Skip to main content

La nuova corsa alla Luna è una competizione geopolitica a somma zero per l’Europa

Il 25 luglio la Nasa ha assegnato diversi contratti per costruire piattaforme di atterraggio, strade e un habitat sulla superficie lunare, prevedendo anche l’utilizzo di reattori nucleari per produrre energia e per installare un sistema di alimentazione ad alta tensione. La sfida per gli Usa non è solo tecnologica quanto politica, e lo stesso vale per l’Europa. L’opinione dell’ingegnere esperto aerospaziale

L’agenzia spaziale statunitense ha assegnato contratti per un valore complessivo di 150 milioni di dollari a diverse aziende, la maggior parte delle quali non direttamente spaziali, per realizzare infrastrutture lunari altamente innovative. Le 11 aziende che hanno ricevuto i contratti sono tenute a investire dei fondi propri per coprire dal 10 al 25 percento del costo proposto per il loro progetto.

Questi appalti sono a complemento dell’imponente lavoro che la Nasa ha intrapreso con il programma Artemis per riportare gli astronauti sulla Luna. Il piano è di far orbitare un equipaggio di quattro persone entro la fine del 2024, e di far poi scendere due astronauti sulla superficie l’anno successivo. Però, la tempistica di queste missioni è a rischio a causa dei ritardi di qualifica delle astronavi di Boeing e di SpaceX.

L’annuncio dei contratti della Nasa va però letto anche come una risposta alla sfida lunare con la Cina.

Appena un mese fa, Zhang Hailian, vice capo della China Manned Space Agency, in occasione di un vertice aerospaziale nella città di Wuhan aveva dichiarato che l’agenzia puntava a far sbarcare i suoi taikonauti sulla Luna entro il 2030. La missione, secondo le parole di Zang, è parte di un più ampio progetto per realizzare una stazione di ricerca abitata e svolgere compiti di esplorazione ed esperimenti.

A ciò si aggiunge la recentissima proposta del capo dell’agenzia spaziale russa Roscosmos ai partner del gruppo BRICS – Brasile, India, Cina e Sud Africa – per partecipare alla costruzione di un modulo congiunto per una nuova stazione spaziale orbitale. Il progetto russo prevede una prima fase in cui il nucleo noto come Russian Orbital System (ROS), dovrebbe essere lanciato nel 2027, per poi essere raggiunto da altri quattro moduli entro la fine del decennio.

È quindi fondamentale per gli Stati Uniti tenere alta la tensione della nuova corsa alla Luna. Come sempre dietro la cortina dell’esplorazione e del mito della colonizzazione extraterrestre si manifesta sempre di più una competizione geopolitica per il nuovo ordine mondiale terrestre.

Tornando ai contratti appena assegnati dalla Nasa c’è da notare che quello più corposo, 35 milioni di dollari, è andato alla Blue Origin del miliardario Jeff Bezos, che dal 2021 lavora al progetto Blue Alchemist per studiare come realizzare celle solari e cavi di trasmissione usando la regolite lunare, cioè rocce e terra in situ. Secondi quanto riportato dall’azienda i lavori avrebbero già portato allo sviluppo di un reattore che raggiungerebbe temperature di quasi 3.000 gradi utilizzando una corrente elettrica per separare ferro, silicio e alluminio dall’ossigeno nella regolite. I test, effettuati con un materiale simulante la regolite, avrebbero separato abbastanza silicio per produrre delle celle solari utilizzabili, e in teoria l’ossigeno ricavato potrebbe essere utilizzato per rifornire eventuali serbatoi per gli astronauti.

Si tratta di risultati interessanti perché per rendere praticabile la presenza non solo sulla Luna ma anche nelle orbite cislunari, c’è bisogno di abbondante energia elettrica e la capacità di poter realizzare sistemi energetici direttamente da materiali extraterrestri senza portarli da Terra è la chiave di volta per un concreto sfruttamento delle risorse dello Spazio.

Jeff Bezos ha sempre dichiarato di vedere nel futuro della Space Economy la possibilità di trasportare dalla Terra nello Spazio l’industria pesante ed energivora, e questo approccio si è riflesso nelle attività della Blue Origin che ha dedicato molti sforzi sulle tecnologie per vivere e lavorare in ambiente eso atmosferico.

Qualche mese fa, la società si è aggiudicata un contratto della Nasa da 3,4 miliardi di dollari per costruire un veicolo spaziale in grado di atterrare sulla Luna, ma uno degli elementi chiave della proposta non era l’astronave in sé quanto il modo in cui sarebbe stata alimentata. Per esempio, un item critico su cui Blue Origin si è concentrata è lo sviluppo di un serbatoio di stoccaggio a energia solare per mantenere i propellenti a 20 gradi Kelvin (c.a. -423 gradi Fahrenheit) in modo che i veicoli spaziali possano fare rifornimento nello Spazio invece di tornare sulla Terra tra una missione e l’altra.

Tutto ciò è una chiara indicazione di come Blue Origin stia cercando di posizionarsi come uno degli attori chiave nel supportare la Nasa per realizzare infrastrutture permanenti sulla Luna e intorno a essa, beneficiando dei contratti governativi del programma Artemis per sviluppare sistemi e tecnologie che risulteranno poi utili anche ai propri business futuri, che oggi non vengono esplicitamente dichiarati.

La SpaceX di Elon Musk si è mossa molto più velocemente nello sviluppare razzi e astronavi anche grazie ai lucrosi contratti della Nasa per trasportare gli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale, mentre la Blue Origin è, per il momento, ancora indietro nei sistemi di lancio, ma sta puntando significativamente sulle tecnologie per vivere e lavorare nello Spazio.

Ma nei piani della Nasa non ci sono solo i colossi come SpaceX o Blue Origin, perché diversi contratti di sviluppo sono andati a società più piccole e meno note ma con piani di sviluppo altrettanto ambiziosi.

La Astrobotic di Pittsburgh sta per lanciare un piccolo lander lunare robotico e ha ricevuto 34 milioni di dollari da Nasa per realizzare una linea elettrica in grado di trasmettere elettricità dai pannelli solari di un lander a un rover che si muove sulla superfice lunare. L’obiettivo finale è quello di realizzare una fonte di energia permanente utilizzando pannelli solari sulla superficie.

La Zeno Power vuole utilizzare energia nucleare per alimentare le infrastrutture lunari convertendo il calore generato dai radioisotopi in decomposizione in elettricità nelle aree più critiche; ha avuto un contratto da 15 milioni di dollari dalla Nasa e sta collaborando con Blue Origin.

Un’altra società, la Redwire, si è aggiudicata 13 milioni di dollari per sviluppare un emettitore di microonde in grado di sciogliere la regolite e trasformare insidiosi paesaggi rocciosi in superfici lisce e solide dove poter allunare e muoversi in sicurezza.

Non mancano in Europa e in Italia iniziative interessanti per lo sviluppo di tecnologie abilitanti la presenza umana sulla Luna e nello Spazio. ESA con il programma Moonlight si propone di far sviluppare a imprese private dei servizi di comunicazione e radionavigazione assistita intorno alla Luna; ASI studia in collaborazione con il Politecnico di Milano un sistema per l’estrazione di ossigeno dalla regolite lunare denominato Oracle, Oxygen RetrievalAsset by Carbothermal-reduction in Lunar Environment.

Sono solo alcune tra le varie iniziative in corso in Europa, ma al di là del loro innovativo valore tecnologico permane una sostanziale differenza di fondo tra Usa e Ue nell’esplorazione dello Spazio.

Anche in un contesto di cooperazione internazionale, le architetture di accesso, trasporto e permanenza sono viste negli Stati Uniti come una capacità strategica in termini di sicurezza nazionale e di competizione commerciale. Questa è sempre stata la policy che la Nasa ha mantenuto vis-a-vis delle altre agenzie spaziali.

Nel 2010 poi c’è stato un punto di svolta quando l’amministrazione Obama ha deciso che il governo si basasse prevalentemente su veicoli di lancio e astronavi progettati, fabbricati e gestiti da società private, lasciando che Nasa e Pentagono acquistassero poi i passaggi per i propri astronauti.

La Ue ha colto in ritardo questo cambio di paradigma restando ancorata al modello di cooperazione G2G anche nello Spazio. Vale la pena ricordare che nel 2010 lo scetticismo in Europa sulle iniziative di Elon Musk era prevalente negli addetti ai lavori sia nell’industria che nelle istituzioni.

Questa nuova forma di partenariato pubblico-privato, in cui Nasa fornisce il primo supporto nell’esplorazione, nello sviluppo di tecnologie critiche e nella costruzione di infrastrutture ha preso oggi pieno corpo nel programma Artemis e nelle future stazioni spaziali post-ISS. Ma sarà il settore privato ad assumere sempre di più il ruolo guida nella creazione di nuovi mercati e nell’espansione della presenza umana in orbita lunare e sulla sua superficie, mentre Nasa e Pentagono manterranno ruoli e funzioni chiave per la sicurezza nazionale attraverso il procurement di sistemi strategici e la pianificazione di missioni governative.

Una prova di quanto sopra è accaduta lo stesso giorno in cui la Nasa ha appaltato i contratti lunari alle 11 aziende: Lockheed Martin si è aggiudicata un contratto da mezzo miliardo di dollari per costruire un motore a propulsione nucleare, una tecnologia ambita sia dalla Nasa che dal Pentagono per ridurre notevolmente i tempi di viaggio nello Spazio e per costruire satelliti in grado di manovrare rendendoli più difficili da raggiungere e da colpire. In base al contratto, emesso dalla Nasa e dalla DARPA, l’agenzia del Dipartimento della Difesa che si occupa di tecnologie innovative, Lockheed Martin punterà a far volare un prototipo entro il 2027.

Alla luce di tutto ciò, l’Europa ha davanti a sé delle sfide non tanto – o quantomeno non solo – tecnologiche ma soprattutto strategiche.

Anche nell’esplorazione umana, così come nel settore dei lanciatori, la Ue è rimasta legata al vecchio modello caratterizzato da appalti governativi e approcci industriali monopolistici.

Il modello non sarà perfetto – neanche gli altri lo sono – ma è connaturato nella natura dell’Unione Europea e pensare di modificarlo in maniera repentina per far nascere anche nel continente degli “Elon Musk” nostrani appare velleitario, oltre che di difficile realizzazione se si pensa alla grande differenza del mondo finanziario a capitale di rischio tra Usa e Ue.

Preso atto di ciò, il punto non è tanto cambiare il modello ma adattarlo al mutato contesto mondiale e alle prospettive di medio-lungo termine, per esempio prendendo piena consapevolezza che l’autonomia strategica dell’esplorazione spaziale umana è un tema geopolitico cruciale per l’Europa dei prossimi decenni.

Senza mezzi propri nello Spazio non si è rilevanti, e permanere in un pur legittimo quadro di cooperazione in posizione di dipendenza, può anche essere una scelta politica salvo poi non stupirsi se si viene considerati tali e trattati di conseguenza.

Questioni come i diritti di proprietà dei corpi celesti, la conflittualità geopolitica o la sovranità economica e politica della Ue rispetto alle corporation o alle superpotenze in conflitto tra loro sulla Terra come nello Spazio, sono temi intergenerazionali perché oggi sono visti in un certo modo, ma potrebbero apparire molto diversi tra qualche decennio.

Se l’Europa continuerà a usare gli approcci mentali del passato per valutare l’opportunità di una propria autonomia strategica nell’esplorazione spaziale umana, ne risentirà anche la sua rilevanza geopolitica sul pianeta Terra, perché finirà per dipendere non solo dal governo della superpotenza americana ma soprattutto da un ristretto consesso di imprenditori privati della Silicon Valley dotati di enormi capitali finanziari, con poche o nulle remore etiche e soprattutto onnipresenti nei principali settori commerciali globali, quali la A.I., la mobilità elettrica, il cloud, la logistica e i social media.

E ciò che decidiamo oggi determinerà quello che faremo e saremo in futuro.

Image by Peter Dargatz from Pixabay


×

Iscriviti alla newsletter