I ricercatori del Lawrence Livermore National Laboratory, centro di ricerca di eccellenza con sede in California che ospita il National ignition facility (Nif), ritengono di aver creato una quantità record di energia, migliorando i risultati dello scorso anno, da una reazione di fusione controllata. Si tratta di un altro segnale della bontà della direzione di questa ricerca, che potrebbe rivoluzionare nei prossimi decenni il futuro energetico dell’umanità. Ma serve cautela
Nelle settimane che avvicinano le sale cinematografiche italiane verso quello che molti definiscono il film dell’anno, “Oppenheimer” – già record di incassi negli Stati Uniti – dall’America, culla dell’energia atomica, giungono altre confortanti notizie sullo stato dell’avanzamento della ricerca sulla fisione nucleare, che si aggiunge alla recente scoperta di un nuovo materiale superconduttore.
I ricercatori del Lawrence Livermore National Laboratory, centro di ricerca di eccellenza con sede in California che ospita il National Ignition Facility (Nif) ritengono di aver creato una quantità record di energia, migliorando i risultati dello scorso esperimento condotto il 22 dicembre 2022, da una reazione di fusione controllata. Il risultato, se confermato, rafforzerà le speranze che la fusione nucleare possa un giorno fornire una fonte quasi illimitata di energia pulita.
Come confermato dai risultati del test, condotto il 30 luglio, rilasciati nella giornata di domenica, gli scienziati del laboratorio, finanziato a livello federale dal Dipartimento dell’Energia statunitense in collaborazione con la Nasa, hanno annunciato di aver ottenuto per la seconda volta un guadagno netto di energia, noto anche come ingition.
La fusione si ottiene riscaldando due isotopi dell’idrogeno – di solito deuterio e trizio – a temperature così estreme che i nuclei atomici si fondono, liberando elio e grandi quantità di energia sotto forma di neutroni, rispecchiando le reazioni che avvengono all’interno del sole.
L’approccio più studiato, noto come confinamento magnetico, utilizza enormi magneti per tenere il combustibile in posizione mentre viene riscaldato a temperature più alte del sole. Il calore sviluppato dal plasma è tale che nessun materiale sulla Terra possa sopravvivere al contatto, quindi deve essere sospeso nel tokamak. Gli scienziati hanno lottato per decenni con i problemi di instabilità generati da questo sistema, con alcuni recenti ragguardevoli progressi. È il caso, per esempio, degli esperimenti condotti dal Massachussets Institute of Technology (Mit) e la startup Commonwealth Fusion Systems che vede tra i suoi investitori strategici l’italiana Eni. A settembre 2021, è stato testato con successo un grande elettromagnete superconduttore ad alta temperatura (HTS), portandolo ad un’intensità di campo di 20 tesla, il più potente campo magnetico di questo tipo mai creato sulla Terra. Con un nuovo round di investimenti, il progetto si pone l’obiettivo di realizzare più energia dalla reazione di quanta non se ne immetta entro il 2025, mentre iniziano a radunarsi i potenziali concorrenti.
Tra questi, il progetto portato avanti tramite fondi pubblici dal Nif che, al contrario, utilizza un processo chiamato “confinamento inerziale”, in cui il il laser più grande del mondo viene diretto contro una minuscola capsula di combustibile, innescando un’implosione. “I fasci laser del Nif possono creare la fusione nucleare in laboratorio generando gli stessi tipi di temperature e pressioni che esistono nei nuclei delle stelle e dei pianeti giganti e all’interno delle armi nucleari” si legge sul sito del progetto. Al picco di potenza, 192 laser ad alta energia convergono sulla capsula, comprimendo il carburante e simulando per un attimo le condizioni all’interno di una stella, a più di 3 milioni di gradi.
Il nuovo esperimento prevedeva di focalizzare una potente luce laser su una capsula di combustibile bersaglio larga circa 5 mm. Il “bombardamento” ha prodotto un punto caldo del diametro di un capello umano, nel quale le temperature sarebbero state diverse volte superiori a quelle tipiche al centro del sole, mentre la pressione esercitata sulla capsula di combustibile sarebbe stata doppia rispetto a quella di una stella.
A dicembre il team aveva applicato 2,1 megajoule di energia per creare le condizioni per innescare la fusione, ricevendo circa 3,15 megajoule. Il guadagno ottenuto, il 150% dei megajoule utilizzati, è una quantità di energia sufficiente per preparare diverse tazze di tè. Secondo il Financial Times, l’ultimo esperimento ha ottenuto una quantità di energia maggiore, circa 3,5 MJ, sufficiente ad alimentare un ferro da stiro per un’ora. Se i laser utilizzati sembrano essere ancora relativamente inefficienti, dal momento che i test assorbono più energia di quella emessa, l’energia utilizzabile attraverso la fusione richiede una tipologia di reattore fondamentalmente diversa da quella fino ad ora concepita.
Jeremy Chittenden, professore di fisica del plasma all’Imperial College di Londra, aveva dichiarato a dicembre: “Tutti coloro che lavorano sulla fusione hanno cercato di dimostrare per oltre 70 anni che è possibile generare dalla fusione più energia di quanta se ne immetta. Se quanto riportato è vero e se è stata rilasciata più energia di quanta ne sia stata utilizzata… si tratta di un vero e proprio momento di svolta, tremendamente eccitante”. A differenza della fissione, la reazione utilizzata nelle centrali nucleari, la fusione comporta l’unione degli atomi piuttosto che la loro scissione, quindi le scorie radioattive sono quasi inesistenti, ad eccezione di una piccola tazza di idrogeno che potrebbe teoricamente alimentare una casa per centinaia di anni.
Rimangono ancora grossi ostacoli per poter immaginare la fusione nucleare su scala commerciale. Innanzitutto, il guadagno energetico ottenuto dai due esperimenti si riferisce solo all’energia generata e a quella contenuta nei laser, non alla quantità totale di energia prelevata dalla rete per alimentare il sistema, che è molto più alta (circa 300 MJ). Gli scienziati stimano inoltre che la scalabilità industriale del sistema reazioni che possano generano da 30 a 100 volte l’energia dei laser.
Inoltre, la tecnologia di “confinamento inerziale” del Nif richiede, per riscaldarlo con i laser, più di 100.000 dollari per ogni pellet di combustibile, con l’impianto che deve bruciare 10 pellet al secondo per sostenere la fusione. Per un impianto commercialmente valido, i pellet dovrebbero costare 1 dollaro al pezzo.
Se le incertezze rimangono sulla scalabilità economica della tecnologia, gli scettici sembrano essere concordi che la fusione sia ancora molto lontana, nonostante i vari progetti pubblico-privati in campo, da Iter, al Cfs fino al Nif, per poter essere una vera e propria soluzione per l’approvvigionamento di energia pulita e stabile per le reti. Oltre a poter diventare una freccia nell’arco per la transizione energetica e l’obiettivo di net-zero al 2050.
Come ricostruisce il South China Morning Post, la promessa della fusione nucleare, in voga dal 1950 e rilanciata dalla Fusion Energy Conference di Salisburgo del 1961, ha portato i suoi apologeti a ritenere che fosse alla portata nel giro di un decennio, per poi rivedere le tempistiche una volta di fronte alle complessità tecnologiche nonché economiche. I risultati più recenti sembrano dipanare la matassa dello scetticismo intorno a questa prospettiva, a conferma della tesi dei fusion optimists sulla necessità di andare avanti. Ma una comunità crescente di esperti si chiede se i miliardi spesi per perseguire l’energia da fusione non possano essere meglio spesi per tecnologie collaudate e mature come l’energia solare ed eolica, utilizzando le armi migliori che ora abbiamo a nostra disposizione.
Si tratta di un dibattito lecito che, tuttavia, perde di vista la natura stessa del progresso scientifico, il cui orizzonte è molto spesso ben aldilà di ogni ammissibile beneficio immediato. Seppur questi annunci siano più rivolti agli investitori che a effettivi risultati per una commercializzazione, il moltiplicarsi delle iniziative sulla fusione nucleare renderà più probabile raggiungere altri, piccoli e promettenti passi in avanti.