Skip to main content

La fermezza dell’Ecowas spiega perché la situazione in Niger è cruciale

Per Vines (Chatham House), la linea decisa che Ecowas sta tenendo sulla crisi in Niger è frutto della leadership del presidente Tinubu. L’organizzazione vede il Niger come una linea rossa davanti all’erosione dei patti sociali in Africa. L’ultimatum del 6 agosto è determinante

Domenica 6 agosto potrebbe essere un punto di svolta drammatico della crisi in Niger. La Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale, ha fissato per quella data un ultimatum: la giunta militare che ha arrestato e strappato il potere al presidente Mohamed Bazoum “deve” ripristinare l’ordine e riconsegnare il Paese al leader democratico. Ecowas potrebbe anche intervenire militarmente; i generali golpisti non sembrano intenzionati a trattare; Mali e Burkina Faso – due Paesi segnati anch’essi da prese del potere autoritarie strappando l’ordine statuale – hanno fatto sapere che potrebbero prendere le difese del Niger se dovesse partire un’operazione militare.

Ecowas decisa grazie a Tinubu

Questo è il quadro attuale, attorno a esso si svilupperanno le dinamiche nei prossimi giorni. Con la posizione ferma presa dall’Ecowas che è l’elemento più particolare della situazione. Perché l’organizzazione ha preso una linea differente, più solida e severa, rispetto ad altre crisi regionali? “Un punto chiave per me è che il nuovo presidente dell’Ecowas e nuovo presidente della Nigeria, Bola Tinubu , è allergico ai golpisti”, spiega Alex Vines, direttore del Programma Africa della Chatham House. Tinubu, ricorda Vines, “è stato imprigionato dalla dittatura militare nel suo Paese e ritiene che con la leadership nigeriana l’Ecowas debba tracciare una linea nella sabbia e dire basta ai colpi di stato. Da qui la risposta decisa che stiamo vedendo”.

Secondo quanto dice lo stesso Bazoum in un op-ed inviato al Washington Post, scritto come “da ostaggio”, “se [il golpe in Niger] avrà successo, ci saranno conseguenze devastanti per il nostro Paese, la nostra regione e il mondo intero”. L’espressione è iperbolica, ma per quella parte di mondo dove opera Ecowas è importante mandare il messaggio che la caduta del Niger significa la caduta del Sahel, e che questo potrebbe portarsi dietro conseguenze globali.

Missione negoziale fallita

Il caos innescato dal colpo di Stato in Niger è ancora più preoccupante perché Niamey è stata per lungo tempo la speranza di democrazia – e soprattutto di stabilità – per una regione attanagliata da crisi economica, climatica e securitaria e dinamiche di destabilizzazione istituzionale che su questa poli-crisi hanno speculato a vantaggio di interessi interni (come quelli che hanno portato il capo della Guardia presidenziale nigerina, Abdourahamane Tchiani, al colpo di mano). Stante questa situazione diventa comprensibile perché l’Ecowas alza al massimo l’attenzione e minaccia l’azione.

Il blocco di Paesi dell’Africa occidentale aveva già sospeso l’adesione di Mali, Burkina Faso e Guinea dopo i recenti golpe. Erano stati imposti vari generi di sanzioni, come già fatto con il Niger – e alcune di queste, come il taglio delle forniture elettriche stanno già pesando sui nigerini, con l’obiettivo di metterli contro i golpisti e convincerli a cedere. L’uso della forza è l’ultima delle soluzioni, ma non è esclusa. La delegazione dell’Ecowas che ha viaggiato a Niamey per cercare un contatto con la giunta di Tchiani è rientrata con un “missione fallita”. Non c’è stato modo nemmeno di un incontro con il leader, e nel frattempo il Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (così si fanno chiamare i golpisti) ha fatto sapere che risponderanno con le armi a “qualsiasi aggressione”.

Missione politica fallita

Nello stesso comunicato, i putschists nigerini hanno anche annunciato di aver interrotto i rapporti con la Francia, che ha influenze storiche in Niger e nel Sahel, e che appoggia le iniziative dell’Ecowas (per altro i francesi hanno diverse centinaia di militari in territorio nigerino). Parte degli abitanti del Niger vedono quelle influenze storiche francesi (e in generale occidentali) come forme di neo-colonialismo. Il sostegno all’iniziativa di Thicani è anche collegato a queste narrazioni che si stanno diffondendo nella regione. Di contro, Bazoum era un reale alleato francese e in generale occidentale, e per questo la propaganda golpista ha attecchito con maggiore facilità. Le richieste di ripristinare l’ordine da parte dell’Eliseo, per esempio, sono state raccontante dalla giunta come un’ingerenza, le persone hanno recepito la propaganda e sono scese in strada protestando contro i francesi. Qualcosa di simile è successo nei giorni scorsi in Senegal, quando Dakar ha fatto capire di essere pronta a qualsiasi scelta prenda l’Ecowas: ci sono state manifestazioni contro la linea del governo senegalese, poi sfociate in dimostrazioni anti-francesi.

Secondo Ibrahim Maiga, senior advisor dell’International Crisis Group’s Sahel Project, la volontà dell’Ecowas di andare fino in fondo non va sottovalutata, nonostante le complessità che essa possa creare. La questione è infatti connessa alle stabilità e sicurezze interne: se l’organizzazione riesce a esercitare capacità di azione e intervento, allora può diventare un deterrente. Anche per questo Mali e Burkina Faso si sentono in pericolo. Se l’Ecowas non avrà successo, allora aumentano ulteriormente le possibilità di propagazione. D’altronde, quanto accaduto a Bamako oppure a Ouagadougo si è già riprodotto a Niamey.

A rischio molto più del Niger

Tale genere di preoccupazione è ciò che ha mosso il presidente Tinubu a prendere una posizione molto rigida. Quanto accade in Niger dimostra che è in corso un problema connesso al patto sociale tra governanti e governati nella regione. La questione anti-francese è infatti connessa all’anticolonialismo solo in maniera narrativa: nello specifico, gli abitanti del Niger adesso, e prima del Mali o del Burkina Faso, contestano soprattutto la scarsa capacità francese – e occidentale – di combattere il crescente depauperamento delle condizioni securitarie. Ma il Niger, come faceva notare Ruth Santini (L’Orientale) è sotto questo punto di vista messo meglio del contesto circostante. Eppure, Tchiani ha avuto modo di innescare la crisi, annunciando che avrebbe gestito meglio la sicurezza (anche se probabilmente pensava più a salvare la sua posizione di potere, visto che Bazoum intendeva rimuoverlo).

“La sfida per i governi è che dopo decenni di inadempimento, la pazienza dei cittadini è esaurita e molti, manipolati da campagne di disinformazione che sfruttano le legittime rimostranze, sono disposti ad abbracciare il miraggio di una soluzione rapida”, spiega Peter Pham, ora all’Atlantic Council ma dal 2018 al 2020 inviato speciale degli Stati Uniti per la regione dei Grandi Laghi. È una situazione che politici come Tinubu sentono come propria: la Nigeria è infatti un Paese squarciato da anni di insorgenza jihadista. Ma molti altri dell’Ecowas sono a rischio, e a questo anche si lega la fermezza e la determinazione con cui l’organizzazione sta cercando di rispondere, consapevole inoltre che campagne di disinformazione martellanti stanno producendo alterazioni delle opinioni pubbliche, che spesso si riducono in sostituzioni del tricolore francese con quello russo.

Attori esterni, problemi interni

Intervistato dal WaPo, l’ambasciatore nigerino negli Stati Uniti, Kiari Liman-Tinguiri, ha fornito una lettura approfondita e non scontata del contesto, sostenendo che non c’è da dare interpretazioni eccessive al valore anti-francese su quanto è successo. Linam-Tinguiri, il cui ruolo attualmente è in bilico visto che non rappresenta i golpisti, aggiunge che “quando si tratta della bandiera russa, la maggior parte di coloro che la stanno prendendo [durante le manifestazioni pro-golpe] non sarebbero in grado di localizzare la Russia su una mappa”. L’ambasciatore ricorda che il 40% delle persone nel Niger vive con meno di 2 dollari al giorno. “Non credo proprio che queste persone si preoccupino di chi sia il nostro partner internazionale. Alcuni dei giovani che ora affermano di essere panafricani e anti-Francia non hanno idea della Francia, non sanno nemmeno cosa sia. Semplicemente i social media, l’era digitale, hanno reso più facile fare molto rumore da cose molto piccole. Quindi, sì, nelle città urbane, alcuni giovani, perché sono disperati, perché stanno cercando qualcuno da incolpare per il problema che stanno affrontando, vengono manipolati dalla retorica. Ma non è davvero un’indicazione di qualcosa di profondo e ampio”.

E però, molto di quella retorica e propaganda, soprattutto a livello digitale, è mossa da attività di infowar e psyops organizzate da strutture para-statali soprattutto russe, pensate con l’obiettivo di erodere la sfera d’influenza occidentale nel Sahel.  Non a caso, Mali e Burkina Faso, i due Paesi che hanno interesse a sostenere i golpisti in Niger sono alleati russi e le giunte militari al potere hanno affidato la sicurezza al Wagner Group. Ma, sebbene possano ricevere forme di sostegno dall’esterno, è anche vero che il Mali e il Burkina Faso sono Paesi terribilmente più poveri del blocco Ecowas, in cui si trova per esempio la Nigeria, che è di fatto una potenza continentale – sia a livello economico che politico e militare. Anche per questo, l’organizzazione cerca di mostrarsi come alternativa reale, anche usando severità.

 

×

Iscriviti alla newsletter