Secondo Federico Borsari, fellow del Center for European Policy Analysis, l’impiego dei droni ha permesso a Kyiv di colmare un gap tra le sue capacità militari e quelle di Mosca, incrementando esponenzialmente l’efficacia delle sue operazioni belliche nella loro verticalità. E l’Europa deve prendere appunti
Anche se la controffensiva sul terreno stenta a guadagnare sufficiente spinta propulsiva, la risolutezza di Kyiv nel confronto militare continua ad essere alta. Durante gli ultimi giorni sono stati riportati numerosi attacchi ai danni dei più disparati bersagli sia all’interno dei confini “internazionalmente accettati” della Federazione Russa che nei territori occupati dalle forze di Mosca. Questi attacchi, non ufficialmente rivendicati dall’Ucraina che rimane comunque la principale se non l’unica sospettata, hanno visto gli Uncrewed Aerial Systems (Uas), definizione tecnica dei droni, nel ruolo di protagonisti. Formiche ha discusso dell’impiego di queste tecnologie con Federico Borsari, Leonardo fellow del Center for European Policy Analysis (Cepa) ed esperto in materia.
Negli ultimi giorni abbiamo assistito a un intensificarsi degli attacchi di droni contro bersagli interni alla Federazione Russa. Qual è la ratio dietro a quest’escalation?
Dipende. Gli attacchi ai danni di obiettivi non militari, in aumento dal mese di maggio, sono finalizzati ad ottenere un effetto principalmente piscologico. Attaccando, anche ripetutamente (come nel caso del grattacielo nel centro di Mosca colpito due volte nell’arco di 72 ore), questo genere di bersagli si va a danneggiare il morale della popolazione russa e ad instillare in lei sentimenti di insicurezza verso le Forze Armate e la leadership del paese, incapaci di difendere le città e la popolazione civile dagli attacchi nemici in una guerra che proprio loro hanno voluto scatenare. Allo stesso tempo, Kiev riesce a dimostrare di poter colpire dove vuole. E l’impatto sul fronte interno russo è notevole. Ma, nonostante l’alto impatto mediatico, questi non sono gli unici tipi di attacco registrati dalla Federazione Russa.
Cosa intende?
Che oltre agli attacchi su obiettivi civili sono stati portati avanti anche operazioni atte a danneggiare la macchina militare russa. Industrie, raffinerie, depositi di carburante, infrastrutture. Tutti bersagli critici, facilmente attaccabili dai droni anche a distanze significative. Mosca può lanciare frequenti attacchi con missili balistici e da crociera a lunghissimo raggio contro i bersagli ucraini, ma Kiev non ha queste capacità (tranne forse qualche vecchio residuato di epoca sovietica, in numeri troppo limitati e con raggio troppo limitato per fare la differenza). Ma l’impiego dei droni permette di ovviare a questa mancanza, arrivando a bersagli meno accessibili ad altri tipi di armamenti. Come quelli che si trovano nel cuore della Russia, o anche in Crimea.
A proposito di Crimea, pensa che i droni possano essere la chiave di volta per l’agognata riconquista della penisola o per l’assedio della stessa?
Le caratteristiche dei droni li rendono perfetti per ingaggiare bersagli in Crimea, data la sua distanza intermedia e le forti difese installate dalle forze armate russe nel settore. Soprattutto un loro impiego in grandi quantità permetterebbe di saturare le difese anti-aeree di Mosca. Ma non si può pensare di utilizzarli da soli. Anche oggi, assieme ai droni le forze ucraine impiegano i missili SCALP e Storm Shadow di manifattura occidentale per gli attacchi mirati contro la penisola. Nella guerra, tranne l’arma nucleare, non esistono game-changers.
Anche nei combattimenti lungo il fronte i droni continuano a rivelarsi fondamentali. Quali sono i vantaggi concreti che si possono trarre dal loro impiego sui campi di battaglia ucraini?
Difficile fare une un elenco preciso, anche perché è tutto molto legato al contesto del loro impiego. Ci sono però alcune questioni oggettive legate a questi sistemi. Innanzitutto, l’uso dei droni comporta un vantaggio informativo. Il “campo di battaglia trasparente”, locuzione sempre più diffusa, fa riferimento proprio alle capacità Isr (intelligence, surveillance, reconnaissance) garantite dai velivoli senza pilota. Nel contesto ucraino, questa dinamica di sorveglianza costante si sta manifestando su larga scala, risultando determinante in una situazione di conflitto convenzionale ad alta intensità. Inoltre, i droni offrono una strike capability ad un costo relativamente basso. Le loitering munitions, altresì note come droni kamikaze, ne sono un esempio perfetto: esse possono essere infatti guidate dall’operatore fino al momento esatto dell’impatto con il bersaglio, e sono un’alternativa molto più economica rispetto ai missili, seppur con un minor potenziale esplosivo. L’impiego estensivo dei Shahed di produzione iraniana e del sistema Lancet da parte di Mosca si sta rivelando una spina nel fianco per le forze armate ucraine. Infine, c’è un valore propagandistico molto forte. La diffusione delle riprese video fatte dai droni durante le azioni si sono dimostrate utilissime in tal senso.
La guerra in Ucraina è l’ennesima conferma dell’importanza dei droni nei vari livelli della dimensione militare. Gli Stati Uniti hanno già appreso da tempo questa lezione. A che punto sono invece l’Europa e l’Italia?
In Europa stiamo imparando, grazie anche alle vicende ucraine che hanno avviato un percorso di riflessione significativo. Ma siamo ancora indietro nel processo di integrazione di questa tecnologia, tanto a livello di dottrina militare e integrazione quanto a livello industriale. Non che ci mancassero le capacità, anzi. Direi che è una questione più legata ad uno scarso interesse che per anni abbiamo avuto nei confronti di questa tecnologia specifica. Viceversa, altri paesi (Usa, Israele, Turchia e Cina) hanno cavalcato quest’onda, sfruttandone i benefici, probabilmente anche per necessità legate a una differente visione della politica estera. Ci sono esperimenti importanti a livello europeo come il cosiddetto Eurodrone, il cui progetto vede la partecipazione di diversi paesi (Italia compresa); ma rimane un progetto di lungo periodo, che non porterà risultati concreti prima della fine di questo decennio. Sul piano nazionale, abbiamo punti di riferimento importanti: Leonardo ha sviluppato una propria linea di UAS che continua a migliorare in modo costante. Ma come già detto, il problema è più burocratico e di visione che di capacità tecnologica. In questo senso c’è un gap che deve assolutamente essere colmato, sia in Italia che in Europa.