. Renzi, infatti, sembrava preso da una fretta dannata non solo di tipo rottamatore, ma anche come vantato riformatore. Però mi chiedo: che segno ha lasciato la riforma della “buona scuola” di Renzi? Che segno ha lasciato la riforma Madia della Pubblica amministrazione?
Qualche segno, per fortuna, lo ha lasciato il Jobs Act, anche se con alcuni aspetti un po’ critici. Ma la verifica dei precedenti e il recupero della memoria storica delle riforme potrebbe andare bene oltre. Ad esempio, ricordo di aver dovuto e voluto leggere come non pochi addetti ai lavori allora, un volume che racchiudeva tutte le dichiarazioni programmatiche di tutti i presidenti del Consiglio. Regolarmente in tutte c’è sempre stata una declamazione e un impegno sulla lotta all’evasione fiscale. Ancora oggi siamo a 90-100 miliardi l’anno di evasione con qualche leader politico che inventa qualche strana proposta che più che un freno è un incentivo ad essa, contribuendo così ad aggirare i target fissati anche per il contrasto all’evasione fiscale dal Pnrr. Si finisce così anche per stoppare i possibili effetti positivi di quel dignitoso e concreto tentativo che è la “delega fiscale” promossa da un viceministro competente e serio, anche come già direttore generale del ministero delle finanze, come Maurizio Leo.
Quanto alla giustizia, quale segno ha lasciato la riforma Cartabia del Csm? Il Csm è sostanzialmente identico a prima e il modello su cui si basa ancora è essenzialmente la fonte della correntocrazia e della politicizzazione della magistratura. Ci saranno pure delle ragioni delle mancate riforme e dei limiti e dei ritardi dell’attuazione che abbiamo visto e vedremo legate al Pnrr? Ho sempre trovato come risposta più significativa a questo quesito il concetto di “feudalesimo di ritorno” sviluppato da Guglielmo Negri, specie negli anni 80, prima sul Corriere della Sera e poi sul Messaggero, e in qualche suo splendido libro.
Il quadro politico e burocratico di governo della società italiana e molti snodi della stessa società sono, infatti, ancora oggi impregnati di una cultura sostanzialmente corporativa. Siamo pieni dappertutto di clan, gilde, cerchi magici, corporazioni che non solo ostacolano le riforme, ma spesso sono sostenute e coccolate dal potere politico, dalla troppa economia pubblica e dal potere burocratico. Si pensi alla concorrenza: quante leggi annuali sulla concorrenza, che dovrebbero essere un impegno annuale di legge, si sono fatte? Mi pare due in tutto, invece che di una quindicina. Ed entrambe già limitate in partenza, e giunte sfibrate e sfiancate, senza sostanziali effetti all’approvazione del Parlamento.
Mario Draghi ha provato a rilanciare questo strumento collegandolo al Pnrr, ma sembra che buona parte della classe politica, quando si parla di concorrenza, pensi solamente alla difesa dei balneari e dei taxisti. La sinistra che ha governato molto di più nell’ultima fase ha delle gravissime responsabilità in questo. Ma la Destra, che con il presidente Meloni ha provato ad alzare la bandiera della meritocrazia, se non acquisisce cultura della concorrenza non riesce ad incidere minimamente sui veri nodi del sistema economico sociale.
Soprattutto in quanto meritocrazia e concorrenza sono “sorelle gemelle” perché non ci può essere meritocrazia senza concorrenza, né ci può essere una vera concorrenza senza meritocrazia. Quale riflessione e analisi è stata poi condotta sulle vergogne della scorsa legislatura, escluso il governo Draghi, sugli effetti della fiera dei bonus non solo sulla spesa pubblica, ma anche sulla diseducazione civile dei cittadini. Tanto più che non pochi bonus come ad esempio quello delle carte di credito e soprattutto il nefasto 110% finivano per finanziarie i furbetti e i ricchi.
Potrei proseguire, ma per ora mi fermo qui, ponendo un semplice quesito: visti gli insuccessi riformatori emersi sino ad oggi, chi può riformare i riformatori? Forse sarebbe il caso che venisse finalmente restituito lo scettro all’unico principe legittimato in Repubblica: i cittadini.