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Cosa spiega sul Niger il dilemma di Washington in Burkina Faso

L’espansione delle attività dei gruppi jihadisti in Burkina Faso richiederebbe un aumento dell’assistenza militare americana, ma il Paese è guidata da una giunta golpista con cui l’amministrazione democratica di Joe Biden fatica – politicamente a lavorare. Test per il futuro del Niger

L’amministrazione Biden si trova di fronte a “un dilemma” (copyright Washington Post) in Africa occidentale: gli Stati Uniti dovrebbero aiutare un paese della regione, il Burkina Faso, gestito attualmente da una giunta militare con un bilancio preoccupante in materia di diritti umani, oppure sostenere una politica estera “value-based” e rischiare che Ouagadougou perda territorio davanti all’avanzata incessante dei gruppi combattenti islamici e richieda formalmente assistenza per la propria sicurezza a società come la russa Wagner?

Si tratta di un dilemma che, in varie forme, ha ripetutamente posto l’amministrazione di fronte alla realtà africana, tant’è che la soluzione potrebbe essere fondamentale per capire anche come fare in futuro con le operazioni securitarie nel Sahel — una regione devastata dall’insorgenza jihadista — che finora erano gestite dal Niger. Niamey è stata descritto per lungo tempo come saldo riferimento democratico in mezzo al caos regionale, con tutti i Paesi dell’area che hanno subito scossoni istituzionali a seguito di golpe mossi da interessi interni, ma basati narrativamente sulla necessità di combattere il terrorismo. Da un paio di settimana anche in Niger una giunta militare ha preso il controllo del Paese, sollevando preoccupazioni per potenziali azioni intra-africane e ulteriori penetrazioni della Wagner.

C’è una parte di funzionari (livello senior) del dipartimento di Stato e del Pentagono che sostengono la necessità di inviare una fornitura, intanto non letale, per la sicurezza alle forze armate del Burkina Faso, spiegando che la minaccia rappresentata da un’insurrezione islamica in crescita vertiginosa richiede un intervento, soprattutto perché la Wagner sarebbe desiderosa di riempire gli spazi. Questi funzionari non a caso parlano adesso con i giornali: la situazione burkinabé è molto simile a quella nigerina, con la differenza che in Niger gli americani hanno piantato un sistema militare che in Burkina Faso non c’è.

Affrontare la questione con Ouagadougou potrebbe creare un premessa utile per la gestione del più complesso dilemma cin Niamey. Va aggiunto che il Burkina Faso, insieme al Mali, ha già dichiarato che prenderà la parte della giunta golpista nigerina se dovesse intervenire militarmente l’Ecowas per sedare la crisi istituzionale a Niamey. E inoltre, come già annunciato a marzo, la Russia intende riaprire l’ambasciata a Ouagadougo, effetto diretto dell’aumento di cooperazione deciso al forum Russia-Africa di San Pietroburgo, dove i leader burkinabe sono stati tra i pochi a essere usciti soddisfatti dalle rassicurazioni della sponda russa.

La questione del Burkina Faso chiaramente non riguarda solo gli Stati Uniti, ma tocca anche altri governi occidentali che si stanno interrogando su come bilanciare al meglio le preoccupazioni relative alla sicurezza e ai diritti umani in altre zone della regione del Sahel, tra cui il Mali, il Ciad e la Repubblica Centrafricana, tutti paesi in preda a turbolenze politiche. E tutti Paesi oggetto della penetrazione strategica russa tramite la Wagner.

Tra coloro che dovrebbero seguire le discussioni americane sul Burkina Faso c’è anche l’Italia, che ha annunciato una missione bilaterale di supporto nel Paese, che si abbina a quella in Niger per fornire assistenza e sviluppo alle truppe locali. La sfida per un’amministrazione come quella di Joe Biden che ha levato i principi democratici come vettore di politica internazionale, sta diventando complicata. Per lavorare con una parte di Africa pare sempre più necessario accettare certe condizioni, che però potrebbero scontentare parte delle constituency interne a Washington come altrove. A Roma, il governo è sostenuto da un corpo elettorale pragmatico e non eccessivamente fanatico dei valori democratici, dunque certe scelte potrebbero essere ben assorbite, ma ciò non toglie che scatenerebbero le critiche delle opposizioni. A Washington, l’elettorato di Biden è piuttosto ideologizzato, soprattuto una frangia più giovane e movimentista dei Democratici, e certe scelte potrebbero scatenare critiche da parte dei conservatori più classici (mentre l’alt-right dominante, di solito detesta in generale il coinvolgimento in attività all’estero, e questo non solo negli Stati Uniti).

Il Pentagono per ora ha sospeso la cooperazione di sicurezza con le forze armate nigerine, compreso l’addestramento dei soldati nigerini, “alla luce della situazione”. Ma finora l’amministrazione non ha dichiarato formalmente la presa di potere in Niger come un colpo di stato, che richiederebbe il congelamento degli aiuti militari secondo la legge statunitense.

Il Burkina Faso è un test. Quando l’anno scorso un capitano dell’esercito di 34 anni, Ibrahim Traoré, ha preso il potere, ha promesso di migliorare la situazione della sicurezza del Paese, che è stata al centro dell’insurrezione jihadista guidata da diversi gruppi militanti. Il Global Terrorism Index classifica il Burkina Faso solo dopo l’Afghanistan per la violenza estremista.

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