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La visita di Raimondo in Cina riapre i colloqui commerciali, ma…

La segretaria Raimondo apre un nuovo paragrafo delle relazioni tra Washington e Pechino: dialogo sul controllo delle esportazioni e sulle relazioni commerciali. Ci sono spazi per forme di distensione, ma restano distanze. La Cina “preferisce di gran lunga impegnarsi su questioni commerciali ed economiche con gli Stati Uniti”, fa notare Sher (Carnegie)

Il Global Times definisce i colloqui tra il ministro del Commercio cinese, Wang Wentao, e la segretaria al Commercio statunitense, Gina Raimondo, “razionali, schietti e costruttivi”. L’incontro è durato quasi quattro ore e mezza, lunedì 28 agosto, ed è una di quelle forme di contatto con Washington che Pechino apprezza. A differenza dei dialoghi più politici, tendenzialmente respinti dalla Repubblica popolare, quelli di ambito economico e commerciale sono tenuti in primissimo piano dai cinesi. Anche sulla base di una consapevolezza: l’economia della Cina va molto meno bene di quella degli Stati Uniti, dove anche questo mese è aumentata la fiducia dei consumatori.

Ripartono i colloqui: export control e non solo

Il risultato principale della visita è l’avvio di un (nuovo) dialogo sui controlli delle esportazioni, concordato proprio durante la visita di Raimondo a Pechino. Washington descrive questi colloqui, che avvengono tra funzionari governativi su un livello più basso della leadership, un dialogo sullo “scambio di informazioni sull’applicazione del controllo delle esportazioni”, specificando che sono “una piattaforma per ridurre le incomprensioni sulle politiche di sicurezza nazionale degli Stati Uniti”. Il ministero del Commercio cinese ha seguito la linea, sostenendo che i colloqui serviranno a “scambiare informazioni relative al controllo delle esportazioni, in conformità con le rispettive leggi“.

Per Washington sono un modo per rendere comprensibile le proprie azioni e portare la controparte a rispettarle. Un alto funzionario del commercio statunitense ha detto al Financial Times che il Paese considera lo scambio di informazioni sull’applicazione del controllo delle esportazioni come un forum per aumentare la trasparenza sulle sue nuove regole che limitano il commercio e gli investimenti con le aree sensibili dell’economia cinese, e non per negoziare la policy.

Invece Pechino spera in fondo che siano un terreno di discussione tramite cui poter raggiungere compromessi sull’eliminazione stessa di alcune delle misure. Ma per ora non si espone, segue il trend e scruta le opportunità. La Cina, che sta lottando per rilanciare la propria economia afflitta da una serie di problemi puntuali e strutturali, sta cercando di rinvigorire gli investimenti stranieri in un contesto di profonda contrazione del mercato immobiliare e di calo delle esportazioni. I funzionari statunitensi hanno dichiarato che le loro controparti cinesi si sono dimostrate ricettive con Raimondo, ed è chiaro che sia un atteggiamento interessato.

Nuove misure, vecchie distanze

Lo scambio di informazioni sull’export control è stato uno dei numerosi nuovi meccanismi concordati per il dialogo tra le due parti. Tra gli altri, un gruppo di lavoro sulle questioni commerciali, che terrà la sua prima sessione l’anno prossimo negli Stati Uniti, e discussioni tecniche sulla protezione dei segreti commerciali e delle informazioni aziendali durante le procedure di autorizzazione. Ritorna il dialogo tecnico tra Washington e Pechino, mentre le distanze politiche restano.

Questo mese il presidente Joe Biden ha annunciato un ordine esecutivo che vieta alcuni investimenti statunitensi nei settori cinesi dell’informatica quantistica, dei chip avanzati e dell’intelligenza artificiale, per impedire ai militari cinesi di accedere alla tecnologia e ai capitali americani. Il nuovo ordine esecutivo entrerà in vigore il prossimo anno e richiederà alle aziende di notificare al governo statunitense altri investimenti con la Cina nei tre settori.

Pechino, da parte sua, ha annunciato restrizioni sull’esportazione di gallio e germanio – due metalli utilizzati nella produzione di chip – e sull’uso di prodotti Micron Technology nelle sue infrastrutture critiche.

È molto difficile che certe distanze possano essere superate, nonostante i colloqui in corso e un potenziale tavolo di discussione attivo anche per il futuro. Ma intanto, Raimondo ha anche accettato di creare un calendario di incontri tra il suo dipartimento e il ministero del Commercio cinese almeno una volta all’anno. “Abbiamo bisogno di più canali di comunicazione. Alcuni amministratori delegati mi hanno detto di avere un disperato bisogno di maggiore comunicazione”. Questa linea è apprezzata anche da parte della business community statunitense, che giudica la Cina “non investibile” perché troppo controllata dal partito/stato: argomento sollevato da Raimondo, su cui la Cina si è subito chiusa a riccio.

Sulla sfera economica pesa la securitarizzazione politica 

Va evidenziato che comunque tutto il quadro delle discussioni potrebbe avere una scadenza a breve, visto che l’amministrazione Biden si concluderà il prossimo anno e sarà da vedere cosa verrà dopo.

Pechino a proposito di questo ha una preoccupazione: i dazi statunitensi, le politiche sui semiconduttori, le restrizioni agli investimenti, le sanzioni contro le aziende cinesi potrebbero inasprirsi in futuro. La corsa per Usa2024 infatti trova un punto condiviso tra Democratici e Repubblicani attorno alla linea dura nei confronti della Cina, e il terreno commerciale potrebbe essere quello in cui l’amministrazione Biden dimostra di non essere morbida con Pechino come i candidati conservatori accusano (vedi Donald Trump, che definisce Joe Biden “compromesso” con la Cina).

“L’eccessiva generalizzazione della sicurezza nazionale non favorisce il normale commercio e gli scambi economici”, ha dichiarato Wang, “In materia di sicurezza nazionale, non c’è spazio per scendere a compromessi“ ha detto Raimondo andando al cuore delle questioni sul tavolo. La securitarizzazione delle relazioni, anche sul piano economico, che potrebbe anche essere destinata a continuare in futuro, come aveva notato Evan Feigenbaum (Carnegie) su queste colonne, durante il viaggio a Pechino, a luglio, della segretaria al Tesoro, Janet Yellen.

Raimondo, che ha passato oltre dieci anni nel venture capital prima di darsi alla politica: il settore da cui proviene, con i ban di agosto forse cambierà. La segretaria ha sottolineato che il 99% del commercio Usa-Cina non è sensibile, quindi non è soggetto a restrizioni alla sicurezza nazionale, e quindi gli investimenti dovrebbero essere incoraggiati. Sebbene sia strettamente vero, il problema è che è proprio l’1% rimanente (cioè la tecnologia all’avanguardia su cui gli Usa hanno stretto la morsa) che la Cina è interessata a far progredire negli scambi. Non il 99% restante.

Secondo Nathaniel Sher, senior sesearch analyst del Carnegie, rispetto ai dialoghi sulle questioni di sicurezza, Pechino preferisce di gran lunga impegnarsi su questioni commerciali ed economiche con gli Stati Uniti. “Questo non solo perché la Cina sta vivendo una ripresa economica più lenta del previsto dopo Covid-19, ma anche perché Pechino si lamenta da tempo delle politiche statunitensi volte a ‘reprimere’ lo sviluppo della Cina, tra cui le tariffe, i controlli sulle esportazioni e le sanzioni imposte sia dall’amministrazione Trump che da quella Biden”.

Sher sottolinea che allo stesso tempo gli Stati Uniti nutrono analoghe preoccupazioni riguardo alle sovvenzioni statali, al furto di proprietà intellettuale e alla mancanza di accesso al mercato cinese. “Il fatto che le due parti abbiano concordato di mantenere i dialoghi successivi — spiega a Formiche.net — è un segnale che potrebbero essere in grado di risolvere alcune delle loro preoccupazioni reciproche piuttosto che usare il dialogo solo per sollevare le rispettive rimostranze senza trovare un terreno comune”.


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