L’economia russa ha raggiunto il top della sua capacità produttiva. Potrà crescere ancora solo ricorrendo a massicci investimenti ed alla disponibilità di quei beni capitali che, in larga misura, dipendono dall’Occidente. Un doppio ostacolo per Putin. Il commento di Gianfranco Polillo
Il Fatto quotidiano non cessa di stupire. Il suo puntinismo esasperato lo porta a sperare e quindi a rappresentare un mondo, quello della Federazione Russa, che è l’esatto opposto di quanto i tecnici più seri di quel Paese sono costretti ad ammettere. “La Banca centrale russa – questo l’incipit glorificante del pezzo di qualche giorno fa – ha rivisto al rialzo le stime del Prodotto interno lordo (tutto sparato in grassetto) che ora è atteso crescere fino al 2,5 per cento oltre il doppio rispetto all’Italia o alla zona dell’euro”.
In passato si era già visto qualcosa di simile. Maurice Dobb, aveva dedicato ore ed ore di studio nel tentativo di dimostrare che l’economia sovietica avrebbe vinto la sfida nei confronti del capitalismo. Lo faceva dalle aule di Cambridge, dove, insieme ad altri aveva fondato la prima cellula comunista in quell’università. Che sarà, poi, il vivaio in grado di produrre un nutrito gruppo di intellettuali – i famosi “cinque di Cambridge” – pronti a tradire il proprio Paese per consegnarsi nelle mani dei sovietici. Fino a divenire vere e proprie spie del Kgb.
Quelli del Fatto non arriveranno a tanto. Ma la piccola mistificazione quotidiana è comunque servita. Che la Federazione Russa possa crescere fino al 2,5 per cento è anche probabile. Dipenderà da una serie di variabili che, al momento, sono di difficile valutazione. Parola di Elvira Nabiullina, la presidentessa della Banca centrale, alla quale si deve la previsione, che tanto ha eccitato i nostri putiniani. Ma in un contesto segnato da mille “se” ed altrettanti “ma”.
Il guaio più grosso è la tenuta del rublo. Ieri ci volevano 91,775 rubli per comprare un dollaro americano. Un anno fa ne bastavano 64. Quindi in 365 giorni la svalutazione è stata pari a quasi il 45 per cento. In simili circostanze ci mancherebbe solo che il Pil non crescesse del 2,5 per cento, su base annua. Sarebbe la certificazione ufficiale di un encefalogramma piatto. Le cause del fenomeno vanno ricercate soprattutto nel crollo delle esportazioni. “Le sanzioni e il ciclo economico (a sua volta influenzato negativamente dalla guerra ndr.) – spiega la presidentessa – stanno entrambi influenzando le esportazioni russe. In combinazione con l’espansione delle importazioni, questi fattori spiegano la dinamica del cambio che abbiamo osservato quest’anno”.
Di certo non andrà meglio con il trascorrere del tempo. La flessione del cambio – continua la Banca centrale – di solito si accompagna ad una caduta delle importazioni, i cui prezzi in moneta locale aumentano di conseguenza. Il fenomeno, in Russia, non si è ancora manifestato. “Le merci che ora vengono importate” sono ancora quelle acquistate ai vecchi prezzi dei “contratti di fornitura siglati in precedenza”. Quando il ritardo sarà colmato, vi sarà pertanto una duplice spinta inflazionistica. La prima dovuta alla normale revisione dei prezzi contrattuali. La seconda alla svalutazione del rublo nel frattempo intervenuta.
Con quali effetti sul quadro macroeconomico complessivo? Finora l’espansione congiunturale, per altro giunta quasi al termine – sempre secondo la Banca – è stata alimentata soprattutto dai consumi interni. Più 6/8 per cento contro una flessione dell’1,4 per cento dello scorso anno. Male invece le esportazioni soprattutto “il settore petrolifero e del gas che è soggetto a severe sanzioni esterne.” Dato che contribuirebbe a spiegare il rebus sul grano. Gran parte della produzione russa è stipata nei silos. Bloccando le esportazioni dall’Ucraina, si favorirebbe lo smercio di quelle eccedenze. Per comprendere l’importanza della partita, un solo dato. Lo scorso anno il surplus delle partite correnti fu pari a 236 miliardi, la previsione per quest’anno è di solo 26.
Putin di quelle risorse ha bisogno come il pane. La guerra costa. Agli inizi dell’anno la domanda interna era trainata soprattutto dalla spesa pubblica, cresciuta a dismisura per le esigenze belliche, come le importazioni di armi. A loro volta pagate attingendo alle riserve valutarie. Che, nonostante il forte attivo della bilancia dei pagamenti, non erano aumentate. Ma subito dopo alla prima spinta (burro e cannoni) si era aggiunta quella dei privati, che in poco tempo ha saturato le possibilità dell’offerta. Facendo registrare le prime carenze di mano d’opera ed eliminando la capacità produttiva in precedenza non utilizzata. Il tutto spinto fino al punto da determinare una forte balzo del processo inflazionistico. Che ha costretto la Banca centrale ad operare di conseguenza.
“Nella nostra previsione aggiornata – dichiara la Nabiullina – abbiamo alzato il tasso di riferimento medio al 7,9–8,3% annuo per l’anno in corso e in modo più significativo, in particolare all’8,5–9,5% annuo, per il prossimo anno. Nelle nostre riunioni successive, abbiamo ammesso la possibilità di un ulteriore aumento del tasso di riferimento”.
Con effetti immediati sulle previsioni di crescita (in diminuzione) per il 2024 e gli anni seguenti. Anche se le eventuali perdite future andranno meglio valutate. L’economia russa, infatti, ha raggiunto il top della sua capacità produttiva. Potrà crescere ancora solo ricorrendo a massicci investimenti ed alla disponibilità di quei beni capitali che, in larga misura, dipendono dall’Occidente.
Un doppio ostacolo quindi. Il primo di natura finanziario, reso tale da un tasso di interesse destinato a crescere, com’è nelle intenzioni della Banca centrale. Il secondo di natura politico: avendo a che fare con la disponibilità dell’Occidente a fornite materiali indispensabili per far crescere la capacità produttiva degli impianti. L’opposto esatto delle sanzioni finora comminate. Percorso difficile, come si vede. Che dovrebbe raffreddare i bollenti entusiasmi dei putiniani nostrani.