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La Cina e il suo sforzo “olistico” contro Usa e alleati

Guerra politica. La fotografia Csis dell’attacco olistico cinese

Quanti strumenti si possono usare contro gli avversari senza scadere in un conflitto armato? Pechino li sta utilizzando tutti, spiega l’ultimo studio del Center for Strategic and International Studies, per espandere l’influenza del Partito comunista e indebolire Washington e partner. Ecco la panoramica

“La Cina sta conducendo una campagna senza precedenti al di sotto della soglia del conflitto armato per espandere l’influenza del Partito comunista cinese […] e indebolire gli Stati Uniti e i suoi partner. Questa campagna implica sofisticate attività di spionaggio cinese, operazioni informatiche offensive, disinformazione sulle piattaforme social, coercizione economica e operazioni di influenza su aziende, università e altre organizzazioni”.

Questo il quadro di massima tratteggiato dagli autori di “Competing Without Fighting” (competere senza combattere), l’ultimo rapporto del think tank Center for Strategic and International Studies, che approfondisce ciascuna di queste tematiche per mappare quelle che definisce “attività di guerra politica cinese”. Che vanno viste nel loro insieme, perche l’approccio di Pechino è “whole-of-state” – olistico e trasversale, appoggiato su una serie di istituzioni e condotto in innumerevoli ambiti da un’ampia gamma di attori statali e non.

LA LEZIONE DELLA GUERRA FREDDA

Il faro del rapporto Csis è George Kennan, architetto della strategia di contenimento dell’Urss durante la Guerra fredda e mente dietro le linee guida del Dipartimento di Stato Usa sulla guerra politica “che sono tuttora valide nell’ottica della competizione odierna con la Cina”. Secondo Kennan, una parte significativa della competizione tra grandi potenze riguarda le attività al di sotto della soglia della guerra convenzionale e nucleare. “Oggi la Cina è fortemente coinvolta in molte di queste attività”, l’oggetto del rapporto, che evidenzia anche le “notevoli debolezze e vulnerabilità” cinesi su cui fare leva. Ma è imperativo che la strategia di risposta sia condivisa dagli alleati occidentali e coerente con i principi e valori democratici.

TEMPERATURA IN AUMENTO

Le istituzioni Usa sono di gran lunga l’obiettivo preferito della Cina, come evidenzia il rapporto, a partire dalla formazione, dove il Dragone “sta conducendo una campagna sempre più attiva e aggressiva per penetrare in un’ampia gamma di istituzioni”. La portata di queste azioni “è senza precedenti”; un alto funzionario dell’Fbi ha dichiarato agli autori del rapporto che l’agenzia non ha “mai visto un tale livello di attività di intelligence e di influenza cinese all’interno e intorno al territorio nazionale”.

Ne è prova il numero altissimo di arresti e incriminazioni per “spionaggio, operazioni informatiche e campagne di influenza illegali” negli ultimi dodici mesi. Spiccano il condirettore di un think tank che avrebbe agito come agente cinese e una lunga serie di attacchi informatici aggressivi contro alti funzionari del governo statunitense e aziende come Microsoft. In parallelo, il Dragone porta avanti l’espansione di siti di raccolta di intelligence nei Paesi come Cuba.

CACCIA AI DISSIDENTI ESPATRIATI

Nel mentre la Cina ha condotto “una vasta campagna di monitoraggio, molestia e coercizione nei confronti di residenti negli Stati Uniti e in altri Paesi, nell’ambito di uno sforzo di rimpatrio extralegale noto come Operazione Fox Hunt”. Quest’anno l’Fbi ha arrestato due individui che gestivano una stazione di polizia illegale a Manhattan – non dissimile da quelle comparse anche in Italia e nel resto d’Europa. E il Dipartimento di giustizia ha “incriminato decine di funzionari” del Ministero cinese per la Pubblica sicurezza per aver condotto intimidazioni online contro cittadini cinesi residenti negli Usa che avevano criticato Pechino.

INTELLIGENCE E SPIONAGGIO INDUSTRIALE

Le azioni cinesi contro gli Usa “sono più estese di quanto si sappia” e si sviluppano in una serie di ambiti, a partire dalle sopracitate operazioni di intelligence che riguardano le persone, il monitoraggio di segnali e altri metodi di raccolta dell’informazione in modo pervasivo. Sul versante informatico, le organizzazioni cinesi (comprese le unità dell’esercito) mandano avanti una campagna “contro le aziende statunitensi e internazionali, le università, le agenzie governative, i media, i think tank, le ong e altri obiettivi”.

Lo scopo di questo sforzo è aiutare la Cina a superare l’Occidente, saltando le fasi di ricerca e sviluppo di nuove tecnologie e impossessandosi dei segreti industriali, ma anche “influenzare il pubblico estero e nazionale, assistere le campagne militari offensive e di migliorare le capacità di intelligenza artificiale e di big data analysis del Paese”.

DISINFORMAZIONE E CONTROLLO DELL’IMMAGINE

È appunto sul fronte dell’influenza che gli autori del Csis – e non solo loro – identificano una campagna di informazione e disinformazione globale “volta a influenzare il processo decisionale e il sostegno popolare per ottenere un vantaggio competitivo” e provare a controllare l’immagine della Cina all’estero “anche influenzando aziende, organizzazioni e individui che criticano la Cina”, dall’Associazione nazionale di basketball (Nba) agli studios di Hollywood, senza dimenticare di influenzare le persone ben posizionate per amplificare i messaggi preferiti dal Partito comunista su questioni politiche, economiche e non solo.

AZIONI MILITARI IRREGOLARI

Questo campo è appannaggio di una serie di attori, spiega il rapporto, che comprendono esercito, marina, aeronautica, forze missilistiche e milizie marittime cinesi, ma anche organizzazioni di ricerca e società di sicurezza private legate allo Stato. Tutti sono “coinvolti in sforzi diffusi per espandere l’influenza cinese” ma restando “al di sotto della soglia del conflitto armato”, e oltre a proteggere gli interessi cinesi nel Mar Cinese Meridionale ci sono “quasi due dozzine di società di sicurezza private cinesi che operano all’estero, tra cui in Africa, Medio Oriente, Asia e America Latina”, secondo i dati raccolti dal think tank statunitense.

COERCIZIONE ECONOMICA

Lo studio si concentra anche sugli sforzi internazionali della Cina di penetrare, o tentare di farlo, in quasi tutti i settori dell’economia statunitense e di molti suoi partner. In parallelo c’è lo sforzo di coercizione, ossia minacciare di imporre costi (o incentivi) per influenzare Paesi terzi e ottenere un vantaggio competitivo. La strategia regina in questo campo è la Nuova Via della Seta, intesa come “parte di un più ampio sforzo per influenzare i governi stranieri”. Il Csis rileva l’importanza particolare della cosiddetta Via della Seta Digitale “che mira a diffondere l’influenza cinese attraverso le telecomunicazioni, il commercio elettronico, l’hardware” ma anche il software di marche cinesi.

GLI OBIETTIVI DI PECHINO

Questa vera e propria guerra politica ha diversi scopi, ma i più importanti sono la conservazione del ruolo governativo del Partito comunista cinese e l’espansione dell’influenza cinese, che va di pari parro all’indebolimento degli Usa nell’ambito della competizione globale. Obiettivi che la strategia nazionale definisce come il “grande ringiovanimento della nazione cinese su tutti i fronti”, perseguiti attraverso una guerra non guerreggiata per evitarne, appunto, una convenzionale e astenersi dal provocare altri Paesi.

COME SI PUÒ REAGIRE: IN DIFESA…

Alla luce di tutto questo, scrivono gli autori, Usa e partner “sono stati lenti nell’identificare e contrastare la guerra politica cinese. Questa situazione deve cambiare”. Una strategia di risposta efficace prevede diverse componenti fondamentali, che vanno fondate sui principi democratici “che restano fondamentali nella lotta contro i regimi autoritari”. Dopodiché si passa alle misure difensive, tra cui più controspionaggio (con più risorse e agenti con competenze di cinese mandarino) e l’integrazione della strategia nazionale e locale.

… E ALL’ATTACCO

Il Csis immagina anche “la conduzione di una campagna offensiva più efficace” da parte di Usa e partner. Gli alleati occidentali possono puntare all’indebolimento del Grande Firewall, sostenendo le attività in grado di creare varchi nel “muro” attorno alla sfera internet cinese attraverso istituzioni e attori terzi come le ong. Ma anche creare “un blocco multilaterale per contrastare la coercizione economica cinese”, cosa che richiede “uno sforzo collettivo da parte di Stati Uniti, Australia, Corea del Sud, Giappone, India e altri Paesi, tra cui quelli europei”.

Questo ultimo concetto prevede che i Paesi interessati si mettano nelle condizioni di “sanzionare la Cina in risposta alle minacce o alle azioni cinesi non conformi alle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e finalizzate a raggiungere obiettivi politici cinesi non legati al commercio”. Si potrebbe anche creare “un fondo di compensazione collettiva per le perdite e offrire mercati alternativi di esportazione o importazione per deviare il commercio in risposta alle sanzioni cinesi”, per scoraggiare uno scenario simile a quanto accaduto con la Lituania.

Infine, essendo la competizione Cina-Occidente imperniata anche sullo sviluppo tecnologico, servirà “aumentare la competitività del settore privato nelle tecnologie emergenti” sviluppando partenariati pubblico-privati per competere più efficacemente con il Dragone nelle aree come il Sud Globale. Qui la reazione passerebbe dalle risposte europee e statunitensi alla Via della Seta (Global Gateway, Build Back Better World, e il più recente Blue Dot Network) ma anche da sostegni coordinati alle aziende tecnologiche che tentano di competere con quelle cinesi nei Paesi terzi.


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