Pechino invierà un funzionario al tavolo di mediazione con l’Ucraina che l’Arabia Saudita ha messo insieme per la pace. La Cina è sempre preoccupata della situazione
Alla fine, anche la Cina avrà una sua presenza al vertice saudita sulla pace in Ucraina. Pechino sarà rappresentata da quello che i media americani chiamano (con la solita semplificazione anglosassone) “peace envoy”: l’inviato per la pace è Liu Hui, rappresentante speciale del governo cinese per gli Affari eurasiatici, già presente all’interno del dossier ucraino (viaggi a Kiev, a Mosca e in Europa dopo che Pechino ha presentato il suo piano negoziale). Per dieci anni ambasciatore in Russia, fino al 2019 quando è rientrato al ministero con un ruolo più ampio, Liu ha visto fiorire le relazioni tra Mosca e Pechino e fluidificato la crescita della partnership — tanto da ricevere il prestigioso Ordine dell’Amicizia da Vladimir Putin in persona — e segue le questioni regionali dai tempi dell’Unione Sovietica. Liu è un esperto, molto più esperto su certi temi di diversi funzionari internazionali che troverà davanti a sé in Arabia Saudita.
Liu è stato anche un convinto sostenitore del rafforzamento delle relazioni sino-russe da prima che i due Paesi si accordassero per una partnership “senza limiti”. Nel 2020, ha scritto che le due nazioni avrebbero continuato a impegnarsi in una partnership “spalla a spalla” di fronte al “bullismo” di alcuni Paesi “egemoni”, con un riferimento scontato agli Stati Uniti e ai loro alleati. “I due Paesi rafforzeranno ulteriormente la cooperazione per salvaguardare le rispettive sovranità, sicurezza e integrità territoriale e per affrontare le varie minacce e sfide alla sicurezza, tradizionali e nuove”, aveva scritto in un’ottica che oggi “appare preveggente”, ha fatto notare il Japan Times. Eppure Li non sarà certamente a Riad a nome di Mosca: la sua presenza è la necessaria risposta cinese all’organizzazione della riunione da parte dei sauditi — amici speciali di Pechino che hanno pensato alla riunione anche in salsa Brics, organizzazione in cui ambiscono di entrare.
Soprattutto Liu sara presente perché la Cina potrebbe essere entrata in una fase di cambiamento di linea sulla situazione in Ucraina. Non significa che inizierà un sostegno a Kyiv, ma è in corso una retorica, diretta e indiretta, che segna una modifica alla narrazione. A livello indiretto, per esempio, Pechino sa che la partecipazione al vertice è apprezzata da Washington e Bruxelles, che — stando a quanto sostengo alcuni rumors — avrebbero accettato di organizzare questo secondo round di incontri a Gedda (il primo di questo genere era stato a Copenaghen) anche per cercare la partecipazione cinese. A livello diretto invece occorre leggere in controluce le parole di figure come Geng Shuang, vice capo missione cinese all’Onu, che nei giorni scorsi ha parlato della situazione in Ucraina in una seduta del Consiglio di Sicurezza.
Geng in parte ripete quanto noto: massimo controllo per evitare escalation nucleari (anche con riferimento diretto al destino di Zaporizhzhia), necessità di colloqui di pace, evitare effetti spill-over in altre regioni di mondo. Ma il punto sta nella sottolineature date sulla necessità di “controllare” la situazione, che è “ancora impantanata” (come aveva detto già settimane prima) e su cui Pechino per certi versi ammette di non aver avuto un impatto efficace. Da quando è iniziata “la crisi” — per ora Pechino continua a non chiamarla guerra, come fa anche la Russia — “è diventata sempre più lunga, estesa e complessa, coinvolgendo sempre più crudeltà, pericolo e imprevedibilità”, aveva detto Geng in un’altra occasione, il 17 luglio. Per la Cina, “non c’è fine in vista”, ma anzi una “espansione” degli scontri, ha ripetuto al Palazzo di Vetro.
Alla luce di questo, Pechino insiste sul preservare i civili (sia persone fisiche che infrastrutture) e batte su temi come la food security (Geng ha detto che la Cina sta lavorando per ricomporre l’accordo sull’export di grano rotto dalla Russia). Obiettivo: “Incoraggiare e aiutare le parti a intensificare l’impegno e cercare soluzioni che soddisfino le reciproche preoccupazioni in modo coerente con le realtà regionali”. Quanto offre Geng è solo velatamente oltre oltre alle solite posizioni portate avanti in questi mesi dalla Cina. Posizioni che ruotano attorno al rispetto della Carta delle Nazioni Unite, della sovranità e integrità territoriale, delle legittime preoccupazioni per la sicurezza dei singoli Paesi — le ultime due, come noto, sono forme di legittimazione sia della posizione di Kyiv che di Mosca. Ciò che pare in fase di cambiamento è la retorica attorno alla “situazione sempre più preoccupante” percepita da Pechino. Data per sincera la linea, anche sulla base di questa vanno lette le scelte di coinvolgimento cinesi.