Immaginiamo che in questi giorni Giorgia Meloni abbia scoperto che la stanza dei bottoni non esiste. O che esiste la stanza, ma non esistono i bottoni. O che esistono i bottoni, ma a schiacciarli non succede nulla. Il corsivo di Andrea Cangini
Giunta al decimo mese di vita del suo governo, c’è da credere che Giorgia Meloni abbia acquisito l’amara consapevolezza cui giunse Pietro Nenni nel 1962. Il leader socialista evocò “la stanza dei bottoni” come il luogo metaforico in cui il potere politico rende effettive le decisioni di governo assunte. Lo fece in chiave problematica, Nenni, così problematica che il socialista Lelio Basso ebbe gioco facile nel replicare che “non esiste nessuna stanza dei bottoni perché il potere nasce da un sistema estremamente complesso di forze di cui le più importanti sono certamente al di fuori delle stanze dei ministri e, più ancora, del Parlamento”. Da allora, l’espressione “stanza dei bottoni” viene usata per rapprentare la complessità del potere e la difficoltà di chi ne incarna le funzioni di rendere operative le proprie determinazioni politiche.
Ecco, immaginiamo che in questi giorni anche Giorgia Meloni abbia scoperto che la stanza dei bottoni non esiste. O che esiste la stanza, ma non esistono i bottoni. O che esistono i bottoni, ma a schiacciarli non succede nulla. Il costo della benzina, infatti, aumenta nonostante le mosse del ministro Adolfo Urso. Le compagnie aeree rigettano la moratoria sui prezzi dei voli e c’è da credere che la Commissione europea darà loro ragione. Le norme sui cosiddetti extraprofitti delle banche sono state mal scritte e andranno riviste in Parlamento. Non ci sono le condizioni per una legge di bilancio espansiva pensata in chiave elettoralistica (le europee si avvicinano) e al Tesoro non hanno idea di come reperire almeno una decina di miliardi necessari. Gli immigrati arrivano in massa, in barba agli accordi bilaterali sui rimpatri, ai vertici sull’Africa, alla retorica, ormai rimossa, sulla possibilità di blocchi navali o simili.
Tra tutte, la questione migranti è forse la più clamorosa. Solo nei primi sette mesi dell’anno ne sono sbarcati 101 mila. Più del doppio dello stesso periodo dell’anno scorso, quando erano stati 48 mila, e ancor di più del 2021, quando si erano fermati a 33.800. Il governo assiste impotente, i giornali vicini al governo ne approfittano per ribaltare la frittata. Lo fa in particolare la Verità, che legittimamente gioca sulle parole pronunciate dal governatore dell’Emilia Romagna. “Nelle città ormai è emergenza arrivi. Peccato non ne parlino i telegiornali. Urlavano porti chiusi, è finita la pacchia e prima gli italiani, ma la destra sta dimostrando manifesta incapacità nella gestione dell’immigrazione. Quadruplicati gli sbarchi da quando governano”, ha scritto Stefano Bonaccini.
E la Verità ha buon gioco nel rimarcare la cosa: ma come, gli immigrati non erano “una risorsa”? Polemica facile, ancorché fondata. Polemica in un certo senso dovuta, perché, se non esiste la stanza dei bottoni per incidere sulla realtà, non resta che la verve polemica per alterare la narrazione che della realtà viene fatta dalla controparte politica.