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In Niger ci sono ampi spazi per un negoziato guidato da Ecowas, spiega Procopio

Secondo l’esperta dell’Ecfr, l’Ecowas potrebbe non essere interessata all’azione militare, ma avrebbe ampi spazi di trattativa anche perché il leader golpista Tchiani non ha eccessiva presa sul Paese. Tchiani non gode nemmeno del supporto dichiarato delle forze armate nigerine – che sono circa 30 mila unità, molte delle quali hanno avuto recentemente training da contingenti militari come quello italiano

I paesi membri dell’Ecowas, Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, si incontreranno giovedì nella capitale nigeriana, Abuja, per discutere della gestione della crisi nigerina dopo il golpe del 26 luglio e lo scadere, alla mezzanotte di ieri (domenica 6 agosto), dell’ultimatum per il reinsediamento del presidente deposto, Mohamed Bazoum.

“Sembra che si stia facendo di tutto per trovare un dialogo politico con la giunta, che da parte sua potrebbe essere in grado di aprirsi e formulare richieste: e ci sono ancora spazi per mediazioni, perché il leader golpista Omar Tchiani non ha un sostegno così ampio, è un leader militare modesto a capo della Guardia presidenziale, che conta un paio di migliaia di unità, e dal punto di vista politico non è chiaro quanto presa abbia per ora sulla popolazione. Però è altrettanto chiaro che più si trascina la situazione, più i vari attori riescono a organizzarsi e spingere i propri interessi”, spiega Maddalena Procopio, senior policy fellow del programma “Africa” dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr).

Ecowas ha ventilato l’ipotesi di un intervento militare se Tchiani non recupera lo status quo ante golpe, tuttavia non è chiaro quanto sia possibile un’azione armata – che sarebbe potenzialmente distruttiva comunque, perché andrebbe a produrre ulteriore caos in una regione, il Sahel, già ampiamente squarciata dall’insorgenza jihadista, ed economicamente debole (anche perché colpita dagli effetti tangibili dei cambiamenti climatici).

L’obiettivo verso cui sono diretti molti attori, sia regionali che internazionali (Italia compresa, a quanto pare dalle recenti dichiarazioni del vicepremier Antonio Tajani), è una mediazione. La via negoziale è sposata perché la richiesta di stabilità è legata sia all’evitare una crisi umanitaria connessa al conflitto, sia un ulteriore depauperamento delle condizioni securitarie. È noto che i gruppi jihadisti beneficiano del caos per creare maggiore proselitismo, e inoltre una guerra nella regione potrebbe produrre dinamiche migratorie non indifferenti. Attori globali come Unione Europea, Stati Uniti o Cina hanno interesse che il quadro resti più stabile possibile (potrebbero per questo accettare compromessi?).

La speranza che trapela da ambienti diplomatici europei è una rinegoziazione dell’ultimatum, sebbene sia un ossimoro concettuale. L’obiettivo sarebbe quello di costruire un percorso di contatto e dialogo con la giunta, cosa che finora non è stata possibile. Ma se Ecowas rinuncia a esercitare deterrenza, non rischia di sembrare debole? “Ecowas è un’organizzazione strutturata, multilaterale e capace di avviare percorsi di negoziazione. Tuttavia sulla questione dell’intervento militare è attualmente divisa a livello comunitario e internamente agli stati membri”, risponde l’esperta dell’Ecfr. “La Nigeria, per esempio, il Paese che sta guidando la risposta al golpe in seno a Ecowas, non è compatta sulla gestione della situazione in Niger”.

Il presidente Bola Tinubu, che guida di turno anche l’Ecowas, ha non solo l’opposizione del Senato, che serve per avallare l’azione militare, ma – ricorda Procopio – ha anche l’opposizione dell’elettorato musulmano, che teme ripercussioni nella fascia settentrionale, da anni martoriata dai gruppi jihadisti. “Abuja sta vivendo una stagione complicata, siamo nei mesi appena dopo le elezioni e il Paese è ancora in una fase di assestamento politico e difficoltà economica. Tinubu ha inoltre introdotto l’eliminazione dei sussidi ai carburanti, dopo oltre un decennio di tentativi, causando instabilità sociale. Sia dal punto di vista politico che economico, la missione armata sarebbe una scelta costosa”.

Situazione simili sono vissute anche altrove, come in Senegal e Costa d’Avorio per esempio, altri due dei membri di spicco dell’Ecowas. A Dakar, quando nei giorni scorsi il governo s’è mostrato possibilista per un intervento militare in Niger, sono scoppiati disordini per l’opposizione di parte della popolazione. “Per tali ragioni, è possibile che la retorica rientri, si avvii una mediazione diplomatica, con l’Unione europea che dovrebbe fornire totale supporto all’Ecowas, in quanto organizzazione multilaterale, e dunque più facile per Bruxelles muoversi tramite essa che a livello bilaterale”.

Nei frattempo, c’è anche da gestire la reazione di Mali e Burkina Faso (e in misura meno convinta la Guinea) che hanno risposto minacciando l’appoggio ai golpisti nigerini se l’Ecowas dovesse mandare le truppe. Quanto è credibile la posizione di Bamako e Ouagadougou? Il gesto di intervento potrebbero anche riuscire a farlo ma la domanda da porsi è: come lo sosterrebbero nel tempo? Dal punto di vista militare potrebbero anche ricevere qualche forma di aiuto dall’esterno, per esempio dalla Russia visto che entrambi i Paesi ricevono assistenza dalla Wagner, ma va anche capito quanto e come. Un intervento militare resta un impegno economico, politico – e anche sociale – incredibile, ancor più per paesi che non sono riusciti ad assestarsi né risollevarsi nonostante le promesse fatte dalle giunte al momento dei colpi di stato”, spiega l’analista del think tank paneuropeo.

Per Procopio, siamo in una fase di rilancio della retorica guerresca: una pericolosa gara per prendere posizione, visto che rischi di inneschi non mancano. Ma ci sono ampi spazio per evitare “un’escalation devastante”. “Anche perché non ci sono segnali di settori, in Niger, che sostengono tout court il Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (i golpisti, ndr). Questo potrebbe permettere di trovare elementi di dialogo migliori”. Tchiani non gode nemmeno del supporto dichiarato delle forze armate nigerine – che sono circa 30 mila unità, molte delle quali hanno avuto recentemente training da contingenti militari come quello italiano (contingente che per altro è impegnato nelle attività di colloquio con la giunta golpista, come dichiarato oggi pomeriggio dal ministro Guido Crosetto).



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