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Il costo della guerra. Così Mosca ha adattato la sua economia al conflitto

L’economia russa ha resistito ai contraccolpi del conflitto e essere ancora in uno stato ottimale. Tuttavia, quest’efficienza non può durare per sempre… Quali sono gli orizzonti temporali?

A diciotto mesi dall’invasione su larga scala dell’Ucraina, l’economia della Federazione Russa continua ad essere lontana dal tracollo. Anzi, in alcuni settori sta attraversando un “momento di floridità”: la produzione di veicoli blindati cingolati o semi-cingolati registrata nel giugno di quest’anno, ad esempio, è aumentata del 50% rispetto al giugno 2022, mentre la Banca Centrale riporta che nel primo trimestre del 2023 le imprese abbiano registrato la carenza di lavoratori più alta sin dal 1998, primo anno in cui simili dati sono stati raccolti.

Ovviamente, questo genere di cifre è prettamente contingenziale. Dati simili sono tipici di situazioni di conflitto, con la produzione militare sostenuta da una crescente spesa pubblica e l’arruolamento di persone in età lavorativa che attinge dagli stessi bacini di riferimento dell’impresa. Così come lo è un’inflazione rampante, altro fenomeno registrato in Russia nel periodo successivo all’inizio delle ostilità. Insomma, una vera e propria economia di guerra, ristrutturata ad hoc per garantire la massima efficacia dell’apparato bellico al minimo costo da parte della società.

Una macchina, quella messa in moto da Putin, che al momento sembra reggere alle pressioni esterne. Anche a quelle sanzioni occidentali, e in particolare quelle sulle esportazioni di petrolio e gas naturale, che hanno danneggiato in modo più che consistente le entrate di Mosca. Ma allo stesso tempo non sufficiente da garantire la superiorità materiale necessaria a sopraffare le forze ucraine che difendono il loro territorio col sostegno degli alleati occidentali.

Tuttavia, questa macchina non riuscirà a rimanere per sempre in moto. Seppur priva di effetti collaterali rilevanti nel breve-medio periodo, un’economia di guerra come quella che pianificata dal Cremlino è destinata per sua natura ad arrivare ad un punto di rottura, il che significherebbe la fine degli sforzi egemonici e dei sogni imperialistici di Vladimir Putin oltre che, probabilmente, dalla sua salda presa sul potere.

Sapendo che questo assetto produttivo non è in grado, in base a quanto dimostrato dalla situazione sul campo, di fornire alle forze armate di Mosca la chiave della vittoria, quella della Federazione Russa dev’essere inquadrata per forza di cose come una lotta contro il tempo. Ma quali sono le scadenze?

Una, la più importante, ha una data palese: novembre 2024, quando si terranno le elezioni americane. Dalle quali potrebbe uscire un vincitore (magari un ex-presidente) fautore di una decisa inversione di marcia nei confronti del sostegno politico e militare a Kyiv. Più in generale, la speranza di Putin è che il tempo eroda il consenso popolare per il supporto all’Ucraina nel resto dei paesi occidentali. Venuto meno questo, sarebbe molto più facile per le forze di Mosca poter ribaltare la situazione. O quantomeno costringere Kyiv ad accettare un compromesso tutt’altro che favorevole nei suoi confronti.

E Putin ha a disposizione ancora diverse opportunità da sfruttare per allungare il tempo di resistenza della sua struttura bellico-economica. Come, ad esempio, attingere al National Welfare Fund, un tesoretto destinato ad essere utilizzato in situazioni di emergenza. O incrementare l’emissione dei bond, così da avere una maggiore liquidità da impegnare nella produzione bellica.

E ancora l’imposizione di controlli sui capitali e l’obbligo per gli esportatori di convertire in rubli i guadagni in valuta estera, così da limitare la fuga di capitali (nel primo caso) e da arginare il crollo della moneta nazionale (nel secondo).

In ultima istanza, il governo potrebbe ricorrere ad un aumento delle tasse, o al dirottamento di risorse dalle spese non-militari a quelle militari. Tuttavia, queste ultime opzioni causerebbero un contraccolpo a livello sociale, un fenomeno che il Cremlino sta cercando di evitare a tutti i costi sin dall’inizio del conflitto, o meglio, dell’“Operazione Militare Speciale”. Già la mobilitazione parziale e le nuove tornate di arruolamento che paiono ormai imminenti, assieme alla lunga e imprevista durata della guerra, sono state causa di malumori per la popolazione. Ulteriori pressioni in questo senso potrebbero portare a effetti indesiderati. Soprattutto con l’avvicinarsi nelle consultazioni elettorali anche in Russia. A ulteriore riprova di come il conflitto in Ucraina, più che alla sopravvivenza della Federazione Russa, è legata alla sopravvivenza del regime putiniano. Anche se le due cose potrebbero essere più interconnesse di quanto possa sembrare.

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