L’economista e imprenditore, grande esperto del Dragone, ha pochi dubbi. I prezzi in Cina sono in caduta libera perché le imprese tagliano i costi per i consumatori, i quali sperano in ulteriori ribassi, congelando la spesa. Lo spaesamento del partito e la paralisi di una nazione
Il mondo intero combatte contro i prezzi troppo alti, che uccidono i consumi o, nella migliore delle ipotesi, ridisegnano la geografia della spesa. Il mondo, tranne la Cina. Sì, perché tra i mille acciacchi del Dragone, c’è anche l’esatto opposto: prezzi troppo bassi. In una parola, la deflazione. Poche ore fa Pechino è entrata in deflazione per la prima volta da oltre due anni, appesantita da un consumo interno fiacco che sta complicando la ripresa economica.
La deflazione è l’opposto dell’inflazione, ovvero il calo dei prezzi di beni e servizi. Anche se sulla carta può sembrare una cosa positiva per il potere d’acquisto, essa è una minaccia per l’economia. Invece di spendere, i consumatori rimandano gli acquisti nella speranza di un’ulteriore riduzione dei prezzi. In assenza di domanda, le aziende sono costrette a ridurre la produzione, a congelare le assunzioni o a licenziare e ad accettare ulteriori sconti per smaltire le scorte, il che pesa sulla loro redditività perché i costi rimangono invariati.
Ed ecco la realtà dei fatti. L’indice dei prezzi al consumo in Cina, il principale indicatore dell’inflazione, è sceso dello 0,3% su base annua a luglio, secondo l’Ufficio nazionale di statistica (Nbs). Gli analisti si aspettavano un calo dei prezzi dello 0,4%, dopo l’inflazione zero del mese precedente. Su base mensile i prezzi al consumo segnano +0,2% da -0,2% precedente e contro stime per -0,1%. Male anche i prezzi alla produzione: -4,4% annuo, peggio delle attese di -4,1% e meglio del -5,4% di giugno.
Domanda, che cosa sta succedendo? Formiche.net lo ha chiesto a chi di Cina se ne intende, Alberto Forchielli, economista, saggista e imprenditore fondatore di Mandarin Capital (oggi Mindful Capital Partners). “I consumatori non consumano più e le imprese non investono”, premette Forchielli, raggiunto a Singapore. “Di conseguenza le aziende per vendere abbassano i prezzi e così facendo alimentano la deflazione. Poi, vedendo che i prezzi scendono gli stessi consumatori pensano che i costi possano ancora diminuire e allora congelano le spese, facendo abbassare i prezzi. Si capisce come sia un meccanismo dal quale è difficile uscire, una spirale. La cosa che colpisce è che il partito è rimasto inerme dinnanzi a tutto questo. C’è chi dice che la catena di comando tra governo ed economia reale sia ormai bloccata. Altri sostengono che Pechino non vuole fare altro deficit, spendendo soldi pubblici”.
Non è tutto. “Questi periodi di down, come quello attuale, di solito i cinesi li superano spendendo molti soldi pubblici in opere. Ma anche qui c’è un problema, la Cina è già molto bene attrezzata in termini di infrastrutture, dunque c’è poco da spendere. Non è tanto che i soldi sono finiti è che non c’è molto da costruire. Per questo dico che nei fatti la Cina è paralizzata: non sa dove poter spendere e i consumatori sono bloccati nelle spese quotidiane, perché sperano in una ulteriore riduzione dei prezzi. Pensi che il Giappone sono 30 anni che non esce dalla deflazione”. Ma allora che ne è del miracolo cinese? “Il miracolo c’è stato, ma al massimo è finito. E la vuole sapere una cosa? Per il mondo non è un problema, dovremo digerire un po’ di decrescita cinese, ma non starei troppo a preoccuparmi: la ripresa del Dragone non ha mai fatto bene a nessuno”.