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Cambio di direzione. Così Pechino sta perdendo le Fiji

L’accordo di cooperazione securitaria con le Fiji, che Pechino ha utilizzato come modello da replicare con altri Paesi del Pacifico, sembra giunto al capolinea. A causare la sua crisi sono state le ingerenze della polizia di Pechino, considerate troppo alte. E l’affacciarsi dell’alternativa occidentale

La luna di miele securitaria tra le Fiji e la Cina sembra sul punto di terminare. Dopo aver passato più di dieci anni di stretta collaborazione, le strade di Suva e di Pechino sembrano avviarsi ad una separazione. Separazione che culminerebbe nella fine della cooperazione tra le forze di polizia, strumento simbolico dell’attitudine espansionista del Dragone.

Sulla carta, l’accordo firmato dal piccolo Paese insulare e dal grande Paese continentale prevedeva uno “scambio” di personale di polizia per questioni di addestramento e di networking. Tuttavia, come riporta il Washington Post, sul piano pratico questa cooperazione si è tradotta in un “colonialismo giudiziario” da parte delle forze di polizia di Pechino, che dopo il loro arrivo hanno preso il controllo delle attività di polizia locale, agendo come “padroni di casa”.

L’espansione del proprio apparato di polizia (tanto in modo ufficiale tramite accordi internazionali quanto in modo ufficioso, come dimostrato dalla cronaca) è una delle varie forme con cui la Cina cerca di proiettare la sua influenza all’estero. Una forma la cui pericolosità è sottolineata dall’esperta di Pacifico ed insegnante presso la neozelandese Massey University Anna Powles, secondo cui lo sfruttamento della cooperazione tra forze di polizia in quei Paesi privi di forze armate o con strumenti militari molto ridotti rappresenta la formula giusta per “creare un network di sicurezza alternativo attraverso tutto il Pacifico”.

Proprio per questo, il Memorandum of Understanding firmato nel 2011 tra il governo di Pechino e quello di Suva rappresenta un modello per la Repubblica Popolare. Negli anni successivi, il governo guidato da Xi Jinping ha cercato di replicare accordi simili in più di 10 nazioni disperse in tutto l’Oceano Pacifico, seppure con un successo limitato. L’unica eccezione è quella delle Isole Salomone, dove il governo dell’arcipelago ha firmato con il Dragone un accordo di sicurezza simile a quello stipulato con le isole Fiji, e forse ancora più estensivo: secondo alcuni osservatori Pechino potrebbe, in conseguenza di tale accordo, costituire una propria base militare nello strategico arcipelago molto vicino a Papua Nuova Guinea ed Australia.

Tuttavia, il Memorandum rischia di essere smantellato. Dopo aver vinto le elezioni nel Dicembre 2022 il nuovo leader dell’arcipelago delle Fiji Sitiveni Rabuka, noto per la sua postura molto critica nei confronti di Pechino, ha affermato di voler porre fine all’accordo di cooperazione tra forze di polizia. Secondo il neo-eletto leader questo accordo, firmato principalmente grazie agli stretti legami tra il suo predecessore Frank Bainimarama e la Repubblica Popolare, rappresenta una minaccia ai diritti individuali dei cittadini, oltre ad aver ridotto la sovranità dello stato delle Fiji e ad aver promosso il diffondersi della corruzione.

Pechino ha minacciato il taglio dei sostanziosi (solo nel 2021 il loro valore ammontava a 700.000 $) rifornimenti inviati su base costante alle Fiji nel tentativo di scoraggiare la nuova leadership dell’arcipelago, ma l’efficacia di un simile ultimatum sembra essersi rivelata alquanto bassa. Anche perché la posizione di Suva all’interno del sistema internazionale sta seguendo un moto rivoluzionario.

Dopo essere stato a lungo un fedele alleato della Cina, lo scorso anno il governo delle Fiji ha ratificato il trattato noto come “Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity”, la risposta di Washington alla “Belt and Road Initiative” promossa da Pechino. Questo riposizionamento non è legato soltanto a dinamiche interne e all’andamento dei rapporti tra Fiji e Cina, ma ad un generale momento di ripensamento degli Stati insulari del Pacifico sulla loro relazione con Pechino, probabilmente stimolato proprio dal rinnovato interesse statunitense nell’area. La sopraggiunta possibilità di scegliere il partner più adatto a sostenere lo sviluppo locale ha fatto aprire gli occhi sui rischi della collaborazione con Pechino, come dimostra quanto avvenuto nelle Fiji.

In questo momento, Suva sta “revisionando” l’accordo con il Dragone, che nel frattempo è stato messo in stand-by. L’esito non è scontato: alcuni esponenti dell’amministrazione hanno puntualizzato che sono più che disposti a riportare in vigore il Memorandum qualora gli svantaggi per la polizia locale siano troppo estesi. Ma l’apertura di nuove possibilità ad Occidente sembra rendere remota quest’opzione. “Dobbiamo riflettere prima di decidere se tornare indietro o continuare a seguire la strada intrapresa in passato, collaborando con chi ha simili valori democratici e sistemi legislativi, di applicazione della legge e così via” sono le significative parole di Rabuka, che già suggeriscono verso quale direzione le Fiji stiano puntando lo sguardo.



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