La mossa saudita di ampliare le credenziali dell’ambasciatore in Giordania sulle questioni palestinesi e sulle attività consolari a Gerusalemme Est mette in difficoltà Israele. Stress test mentre Washington negozia la normalizzazione tra Riad e Tel Aviv
Il dialogo in corso da tempo per trovare una normalizzazione nei rapporti tra Arabia Saudita e Israele, tramite l’aiuto statunitense, ha avuto nei giorni scorsi una complicazione. I funzionari israeliani sono stati colti alla sprovvista dall’annuncio saudita di nominare un inviato per la Palestina che avrebbe anche il ruolo di console generale a Gerusalemme.
Riad ha reso pubblico che sarà l’ambasciatore ad Amman, Nayef al Sudairi, ad andare a ricoprire il doppio ruolo per la questione palestinese e per gli affari consolari israeliani. Israele ha escluso domenica qualsiasi eventuale missione fisica a Gerusalemme per quello che diventerà il primo inviato saudita presso i palestinesi. Un post sui social media della sua ambasciata ha detto che sarà anche “console generale a Gerusalemme”.
Riad dice che la decisione sarà un modo per facilitare il dialogo sulla soluzione a due Stati (che includa anche una parte di Gerusalemme come capitale dello stato palestinese, evidentemente). La mossa è arrivata dopo che Washington ha sostenuto informalmente (tramite spifferate ai media e smentite tattiche) che c’erano stati alcuni progressi negli sforzi per mediare la distensione tra Israele e Arabia Saudita — che in precedenza aveva escluso qualsiasi avvicinamento fino a quando non saranno affrontati gli obiettivi di statualità palestinese.
All’inizio di questo mese, i diplomatici palestinesi hanno espresso preoccupazione agli omologhi sauditi sul timore che Riad procedesse in avanti nell’appeasement con gli israeliani senza dare priorità alla loro causa (come fatto in precedenza da altri Paesi arabi che hanno normalizzato le relazioni con Israele). La notizia delle nuove credenziali ha creato un apparente ottimismo: “Cosa significa dire anche (è) ‘console generale a Gerusalemme’? Significa una continuazione delle posizioni dell’Arabia Saudita”, ha detto l’ambasciatore palestinese a Riad, Bassam Al-Agha, a proposito del nuovo doppio incarico di al Sudairi.
Narrazioni e interessi
Intervistato alla radio Voice of Palestine, Al-Agha ha inoltre interpretato la nomina come un “rifiuto” del riconoscimento degli Stati Uniti nel 2017 di Gerusalemme come capitale di Israele. I palestinesi vogliono uno stato in territori catturati da Israele in una guerra del 1967, con Gerusalemme Est come capitale. I negoziati sponsorizzati (per anni) dagli Stati Uniti con Israele sul raggiungimento di una soluzione si sono bloccati più di un decennio fa. Tra gli ostacoli ci sono stati l’insediamento israeliano in terre occupate e la faida tra le autorità palestinesi sostenute dall’Occidente e gli islamisti armati di Hamas, che usano tecniche jihadiste e razziste per minare la convivenza con gli ebrei.
Un altro punto critico è Gerusalemme, che Israele ritiene la sua capitale indivisibile — uno status non ampiamente riconosciuto dalla Comunità internazionale. “Questo (Al-Sudairi) potrebbe essere un delegato che incontrerà i rappresentanti dell’Autorità palestinese”, ha detto il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen alla stazione radio di Tel Aviv 103 FM.: “Ci sarà un funzionario seduto fisicamente a Gerusalemme? Questo non lo permetteremo”.
Il governo di destra di Israele, guidato da Benajamin Netanyahu e sostenuto da formazioni radicali, ha lavorato contro qualsiasi prospettiva che dia un terreno significativo ai palestinesi. Ma tali prospettive diventano sempre più parte del potenziale accordo di normalizzazione con l’Arabia Saudita. “Ciò che c’è dietro questo sviluppo è che, sullo sfondo dei progressi nei colloqui degli Stati Uniti con l’Arabia Saudita e Israele, i sauditi vogliano trasmettere un messaggio ai palestinesi che non li hanno dimenticati”, ha detto Cohen. L’affermazione limita l’interlocutore della mossa alla sola Palestina, ma è possibile che Riad pensi anche all’invio di un messaggio a Tel Aviv.
Cavilli tecnici dal significato politico
L’aspetto tecnico (e politico) sta nel ruolo di “non-resident”: questo significa che la feluca saudita non dovrà di fatto lavorare da un qualche ufficio diplomatico a Gerusalemme Est – dove Israele per policy non consente l’apertura di consolati per servire i palestinesi. Al Sudairi — che ha già presentato l’aumento delle sue credenziali al governo giordano — non avrà così bisogno di accreditamento a Tel Aviv, e potrà muoversi da Amman e Ramallah.
Gli spostamenti probabilmente li farà in elicottero. Anche la scelta del mezzo è importante in queste situazioni così delicate: Yonatan Touval – un analista israeliano molto informato – fa notare che l’attraversamento del confine tramite il ponte Allenby è sotto il controllo israeliano, per tale ragione, viaggiare in auto richiederebbe, per lo meno, il coordinamento con le autorità israeliane, e forse anche l’accreditamento se l’inviato di Riad volesse essere certo della sua immunità diplomatica mentre viaggia in auto attraverso la Cisgiordania. Richiedere questo riconoscimento equivarrebbe a riconoscere la sovranità israeliana su Gerusalemme Est, spiega Touval.
Molto difficile che l’Arabia Saudita faccia mosse diplomatiche (o scivoloni) del genere adesso. Molto improbabile che il governo Netanyahu fornisca concessioni speciali. La normalizzazione israelo-saudita è percepita da tutti come volontà strategica, ma in questo momento — mentre i rumors sulle evoluzioni si susseguono — tutti stanno cercando forme di stress test per capire cosa c’è sul piatto dell’intesa.