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I veri pericoli sulla grancassa populista del “vannaccismo”. L’opinione di Tivelli

Se non fosse partito, soprattutto a destra, uno strano gioco di squilli di trombe e fiato ai vari “tromboni”, in una condizione in cui fra l’altro la sinistra, a cominciare da quella di Schlein e di Conte, ha ben poco da opporre e proporre, quel libro sarebbe già caduto nell’estivo dimenticatoio

Pochi giorni fa ho pubblicato su queste colonne un articolo su quel libro per certi versi, secondo me, un po’ dilettantesco, scritto da un generale, e per altri un po’ improbabile. Concludevo l’articolo, dopo aver citato una attenta analisi dei contenuti del libro formulata da tre esperti, con l’auspicio che sulla vicenda del testo di Vannacci si stendesse un “pietoso velo di silenzio”.

Il mio era solo un auspicio perché non ho certo il potere di incidere su quella sorta di fiera della cicalecciocrazia che si mette in moto in questi casi, tramite il gioco di sponda e di specchi tra certi politici e certa stampa italiana. Altro che “pietoso velo di silenzio”, anzi ci sono non pochi tra i “giornaloni” della destra che stanno suonando la fanfara, erigendo il generale ad una sorta di eroe nazionale del nostro tempo. Prendo ad esempio solo un quotidiano di domenica 27 agosto: La Verità, diretto dall’abilissimo e furbissimo Maurizio Belpietro. Il titolo a 9 colonne cita testualmente: “Mattarella rosica per Vannacci”; mentre il sottotitolo recita addirittura: “La conferma della ‘manona’ del Capo di Stato nella vicenda”. Non mi dilungo su altre illazioni già presenti nei “sopratitoli” di questo giornale. Non spetta certo a me fare la difesa d’ufficio di un Presidente della Repubblica come Sergio Mattarella, sobrio e davvero al di sopra delle parti, che non ha certo bisogno di improvvisati “avvocati difensori”, rispetto ad illazioni così improbabili e grottesche.

Anche se, osservando il fenomeno con logica da analista politico e osservatore esterno, non c’è dubbio che il Presidente Mattarella non ha certo bisogno di cose di questo genere. Per fortuna, almeno finché dura la forma di governo parlamentare, salvo che Renzi vinca la sua ripetitiva battaglia per il “sindaco d’Italia”, o che addirittura i meloniani più spinti vincano quella per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, il Quirinale è ancora l’istituzione in cui più si riconoscono gli italiani (circa il 65% secondo gli ultimi sondaggi). Soprattutto perché il Presidente della Repubblica è l’unica figura istituzionale che incarna al meglio il senso dell’unità nazionale. Ciò che è fondamentale in mezzo ad una classe politica e a classi dirigenti strapiene di divisività, settarismi, cerchi magici, familismi, faziosità, clan e corporativismi.

Mi sento, a questo punto, obbligato a tornare sulla questione, pur avendo auspicato il già citato “pietoso velo di silenzio”, non perché io tema in sé gli effetti del libro del “folgorante” generale Vannacci, ma perché, conoscendo come funziona il gioco di specchi tra certa stampa (e televisione) e certa politica, temo gli effetti del “vannaccismo”, così come a suo tempo, sulla scia della vicenda Delmastro-Donzelli, temevo il “donzellismo”. Ma i rischi del “vannaccismo” sono ben peggiori e maggiori, perché bene o male per il Donzelli di turno ci può essere una brava presidente del Consiglio come Giorgia Meloni che tira il freno a mano di fronte agli eccessi di questi personaggi, mentre il caso del generale è figlio di un fenomeno a spettro ben più largo.

È figlio, infatti, di quella dose mai spenta, e più che mai ravvivatasi nei giorni scorsi, di populismo presente nella società italiana, in certi partiti (non solo in Salvini, per ragioni di concorrenza politica in questa fase) e in certi spezzoni di essi. Un populismo ben miscelato con grandi dosi di dilettantismo ovviamente. Il “top” di questa miscela, in fondo, credevo la avessimo già avuto con il governo Conte 1 della scorsa legislatura. Il rischio oggi è che suonino le sirene e si alzino a 9 colonne le bandiere, si aprano nuovi spazi e nuovi varchi, anche in vista di quella rincorsa già in atto verso le elezioni europee.

In questi frangenti pochi ricordano, come ha evidenziato il Presidente Mattarella al Meeting di Rimini, che questo è il 75° anniversario della Costituzione, e che nella prima parte della Carta, (un po’ dimenticata in questi giorni), sono scolpiti principi indelebili che sanciscono l’importanza dei diritti civili, come nell’articolo 3, secondo cui: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Sembra quasi che pochi ricordino che il vivere comune associato dovrebbe essere basato su questi indelebili principi. Però, con la giustificazione di una sorta di lotta al politically correct (eppure il “politically correct all’italiana” così come è stato malamente importato da certa sinistra non lo ho mai sopportato neanche io) si finisce per aprire varchi mostruosi in queste disposizioni della Costituzione, magari evidenziando, come nel suddetto libro, tipologie di cittadini un po’ meno eguali degli altri per ragioni di orientamento sessuale o aspetti similari.

In sintesi il “vannaccismo”, usato e rilanciato da certi comodi aedi, tromboni e cantori, è molto più pericoloso dello stesso libro del generale Vannacci in sé, che sarebbe stata, invece, una di quelle tante letture marginali che possono capitare a qualcuno, specie in estate. E se poi non fosse davvero infondato quello che sostiene l’ottimo Fabrizio Cicchitto, sulla base di una certa competenza su queste materie, in qualità di ex presidente della Commissione Esteri della Camera, che afferma che dietro al “vannaccismo”, alla luce delle esperienze del generale in questione a Mosca, ci può essere una strana operazione filo-russa e filo-putiniana, che coinvolge qualcuno dei sostenitori politici dell’estrema destra nella “Operazione Vannacci”?

In conclusione, penso che se non fosse partito da vari parti, soprattutto a destra, uno strano gioco di squilli di trombe e fiato ai vari “tromboni”, in una condizione in cui fra l’altro la sinistra, a cominciare da quella di Schlein e di Conte ha ben poco da opporre e proporre, quel libro sarebbe già caduto nell’estivo dimenticatoio.

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