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DeSantis in difficoltà, Hailey brilla, Trump in testa. Gramaglia sul dibattito repubblicano

Nella sua analisi, l’esperto di politica Usa non si sofferma solo sull’andamento del dibattito e sui suoi punti principali, ma su tutte le dinamiche che caratterizzano la sfida per la nomination repubblicana. Con una curiosità…

La città di Milwaukee, nel Wisconsin, ha ospitato lo scorso 23 agosto il primo dibattito tra i candidati alla nomination presidenziale per il Grand Old Party. Hanno partecipato “soltanto” in otto: due candidati non sono stati invitati poiché non in grado di soddisfare i requisiti richiesti, mentre un altro – l’ex presidente Donald Trump – ha rifiutato l’invito alla partecipazione, suscitando curiosità e dubbi. A rispondere a quelli di Formiche.net si è prestato Giampiero Gramaglia, giornalista ed esperto di politica statunitense.

Al primo dibattito per la nomination repubblicana alla corsa presidenziale hanno partecipato in 8 candidati. Tra questi non c’era Donald Trump, che secondo i sondaggi mantiene fermamente il primo posto, con uno scarto abbastanza elevato. Crede che Trump abbia fatto bene a declinare l’invito?

Direi che è stato un dibattito in cui l’assente ha avuto ragione: Donald Trump non si è presentato perché lui non ha bisogno di crearsi una notorietà nazionale, poiché già la detiene, mentre molti sul palco di Milwaukee non ce l’hanno, o comunque non ne hanno una paragonabile alla sua. Non presentandosi ha quindi tolto interesse e audience al dibattito, facendo sì che i suoi rivali avessero una platea con di decine di milioni di spettatori in meno a cui rivolgersi. Oltretutto, non solo nessuno dei rivali ha trovato nel corso del dibattito il colpo del KO nei confronti di Trump, cosa oggettivamente difficile da fare, ma neppure è riuscito a proporsi in modo così forte e netto come suo principale sfidante.

Chi ha deluso di più le aspettative?

In questo senso, a deludere maggiormente le aspettative è stato il governatore della Florida Ron DeSantis. E non solo nel contesto del dibattito, bensì dalla presentazione della sua candidatura: si era candidato in fanfara, convincendo tutti che lui potesse essere “l’anti-Trump”, ma dall’inizio effettivo della sua campagna elettorale anziché guadagnare conensi li sta perdendo. Non riesce a trovare un feeling con l’elettorato e ad essere empatico, nonostante la vicinanza della moglie, che al contrario pare avere una buona capacità di comunicazione. Tutto sommato, Trump non ha perso terreno, e non si è visto avvicinare dai suoi rivali. Anche lui ha offerto uno spettacolo abbastanza modesto nella sua intervista con Tucker Carlson, rilasciata su X (nuovo nome di Twitter, ndr) in contemporanea con l’inizio del dibattito del Partito Repubblicano, dove ha ripetuto i soliti slogan: che lui fosse il vero vincitore delle elezioni, che adesso sia un perseguitato politico, e che Joe Biden sia un “Manchurian Candidate”.

Il Tycoon non ha dunque perso un’importante occasione per promuovere la sua candidatura?

No. E non dimentichiamo che Trump sta per riprendersi la scena, con un fatto che a priori dovrebbe essere negativo per lui, ma che come sempre riesce a girare in positivo: il quarto rinvio a giudizio insieme ad altri 18 imputati, questa volta ad Atlanta, questa volta per aver cospirato per rovesciare l’esito delle elezioni in Georgia. Di fatto, sarà una formalità, con il Tycoon che si presenterà alle autorità, verrà arrestato e incriminato, per poi venire messo subito dopo in libertà su cauzione per un prezzo già fissato (200.000$). Facendo così, prima e dopo entrare in tribunale avrà un’ulteriore tribuna mediatica per promuovere le sue posizioni e le sue tesi. Probabilmente una tribuna molto più ricca e vivace di quella del dibattito di Milwaukee.

Il dibattito di Milwaukee certifica il gap tra Trump e gli sfidanti come incolmabile o lascia spazio di manovra ad altri candidati?

Da una parte, certifica l’enorme vantaggio che al momento ha Trump sugli altri. Dall’altra, all’interno del gruppo dei partecipanti denota una dinamica di erosione del consenso di DeSantis, fino ad ora considerato il principale rivale di Trump per via della sua posizione nei sondaggi. Tra coloro che stanno attraendo consensi c’è sicuramente Vivek Ramaswamy, che in realtà è una specie di clone di Trump, anche se un po’ più acculturato e un po’ meno rozzo nel linguaggio. Le sue posizioni populiste richiamano quelle di The Donald, nei cui confronti è stato anche molto cauto, e questo suo populismo sembra premiarlo, pur sempre aggirandosi intorno al 10%; c’è addirittura chi profetizza un ticket Trump-Ramaswamy per le elezioni del 2024. Qualche punto l’ha guadagnato anche Nikki Hailey che, a mio avviso nel lotto dei rivali di Trump è la più preparata e la più credibile per arrivare alla Casa Bianca: è stata governatrice del South Carolina e ambasciatrice alle Nazioni Unite, ha una buona conoscenza della politica interna e internazionale, una proprietà di linguaggio e un certo garbo nel presentarsi; inoltre, ha preso le distanze da Trump dopo solo due anni di mandato, e quindi non ha il “marchio” della trumpiana. Qualche buona sortita l’ha avuta Chris Christie, un vero veterano delle campagne elettorali, che è sempre candidato ma non ottiene mail la vittoria; si potrebbe sospettare che sia candidato per avere un posto nell’amministrazione in caso di vittoria repubblicana nella corsa del prossimo anno, nel 2016 con Trump non c’è riuscito, ma di sicuro è molto bravo nei dibattiti.

Manca Mike Pence…

Anche l’ex-vice di Trump ha dato, a sorpresa devo dire, buona prova di sé. Tuttavia, Pence non ha molte chance di andare lontano, perché i trumpiani potrebbero accettare tutti i candidati, ma non il “traditore Pence”, ovvero colui che si è rifiutato di avallare il colpo di stato istituzionale del 6 gennaio 2021, riconoscendo come vero vincitore delle elezioni Joe Biden anziché Trump. Per questo non credo che Pence possa arrivare alla candidatura repubblicana, a meno che non si verifichi un terremoto nel partito. Cosa che può succedere, visto che mancano ancora cinque mesi all’inizio delle primarie, il primo episodio delle quali si svolgeranno il 15 gennaio nell’Iowa. E l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti delle molteplici incriminazioni di Trump potrebbe in qualche misura cambiare.

Quali sono stati, a suo avviso, i temi più caldi del dibattito?

Si è iniziato parlando di economia, che era un po’ una forma di “riscaldamento”, perché così tutti hanno potuto criticare l’attuale amministrazione democratica e la figura di Joe Biden, che al netto di novità imprevedibili sarà comunque il nemico da battere alle prossime elezioni, dopo che la sfida interna al partito repubblicano si esaurirà. Quindi non un tema caldo. Più difficile e variegato è stato invece il confronto sul cambiamento climatico, con alcuni candidati promotori di tesi negazioniste più o meno palesi, e altri candidati più inclini a sostenere la lotta al riscaldamento globale.

Guardando dall’Europa (e dall’Italia) cosa salta all’occhio?

Dal punto di vista italiano ed europeo interessante il discorso sull’Ucraina: si può comunque prevedere una minor enfasi repubblicana nel sostegno a Kyiv rispetto alla controparte democratica, anche se tutti hanno detto di essere favorevoli agli aiuti, chi più chi meno. Ma nelle parole di De Santis (e anche in quelle di Ramaswamy) si sente che il tema non è percepito come interesse primario degli Stati Uniti, e si sollecitano gli europei a fare di più.

Si è parlato anche di temi sociali. In che termini?

Ovviamente l’accento è stato posto sull’aborto, una questione particolarmente delicata perché la maggioranza dell’elettorato repubblicano non è favorevole alla stretta sull’aborto che la Corte Suprema ha imposto nei mesi scorsi, stretta su cui i candidati hanno posizioni diverse. Se da una parte De Santis avalla questa stretta, dall’altra c’è la Hailey che ha cautamente invitato a non demonizzare l’aborto, lasciando aperto la porta al diritto delle donne di decidere. Dando poi sfoggio di un certo orgoglio femminista, anche se citando le parole di una donna, Margaret Thatcher, che femminista non era: “Se vuoi che di una cosa si parli, chiedi a un uomo; se vuoi che una cosa sia fatta, chiedi a una donna”. Essendo l’unica donna sul palco, ha avuto anche gioco facile. E poi una curiosità interessante.

Quale?

Ben sei degli otto presenti sul palco di Milwaukee sono, o sono stati, governatori di uno Stato. Questo conferma che, soprattutto per i repubblicani, la via maestra per diventare presidenti è quella di passare dal governo di uno stato. Dal 1960 in poi, tutti i presidenti repubblicani lo sono stati (ad eccezione di Bush senior, che però era stato vicepresidente). Solo Trump ha rotto questa continuità.

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