Mentre continua il confronto tra giunta golpista ed Ecowas, si aprono scenari (e necessità) di contatto. Gli uomini di Tchiani parlano con i militari occidentali presenti, le ambasciate lavorano per comprendere come poter trovare una soluzione negoziale, perché l’intervento militare è da evitare con ogni sforzo. A un mese dal golpe, Niamey resta stabile
Il generale Abdourahamane Tchiani, che ha preso il potere in Niger con un colpo di stato il 26 luglio, ha proposto il passaggio al dominio civile tra tre anni. Nel frattempo Niamey sarebbe amministrata da una giunta da lui controllata, con l’obiettivo di ristabilire ordine e sicurezza – contro un sistema di potere a suo dire corrotto e poco incisivo nel combattere l’espansione dei gruppi jihadisti. La proposta è stata respinta dal blocco regionale dell’Ecowas. Tchiani ha fatto la dichiarazione in un discorso televisivo sabato sera dopo i colloqui con i mediatori dell’organizzazione, avvenuti con la presenza del presidente deposto, Mohamed Bazoum.
D-Day come “deterrenza day”?
L’Ecowas ha annunciato un “D-day” per l’intervento militare in Niger dopo la riunione del 18 agosto ad Accra, ma senza specificare la data. L’Ecowas ha anche detto di aver definito “gli obiettivi strategici, l’equipaggiamento necessario e l’impegno degli stati membri”, ma anche su questo non ha dato specifiche. Il blocco delle nazioni dell’Africa occidentale, sotto la presidenza del leader nigeriano, Bola Tinubu, aveva già annunciato la mobilitazione di una “forza di stand by” per ripristinare l’ordine costituzionale in Niger. Ma non è chiaro nemmeno quale azione, e come, potrebbe intraprendere questa stand-by force, dato che l’intervento militare è profondamente impopolare, sia nella regione (ci sono state per esempio proteste in Senegal) che tra i politici della Nigeria settentrionale.
Il pensiero nigeriano conta, perché Abuja è la prima economia africana e dell’Ecowas è l’unico Paese con forze armate minimamente strutturate per un eventuale attacco. Tinubu ha necessità di mostrarsi consistente sia in casa che nel continente, che a livello internazionale. È stato eletto a maggio, e tra le sue visioni c’è quello di una Nigeria come potenza regolatrice e di riferimento in Africa (e non solo). Il suo è anche un gioco di deterrenza. Davanti, il Niger, uno dei paesi più poveri del mondo, sta subendo già interruzioni di corrente e aumento dei prezzi del cibo dopo che Tinubu ha deciso unilateralmente di chiudere i suoi confini commerciali e tagliato la fornitura di elettricità al paese.
L’agenda Tchiani
Tuttavia, al di là delle postura severa presa da Tinubu e dall’Ecowas, Tchiani sembra convinto di poter procedere secondo la sua agenda. Ha nominato un governo, ha annunciato quel periodo di transizione, e sta preparando un processo di “dialogo nazionale” tramite il quale arrivare alla stesura di una nuova costituzione. Probabilmente il generale è convinto di potere nel medio termine arrivare a convincere sulla bontà dei propri intenti non solo l’Ecowas – che ha la necessità di mantenere almeno per ora, e almeno a livello retorico, una posizione dura – ma la Comunità internazionale.
Il leader golpista ha due elementi dalla sua parte. La prima, la Comunità internazionale è concorde sulla scarsa opportunità di un intervento militare. C’è comprensione per la linea severa presa da Ecowas, ma la posizione dominante sembra quella presa da Paesi come l’Italia: i colpi di mano, l’uso della forza per prendere il potere, è inaccettabile, ma serve ogni sforzo per scongiurare un’operazione militare che potrebbe mettere a rischio milioni di civili – non solo in Niger – e produrre uno scombussolamento regionale da cui, inoltre, potrebbero trarre vantaggio forze rivali dell’ordine internazionale come la Russia (con la Wagner) o gruppi terroristici diffusi nell’area.
Il secondo aspetto è più di carattere interno, ma ad uso esterno. Tchiani non ha avuto subito consenso da diverse porzioni della popolazione, ma è altrettanto vero che in un mese di controllo del potere non ha ricevuto moti di protesta e opposizione, né dalla società civile (comprese le élite) e nemmeno dalle forze armate. Tchiani è infatti il comodante della Guardia presidenziale, unità composta da circa duemila uomini, ma il resto delle componenti militari (oltre ventimila) per ora non si è mosso in opposizione al leader golpista. Anzi, alcuni elementi hanno appoggiato più meno apertamente il colpo di stato – come per esempio il brigadiere generale Moussa Salaou Barmou, cresciuto come uomo e come militare dagli Stati Uniti.
Military-diplomacy (anche contro Mosca)
Queste figure sono una forma di contatto molto consistente con la giunta golpista, contatto che per altro ancora non è stato spezzato, basta pensare che una decina di giorni fa Bramo cercava di spiegare le ragioni dell’azioni in un’intervista al Wall Street Journal. È in corso una military diplomacy che differenzia ciò che è accaduto in Niger dalle vicende del Mali e del Burkina Faso – dove le giunte golpiste hanno rapidamente scarrellato verso la linea anti-occidentale, chiudendosi e chiedendo formalmente l’assistenza della Wagner, dopo essere state apertamente penetrate (da tempo prima) da narrazioni e attività filo-russe.
L’oligarca proprietario della Wagner, Yevgeny Prigozhin, continua a sostenere che quella di Tchiani è un’ennesima mossa contro il neocolonialismo, e sulla base di questo offre i servizi della sua compagnia alla giunta. Su Telegram, il filosofo fascista Alexander Dugin ha dichiarato “Il Niger è nostro! L’ultimo burattino di Françafrique viene rovesciato durante il Forum Russia-Africa. Il Niger ai nigerini!”. Più istituzionalmente, anche per marcare distanza dalle frange estremiste che recentemente hanno dato non pochi problemi alla stabilità del suo potere, il presidente russo, Vladimir Putin, ha appoggiato le esigenze della giunta nigerina, e sostenuto che un intervento militare sarebbe un problema per la regione, auspicando una “soluzione pacifica” in una conversazioni con il leader golpista maliano, Assami Goita.
Difficilmente Mosca potrà porsi in una posizione di contrasto aperto rispetto a quella dell’Ecowas, perché ha interessi a mantenere ottimi rapporti con il blocco e soprattutto con la Nigeria. Altrettanto difficilmente, Wagner potrà offrire i servizi offerti in Mali, perché dopo il tentato colpo di stato in Russia la società di Prigozhin è entrata in una fase più problematica delle sue attività.
Perché cercare il dialogo
Per l’insieme di queste ragioni, in diversi corridoi diplomatici occidentali si sta valutando con maggiore attenzione la via del dialogo con Tchiani – che per altro non ha un track record così imbarazzante. Affiancata all’iniziativa di contatto tramite i militari – in Niger ci sona ancora centinaia di soldati americani, francesi e anche italiani – si stanno portando avanti attività diplomatiche più classiche. Nei giorni scorsi è per esempio arrivata a Niamey la nuova ambasciatrice degli Stati Uniti, Kathleen Fitz-Gibbon, una diplomatica esperta conoscitrice dell’Africa centrale e occidentale.
“Il suo arrivo non riflette alcun cambiamento nella nostra posizione politica, ma risponde alla necessità di una leadership senior della nostra missione in un momento difficile. Il suo obiettivo diplomatico sarà quello di sostenere una soluzione diplomatica che preservi l’ordine costituzionale”, commenta il dipartimento di Stato. L’Italia è già attiva su questo genere di linea, con l’ambasciatrice Emilia Gatto che in coordinamento con la Farnesina ha mantenuto aperta la sede diplomatica, sia per sbrigare gli affari correnti (come alcuni rientri di cittadini italiani), ma anche per cercare punti di dialogo. “Quando hai il privilegio di rappresentare il tuo Paese, non puoi non esserci quando è necessario”, aveva commentato Gatto su X, rientrando a Niamey il 2 agosto.