Il vertice di Gedda ha segnato un momento importante non solo per la guerra in Ucraina, ma per la futura costruzione del nuovo ordine mondiale post-conflitto. L’incontro tra Paesi del Nord e del Sud del mondo racconta che, nonostante le distanze, ci sono spazi di cooperazione sui grandi dossier, anche grazie ad attori che si stanno costruendo il ruolo di pontieri, come l’Arabia Saudita
Pensare che la riunione internazionale organizzata a Gedda, in Arabia Saudita, sia stata soltanto un incontro di dialogo per ascoltare Kyiv e trovare una via per avviare un negoziato attorno all’aggressione russa sarebbe limitante. Basta valutare che al meeting hanno partecipato funzionari operativi dall’alto valore (strategico) nei governi che rappresentavano: per esempio, l’Italia ha inviato l’ambasciatore Francesco Maria Talò, consigliere massimo di politica internazionale di Palazzo Chigi; gli Stati Uniti avevano sia il quasi omologo (per funzione e valore) di Talò, il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan, che la vice segretaria di Stato Victoria Nuland; la Cina era rappresentata da Liu Hui, diventato noto alle cronache di questi mesi perché è l’uomo da cui il Partito/Stato ha scelto di essere rappresentato quando si parla di Ucraina, ma il suo ruolo al ministero è ben più ampio (gestisce parte dei rapporti più operativi con la Russia).
Il campo di battaglia contro la riunione
Secondo uno scenario condiviso da più corridoi diplomatici, non solo europei, le speranze che nelle prossime settimane arrivi una svolta sul conflitto sono nulle. Diversi osservatori e figure governative attive sostengono che innanzitutto questa riunione è servita per consolidare l’immagine internazionale di alcuni degli attori presenti. Innanzitutto l’Arabia Saudita, che dal vertice esce come una potenza regionale capace di slanciarsi sulle questioni globali, coinvolgendo attori cruciali (per i global affairs, e di riflesso per le sorti dell’Ucraina) come India e Cina o Indonesia e Brasile.
Questa forma di scetticismo sugli esiti della riunione è legata alla fase della guerra, perché è il campo a dettare i tempi (è da sempre così: non solo per quanto riguarda i destini di Kyiv, ma sono i libri di storia a insegnarcelo). Si negozia quando lo scontro militare arriva al punto negoziale. Non è sbagliato dunque avere ragioni per preoccuparsi del rischio che questi colloqui non si concretizzino per quest’anno. Ossia che dalla riunione saudita (come dalla precedente a Copenaghen) non scaturisca la spinta per una grande conferenza di pace — cosa che Riad ambirebbe a ospitare, scavalcando la fila per organizzarla. Non entro l’anno (come anche Kyiv, sotto massime garanzie, vorrebbe). Ma non era questo l’obiettivo dell’incontro di Gedda.
D’altronde, i ritardi nei progressi militari dell’Ucraina significano che la tempistica complessiva della guerra potrebbe di fatto “slittare”, dicono analisti in dossier riservati. Cioè, anche se Kyiv progetta di negoziare — e il vertice di Gedda questo è: la dimostrazione che gli ucraini stanno cercando sponde per i propri negoziati — l’Ucraina potrebbe richiedere più tempo per fare guadagni territoriali. Forse potrebbe aspettare di vedere gli esiti legati alla consegna del prossimo lotto di attrezzature occidentali, che arriverà quando sarà già iniziato l’inverno, e dovrebbero comprendere i caccia F-16. Contemporaneamente va notato che la Russia sembra rimanere pienamente impegnata in una strategia di guerra a lungo termine per mettere fuori gioco l’Occidente. Nota: Mosca non è stata invitata alla riunione saudita (termine del potenziale successo della stessa: cosa aspettarsi da un incontro negoziale senza una delle parti?).
Nord e Sud del Mondo a dialogo
Ciò che però l’incontro saudita ha consolidato è l’opportunità di contatto tra Nord e Sud del Mondo, con particolare riferimento a un dossier specifico in questo caso, aprendo a formati riproducibili se qualche successo arriverà. Questo incastro è la forma negoziale che con ogni probabilità può avere più efficacia nel trattare (e in qualche modo pressare) le parti in guerra, che — fermo restando il discernimento tra aggressore e aggredito — adesso hanno entrambe logico interesse a capitalizzare il più possibile dalla situazione. Per Mosca c’è da salvare la faccia dopo il tragico e sanguinario azzardo; per Kyiv c’è da sfruttare l’eroica resistenza per traslare l’assistenza tattica ricevuta finora nella dimensione strategica (ingesso in Ue, Nato).
Se questo schema di includere nel futuro processo di stabilizzazione attori globali finora meno coinvolti dell’Occidente era iniziato già a Copenaghen, l’incontro di Gedda ha segnato un cambio di passo e profondità. Perché l’Arabia Saudita è il Paese perfetto per farsi da ponte, mentalmente occidentalizzato nel processo economico (e securitario), alla ricerca di nuovi attori globali per spingere la transizione (che non sarà solo energetica, dunque economica, ma culturale). Il successo più evidente sta nella partecipazione della Cina, assente in Danimarca non tanto perché disinteressata alla pace e allineata con la Russia, ma perché l’incontro era troppo occidentecentrico. Pechino ha già espresso interesse per un terzo vertice del genere, perché vuole mostrare che in uno scenario più ampio, con attori diversi dal solo blocco Usa-Ue, è disponibile a impegnarsi.
Con ogni probabilità siamo davanti a un impegno con caratteristiche cinesi, ossia il Partito/Stato è interessato a ottenere il massimo dei vantaggi da questo coinvolgimento. D’altronde, un’attività più evidente nella stabilizzazione dell’Ucraina si concilia con le iniziative globali teorizzate in questa fase della “nuova era” dal leader Xi Jinping. La presenza cinese è però anche una potenziale garanzia per includere in questi negoziati, al momento opportuno, anche la Russia. Stesso genere di garanzia la fornisce la presenza saudita o indiana. Non è un caso se si sta già parlando di Nuova Delhi come sede di un terzo incontro, magari facendolo coincidere con il G20 all’inizio di settembre.
Narrazioni e interessi
Kyiv percepisce questi grandi attori globali come sponde utili alla ricostruzione, almeno tanto quando l’Occidente. Tant’è che — nonostante le ambiguità sul sostegno alla Russia — l’Ucraina non ha mai messo in discussione l’adesione alla Belt & Road Initiative cinese, per esempio, e ha sempre ambito a un coinvolgimento di Pechino nelle negoziazioni. La presenza di questi global player come la Cina, l’India, l’Arabia Saudita nello schema negoziale serve perché potrebbe permettere l’avvio di colloqui realistici. Detto in soldoni, gli ucraini potrebbero iniziare un dialogo vero con i russi anche con le truppe di Mosca nei propri territori. Questo non significa che accettino una cessione di sovranità, ma che ammorbidiscano una delle precondizioni finora dettate (l’uscita delle truppe russe dall’Ucraina prima di qualsiasi processo di pace). Per quanto possa sembrare assurdo, è del tutto possibile immaginare che si intavoli un percorso negoziale anche senza che gli scontri si fermino. E forse in parte si è già intavolato.
È in questo che si può forse dare un senso alla contraddizione intrinseca tra i principi di “integrità territoriale” e “cessate il fuoco”, che sono stati al centro della proposta di pace che l’Arabia Saudita avrebbe presentato durante il vertice di Gedda. Affermare che “il rispetto per l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina deve essere al centro di qualsiasi accordo di pace” è un’aspirazione oppure una precondizione? Se Riad ha ragione nel farsi promotore di questa complessa convergenza allora forse il prossimo segnale chiave (anche se non imminente) non dovrebbe essere l’adesione diretta della Russia a questi colloqui di pace, ma piuttosto la “gestione separata” di Mosca, in parallelo, da parte dei Paesi del Sud globale che fungono da canale di collegamento tra Kyiv e il Cremlino.
Ci sono segnali: non è un caso infatti se la Russia ha già annunciato che delle evoluzioni del vertice di Gedda intende discutere con gli interlocutori che tra un paio di settimane troverà seduti a Johannesburg, dove sarà ospitato il vertice annuale dei Brics — a cui parteciperà anche una serie di Paesi che aspirano a entrare nell’organizzazione, tutti appartenenti al Sud del Mondo. Da Gedda è passata simbolicamente la costruzione di un nuovo ordine globale, un processo controverso e complicato, che porterà attori nuovi, oltre a quelli occidentali, a occupare ruoli da protagonisti. E tra questi c’è indubbiamente anche l’Arabia Saudita, impegnata anche nel processo negoziale per ripotare in Ucraina i bambini che Vladimir Putin ha ordinato di rapire – violentando il diritto internazionale e i codici di umanità – come metodo di ricatto psicologico contro i nemici. Questo genere di impegno — su cui è coinvolto anche il Vaticano (aspetto non secondario, considerando anche quanto e come il Pontefice si rivolge al Global South) — potrebbe, se fruttuoso, portare Kyiv a un investimento di fiducia. Quando il campo di battaglia lo consentirà.