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Così l’Africa guarda ai Brics

I Paesi dell’Africa sono ispirati dai Brics: ne seguono le narrazioni e vorrebbero esserne parte delle attività. Ma non vedono il gruppo come un blocco anti-occidentale, ma come un altro vettore del desiderio di multi-allineamento

Non solo perché dopo l’incontro ospitato a Johannesburg, in Sudafrica, Egitto ed Etiopia sono due dei sei Paesi invitati per avviare il processo di allargamento del gruppo. Ma è per interessi strutturali che il vertice del gruppo Brics – il blocco composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – ha attirato l’attenzione dei Paesi africani. L’interesse dell’Africa verso i Brics è radicato nella necessità di trovare alternative per lo sviluppo, considerando le sfide economiche e geopolitiche che per anni hanno impedito – e tutt’ora impediscono, con l’aggiunta di quelle legate ai cambiamenti climatici  e quelle mai sopite dei colpi di mano istituzionali – un progresso sostenibile nel continente.

I Brics rappresentano un’opportunità per l’Africa in quanto possono offrire risorse finanziarie, investimenti e collaborazioni che potrebbero contribuire a superare alcune delle barriere allo sviluppo. Questo potrebbe includere finanziamenti per progetti infrastrutturali, accesso a mercati commerciali diversificati e cooperazione tecnologica. La questione in ballo è se certe dinamiche riusciranno a dipanarsi in termini di rapporti multilaterali o sono solo affidate alle relazioni bilaterali. La sfida riguarda i Brics stessi, tutt’altro che corpo unico e monolitico, divisi su molti aspetti a cominciare dall’indecisione sull’allargamento – tema di fondo dell’incontro sudafricano.

Almeno 30 degli oltre 60 capi di Stato e di governo invitati a partecipare all’incontro provenivano dall’Africa. Perché? Perché oltre a tutto quello già elencati, discussioni come quelle sulla de-dollarizzazione e sui modi per aumentare l’uso delle valute locali negli scambi commerciali – non su una moneta comune, ancora lontana dal poter essere realizzabile – sono allettanti. Ma senza la possibilità di essere parte alle attività operative, tutto il fascino scema. Il timore, spiega un diplomatico africano parlando a condizioni di riservatezza, è che il “non-blocco dei Brics diventi, anche allargandosi, una sfera di influenza della Cina, ed è quello che non vogliamo: passare da forme di influenza ad altre. Cerchiamo spazi per i nostri interessi sovrani, ma vediamo che aumenta l’utilizzo del renminbi cinese e temiamo che possa diventare una nuova dollarizzazione. Bene quindi che Etiopia ed Egitto si uniscano al Sudafrica: diventeremo così il continente più rappresentato nel raggruppamento e speriamo che possa essere utile per farci ascoltare”, spiega.

Mentre un numero crescente di Paesi africani, tra cui Mauritius, Nigeria e Zambia, utilizza già il renminbi come valuta di riserva, nell’approccio generale alle dinamiche internazionali ha valore anche il peso storico del colonialismo. La narrazione di Paesi come Cina e Russia cerca di discernere tra le colpe occidentali del passato e le opportunità che Pechino e Mosca offrono nel presente, ma in molti ambienti viene percepito lo scopo strategico di certi discorsi e si valuta la necessità di un multi-allineamento sovrano. Ambizione complessa, ma elemento per leggere il contesto con occhi meno occidentalizzati.

Durante la Guerra fredda, la stabilità e la sovranità di molti Paesi africani sono state minate a causa del loro allineamento con le grandi potenze, ma “questa esperienza ci ha convinti della necessità di cercare partnership strategiche con altri Paesi piuttosto che essere dominati da altri Paesi”, ha detto in un discorso alla vigilia del vertice il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa (che ha il doppio ruolo di membro e vettore per il dialogo con l’Africa). Ramaphosa ha sottolineato che il Sudafrica sostiene l’espansione dei Brics e la collaborazione con altre nazioni africane, attraverso la quale il “continente può sbloccare le opportunità per aumentare il commercio, gli investimenti e lo sviluppo delle infrastrutture” Per lui l’espansione soddisferebbe “il desiderio comune di avere un ordine globale più equilibrato”.

I Paesi Brics rappresentano oltre il 40% della popolazione mondiale e a marzo hanno superato i Paesi del G-7 in termini di Pil. La potenzialità attrattiva ha una sua concretezza, per questo ci sono una ventina di nazioni desiderose di aderire. Tra queste anche big africani e se Egitto ed Etiopia hanno ricevuto la green card, altri come Algeria e Senegal stendono in cima alla lista il loro turno (criteri di espansione, quanto e come, sono stati un altro argomento di discussione dell’incontro).

L’ampia partecipazione africana al vertice dei Brics evidenzia l’insistenza del continente sulle modifiche da apportare alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale. Secondo il network algerino Ennahar, l’Algeria ha per esempio presentato una richiesta per diventare membro azionista della Nuova Banca di Sviluppo dei Brics con un contributo di 1,5 miliardi di dollari. Algeri, un fornitore di gas vitale per l’Europa dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ha dovuto affrontare le pressioni dei funzionari statunitensi per smettere di acquistare armi da Mosca. Il Paese nordafricano ha cercato di aderire ai Brics per garantire i propri interessi commerciali sovrani con Pechino e Mosca. E ha scelto la porta finanziaria come fatto dall’Arabia Saudita: mossa pragmatica e funzionale.

L’Egitto ha già aderito alla banca a febbraio per contribuire ad alleviare la carenza di dollari. A giugno, il ministro egiziano dell’Approvvigionamento Ali Moselhy ha dichiarato che il Cairo intendeva pagare le importazioni da India, Cina e Russia nelle rispettive valute locali anziché in dollari. Molti leader africani ritengono che il dominio del dollaro sul sistema finanziario globale ostacoli la crescita economica dei loro Paesi, in particolare dopo che i rialzi dei tassi d’interesse statunitensi e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia hanno rafforzato la moneta americana rispetto a quasi tutte le principali valute e aumentato il costo delle importazioni di beni valutati in dollari.

E però, al di là dell’enorme narrazione (anche spinta dagli anti-occidentalisti occidentali), le azioni sono rimaste limitate. Sui vantaggi dell’adesione ai Brics pesa il ruolo della Cina, sia in termini di schieramento politico – il rischio di apparire parte di un sistema eccessivamente sbilanciato sulla linea anti-occidentale, non a caso su questo il Sudafrica è stato perentorio nel negare certe deviazioni – che in termini economici. Se la Cina non va, come attualmente, manca il motore propulsivo al gruppo, tanto più se la Russia è diventata uno Stato paria e se l’India sembra interessata a far valere il suo eccezionalissimo (equilibrato tra Occidente e Sud del mondo) anche all’interno dei Brics. Basta un dato: solo il 6% circa del commercio totale dei membri dei Brics avviene tra loro. È una percentuale che racconta di come i Brics da soli non sono in grado di sopravvivere — per ora.

Considerazioni che stanno già portando conseguenze. Per esempio: la Nigeria, uno Stato non allineato e la più grande economia africana, interessata alla richiesta di riforme del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite da parte del blocco, ma anche favorevole al rafforzamento dei partenariati occidentali, aveva preso in considerazione la possibilità di aderire ai Brics. Ma i funzionari nigeriani hanno scelto, per il momento, di dare priorità alle molteplici crisi interne piuttosto che all’adesione ai Brics.

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