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Dalla deflazione alla stagnazione. Il torpore cinese secondo Foreign Affairs

Xi avrà anche avuto il merito di portare nel Dragone un nuovo concetto di investimento, a cominciare dalle infrastrutture. Ma alla fine non è bastato a salvare Pechino dall’immobilismo in cui è precipitata, che apre la strada a una pericolosa decrescita. Non solo per l’economia

I cinesi la chiamano neijuan, letteralmente involuzione. Una parola che forse lo stesso Xi Jinping ha imparato a conoscere, a toccare con mano, a sperimentare sulla sua pelle. L’economia cinese è spompata e questo può essere un problema per il mondo (qui il colloquio con l’ex ministro dell’Economia e presidente della Commissione Esteri, Giulio Tremonti). Sicuramente lo è per il governo del Dragone, che forse non aveva previsto tutto questo.

Nemmeno di vedere con i suoi occhi decine di lavoratori impiegati presso Country Garden, uno dei maggiori gruppi del mattone in Cina, in piena insolvenza, vagare spaesati e senza stipendio tra i cantieri del colosso. E allora ecco l’era della grande involuzione cinese, messa ben in evidenza da Ian Johnson su Foreign Affairs. “Da più di un anno gli economisti sostengono che la Cina si stia avviando verso un periodo di rallentamento della crescita economica. Per spiegare ciò, hanno citato i cambiamenti demografici, il debito pubblico e i minori guadagni di produttività, nonché la mancanza di riforme orientate al mercato. Alcuni hanno parlato di picco della Cina, sostenendo che la traiettoria economica del Paese ha già o raggiungerà presto il suo apice e potrebbe non superare mai in modo significativo quella degli Stati Uniti. L’implicazione è spesso che se solo Pechino modificasse la sua gestione economica, potrebbe mitigare i risultati peggiori ed evitare un declino più pericoloso”, premette Johnson.

Che poi arriva al punto. “Per chiunque abbia osservato da vicino il Paese negli ultimi decenni, è difficile non notare i segnali di una nuova stasi nazionale, o ciò che i cinesi chiamano neijuan. Spesso tradotto come involuzione, si riferisce alla vita che si torce verso l’interno senza un reale progresso. Il governo ha creato il proprio universo di app e software per telefoni cellulari, un’impresa impressionante ma mirata a isolare i cinesi dal mondo esterno piuttosto che a collegarli ad esso. I gruppi religiosi che un tempo godevano di una relativa autonomia – anche quelli favoriti dallo Stato – devono ora fare i conti con restrizioni onerose. Le università e i centri di ricerca, molti dei quali con ambizioni globali, sono sempre più tagliati fuori dalle loro controparti internazionali. E le piccole ma un tempo fiorenti comunità cinesi di scrittori, pensatori, artisti e critici indipendenti sono state completamente portate alla clandestinità, proprio come le loro controparti sovietiche del XX secolo”.

“Da quando Xi è salito al potere nel 2012, ha realizzato alcune imprese impressionanti, tra cui il completamento di una rete ferroviaria nazionale ad alta velocità, lo sviluppo di una leadership dominante nelle tecnologie per le energie rinnovabili e la costruzione di uno degli eserciti più avanzati del mondo. Eppure il neijuan ora permea tutti gli aspetti della vita nella Cina di Xi, lasciando il Paese più isolato e stagnante che in qualsiasi periodo prolungato da quando Deng (ex leader della Cina, ndr) ha lanciato l’era delle riforme alla fine degli anni ’70″. Insomma, il Dragone è come precipitato in una sorta di torpore economico e industriale, ancor prima che politico.

Di qui una conclusione. “Per molti che vivono in quest’era di neijuan, la domanda è quanto durerà. Sebbene il partito comunista cinese di oggi differisca dalle sue controparti storiche di altri Paesi, alcuni pensatori cinesi vedono ampi paralleli tra la svolta interna della Cina e l’atmosfera soffocante dei Paesi del blocco orientale durante il culmine della Guerra Fredda. Un’analogia sorprendente che alcuni menzionano è il Muro di Berlino. Quando fu eretto per la prima volta nel 1961, questo simbolo dell’oppressione comunista consisteva in rotoli di filo spinato tesi in mezzo alla strada; solo gradualmente acquisì la sua forma finale come una serie quasi impermeabile di barriere di cemento rinforzate da una rete di torri di guardia e proiettori. Fin dall’inizio, sembrò dimostrare l’intrinseco fallimento dello Stato della Germania dell’Est nel costruire un luogo desiderabile in cui vivere, e molti lo vedevano come un tentativo anacronistico di rinchiudere le persone nel proprio paese. Ma il muro non ha potuto salvare la Repubblica Democratica Tedesca”.



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