Israele potrebbe non avere alternativa che accettare l’avvio di un programma nucleare civile in Arabia Saudita, come condizione per normalizzare i rapporti con il regno. Gli Stati Uniti farebbero da tutori dell’intesa (che porrebbe la questione palestinese in secondo piano?) anche per evitare che possano essere Cina o Russia a fornire le tecnologie atomiche a Riad e ad assumere il ruolo di fulcro
Quando il presidente statunitense, Joe Biden, incontrerà il primo ministro saudita, l’erede al trono Mohammed bin Salman, al G20 in India, i due potrebbero avere un momento riservato e discutere dei rapporti bilaterali in una stanza appartata dal resto del vertice internazionale (sono questi gli incontri che contano davvero al G20). Sull’agenda delle discussioni il posto principale ce l’ha sicuramente l’intesa tra Washington e Riad che dovrebbe includere anche Israele. Sul tavolo c’è un altro accordo a tre dal potenziale simile a quello di Camp David, che porterebbe a nuove relazioni due Paesi alleati americani e rivali storici (esattamente come erano Corea del Sud e Giappone) e che avrebbe una capacità potenziale di sconvolgere le dinamiche della regione – in questo caso il Mediterraneo allargato, nel caso di Camp David l’Indo Pacifico – e le dinamiche internazionali.
La visita di Dermer
L’incontro tra Biden e bin Salman sarebbe il secondo faccia a faccia dall’inizio della presidenza del democratico che ha segnato un raffreddamento delle relazioni tra americani e sauditi. Rapporti che molti nel partito del presidente vorrebbero ancora più freddi, perché non percepiscano la dimensione dei cambiamenti messi in atto dal sovrano saudita e guardano all’attuale limitazione di diritti che il regno continua ad avere. Inutile dire che il meeting darebbe un push di assoluto rilievo al dossier che Barak Ravid, giornalista israeliano che su Axios dà la notizia esclusiva sulle concrete possibilità dell’incontro, definisce “mega-deal”.
Il ministro israeliano per gli Affari strategici, Ron Dermer, ha visitato Washington la scorsa settimana e ha incontrato Brett McGurk, lo zar dell’amministrazione Biden per gli affari mediorientali, e Amos Hochstein, il consigliere speciale del presidente per le questioni energetiche e le “Global Infrastructures”. Il ruolo dei due super funzionari è stato quello di aggiornare Dermer sullo stato dei colloqui con Riad, e informarlo che per il momento, a quanto pare, i sauditi non sono interessati al processo a tre, perché prima vogliono privilegiare alcuni dossier bilaterali con gli americani. Su tutti – e qui il ruolo di Hochstein è centrale – quello sul nucleare civile in Arabia Saudita.
Durante la sua visita americana, Dermer (uno delle pedine centrali del governo israeliano), ha parlato della possibilità della nuclearizzazione saudita durante un’intervista televisiva a “PBS NewsHour”. “I sauditi hanno messo questo sul tavolo [dell’accordo a tre per la normalizzazione con Israele], la possibilità di avere un programma nucleare civile di cui probabilmente siete a conoscenza. Loro, come firmatari del Trattato di non proliferazione nucleare, potrebbero andare in Cina o possono andare in Francia domani, e potrebbero chiedere di istituire un programma nucleare civile e di consentire l’arricchimento interno. Potrebbero farlo domani se volessero. Quindi la domanda che mi sono posto è: se gli Stati Uniti sono coinvolti in questo, cosa significherà […] e qual è l’alternativa?”.
Il nucleare saudita
Il giornalista Nick Schifrin di PBS commenta allora con chiarezza: “Sembra che voi non vi stiate opponendo”. E Dermer risponde: “Right”. C’è una lunga tradizione di opposizione all’espansione nucleare nella regione da parte di Israele. Era nota come “Dottrina Begin”, dal nome di Menachem Begin, ex primo ministro e fondatore del partito Likud, di cui fa parte anche l’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu. Queste posizioni restano. L’ex consigliere per la sicurezza nazionale del primo ministro, Meir Ben-Shabbat, è per esempio tra gli influenti pensatori israeliani che hanno preso posizioni di questo genere: “L’ingresso dell’Arabia Saudita nel club nucleare produrrebbe un ampliamento della proliferazione nucleare nella regione. Altri Paesi si impegnerebbero per acquisire capacità di arricchimento dell’uranio nel proprio territorio”, ha detto Ben-Shabbat.
Dermer, messo davanti a tali considerazioni, ha spiegato che questa non è necessariamente la politica del governo israeliano negli ultimi decenni. E poi ha aggiunto che un accordo tra Israele e Arabia Saudita sarebbe un effettivo “game-changer” per il mondo, con altri Paesi arabi e musulmani che potrebbero essere portati a seguire la decisione di Riad. Il regno protegge i luoghi sacri dell’Islam, ed è guida ideologica e geopolitica della sfera maggioritaria sunnita. Le sue scelte possono essere determinanti per spostare certi equilibri. Ed è anche per questo che finora bin Salman sembra non volersi impegnare apertamente, consapevole che deve rispondere a un’audience molto ampia che potrebbe chiedergli conto della questione palestinese prima di una normalizzazione con Israele.
Ma la possibilità di avere l’energia nucleare sarebbe qualcosa di straordinario per un’Arabia Saudita che vuole e deve sganciarsi dal petrolio in un complicato processo di transizione energetica, economica e sociale. Anche per questo Dermer sembra accettare che non ci siano troppe altre alternative. Una decina di giorni fa, il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, aveva ipotizzato in un commento sul Wall Street Journal che gli Stati Uniti potessero porre l’Arabia Saudita sotto un ombrello nucleare simile a quello che protegge la Corea del Sud.
Strategia e interessi
La questione è molto delicata. Israele potrebbe non fidarsi completamente dell’arricchimento di materiale nucleare su suolo saudita, perché consapevole che dagli usi civili si potrebbe passare a quelli militari e il Paese vuole mantenere la posizione d’eccezionalità collegata all’ambiguità strategica (Israele non ha mai pubblicamente ammesso di avere armi atomiche, e questo è un ulteriore elemento di deterrenza). E però, percepisce che lo scambio sul tavolo potrebbe essere nucleare per Palestina: Riad potrebbe accettare di tenere una linea meno attenta alla questione palestinese se dovesse ottenere le capacità nucleari? Per Netanyahu sarebbe un sollievo, perché dei due dossier quello interno è ancora più sensibile.
C’è poi un senso strategico profondo che dinamizza la discussione. Gli Stati Uniti sono consapevoli che l’Arabia Saudita potrebbe rivolgersi alla Cina (se ne parla da molto) o alla Russia (c’è già un’offerta e discussioni avviate), e che sia Pechino che Mosca sarebbero ben lieti di offrire i proprio servizi a Riad. Questo è ciò che farebbe saltare il banco dell’accordo a tre, o ancora peggio farebbe saltare la presenza americana in quell’intesa. Dunque cerca di giocare di anticipo ed evitare il ripetersi dell’effetto cinese sulla normalizzazione tra Iran e Arabia Saudita? Israele ne è cosciente? Nel pragmatismo che la situazione imporrebbe, se la Cina offrisse tecnologia nucleare ai sauditi, gli israeliani sarebbero portati a entrare in un dialogo con Riad dove Pechino si porrebbe al posto di Washington?
Riad intende sviluppare un’infrastruttura nucleare per il ciclo del combustibile nucleare anche sfruttando la scoperta di riserve di uranio indigene. L’Arabia Saudita ha d’altronde mostrato interesse nella tecnologia nucleare civile fin dagli anni Ottanta, con l’obiettivo di diversificare le fonti energetiche e ora spinge sul programma per supportare il piano Vision 2030 (sono previsti 16 reattori nucleari per un investimento complessivo di 80 miliardi di dollari). L’obiettivo è creare indipendenza nel ciclo del combustibile nucleare, ma ci sono preoccupazioni anche perché il paese ha mostrato resistenza nell’adozione dei protocolli dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Iaea) per le ispezioni. Tuttavia, come spiegava Ludovica Castelli in un’analisi per lo Stimson Center, l’acquisizione di armi nucleari non è l’obiettivo primario (interesse sceso anche per la distensione tattica con l’Iran?), ma la creazione di indipendenza nel ciclo del combustibile nucleare è vista anche come un mezzo per accrescere il prestigio internazionale – attività in cui bin Salman è costante te impegnato.