In molti in queste ore a Beirut hanno fatto notare che il vero obiettivo del ministro Mortada, nel bloccare la proiezione del film campione di incassi, è l’emancipazione femminile, che Barbie farebbe emergere molto più dell’omosessualità. Ma ciò che sorprende è che Hezbollah sia riuscita a fare di questo una sua battaglia culturale da Beirut, la città più libera e aperta del mondo arabo
Pochi se ne sono accorti, ma Hezbollah, il famigerato Partito di Dio che con i suoi miliziani sa intervenire dal Libano in tutti gli scenari di guerra mediorientali, ha dichiarato una nuova guerra, a Barbie. Il film metteva in pericolo la moralità dei libanesi e così il ministro della Cultura Mortada, vicino ad Hezbollah, ne ha proibita la proiezione. Una priorità per il partito che governa il Libano. Certo, ci sarebbe da convincere il Parlamento a eleggere un nuovo Presidente della Repubblica, il palazzo presidenziale è vuoto da ottobre e questo impedisce di avere anche un governo nella pienezza dei suoi poteri, l’attuale può solo sbrigare gli affari correnti, di scegliere un nuovo governatore della Banca del Libano, posizione ormai vacante e destinata a restare tale fino alla scelta del nuovo capo dello Stato. E tra poco sarà vacante anche il posto di capo dell’esercito, che sta per andare in pensione e anche lui è di nomina presidenziale. Ma l’esecutivo controllato da Hezbollah vuole un suo inquilino al colle più alto di Beirut, e non avendo i numeri in Parlamento dichiara guerra a un film, Barbie.
La scelta ha un senso e risale a qualche giorno fa. Mentre il Libano sprofonda in una crisi economica totale, gli stipendi ormai hanno un valore che in euro si calcola in centesimi, la tv di Stato è costretta a sospendere le trasmissioni per mancanza di fondi per pagare gli stipendi, le sparatorie che si susseguono in tutto il Paese con i miliziani del partito ben visibili ovunque tanto da costringere il patriarca maronita a dire che è impossibile vivere in un Paese con due eserciti, il capo dell’esecutivo aveva tentato di ammorbidirlo andando con tutti i suoi ministri a riunirsi nella sua residenza estiva. Perché? Non ha saputo spiegarlo neanche lui, quello libanese sarebbe un governo, non un sinodo di vescovi. E molti ministri poi sono musulmani, ovviamente. Alla disperata ricerca di una risposta il premier ha detto che volevano trovare un’ispirazione morale comunque in un momento così difficile e che l’hanno trovata nella lotta all’omosessualità. E subito dopo è partito per le meritate vacanze. Non lo ha seguito però il suo ministro della Cultura, che di lì a breve ha proibito la proiezione del film Barbie. Una scelta che ci si aspetterebbe da Paesi come quelli del Golfo dei tempi dei wahhabiti, ma lì ora c’è Cristiano Ronaldo che dopo aver segnato esulta facendosi il segno della croce senza destar scandalo.
A Beirut invece si teme per la promozione di disvalori morali e si proibisce Barbie, nel silenzio però del patriarca che al riguardo non ha fatto emergere alcun segno di approvazione, neanche fugace. Forse al Libano serviva altro e così diversi deputati, soprattutto cristiani, dell’opposizione, sono pronti a sfidare Hezbollah e il suo tutore della moralità: “Non hanno problemi a mostrare ai bambini film che esaltano la morte e l’assassinio, ma non vogliono che non si proiettino film in cui si fa riferimento a un omosessuale”. Così nove deputati hanno ritirato fuori una proposta contro la persecuzione penale degli omosessuali ai sensi del vecchio codice penale e denunciando che questo provvedimento del ministro della Cultura vuole in realtà imporre la sua idea di religione e di morale, basata sulla persecuzione. E qui per la prima volta il nome di papa Francesco è arrivato per iniziativa di deputati cristiani nel dibattito politico culturale mediorientale. Il deputato Daou ha infatti fatto presente al ministro di Hezbollah che citava l’avversione di San Paolo per l’omosessualità, di documentarsi meglio sul cristianesimo, ricordando che papa Francesco è stato molto chiaro nel dire che l’omosessualità non è un crimine.
Questo accenno, tardivo ma importante, ha enorme rilevanza perché dimostra che dietro la questione dell’omofobia, da Mosca a Tehran a Beirut, un gruppo di diversi totalitarismi contrari all’idea di fratellanza umana e orientati comunque all’imposizione di comportamenti ritenuti virtuosi, come l’imposizione del velo in Iran, propongono in realtà una società chiusa e che si presenta come antagonista dell’ imperialismo occidentale, catturando simpatie a destra come a sinistra: da una parte nel nome di un supposto odine, dall’altra di un supposto anti americanismo. È quello che disse esprimendo la loro visione il patriarca moscovita Kirill, per il quale il conflitto in Ucraina è contro i Pride che Washington vuole imporre al mondo. Una linea da tempo fatta propria dall’ayatollah Khamanei e ora dal ministro della Cultura di Beirut.
In molti in queste ore a Beirut hanno fatto notare che il vero obiettivo del ministro Mortada è l’emancipazione femminile, che il film Barbie farebbe emergere molto più dell’omosessualità. Ma ciò che sorprende è che Hezbollah sia riuscita a fare di questo una sua battaglia culturale da Beirut, la città più libera e aperta del mondo arabo prima che questa crisi mortale, provocata dal vero problema morale che sta uccidendo il Libano, la corruzione elevata a sistema, arrivasse a un passo dall’ uccidere lo Stato civile e plurale libanese, con mille complicità. Se la reazione cristiana, che riscopre il valore del magistero di papa Francesco, saprà rivitalizzare la società civile libanese, cristiana e musulmana, vorrà dire che Beirut potrebbe tornare a svolgere un ruolo nella cultura araba.