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Problemi di fiducia. Sisci spiega perché la domanda cinese non riparte

Il sinologo commenta per Formiche.net i dati sui depositi a lungo termine della Repubblica Popolare, esempio plastico del calo della fiducia da parte degli investitori domestici. E ne delinea anche le cause

C’è incertezza internazionale sulla Cina, e anche all’interno della Repubblica Popolare stessa la domanda sembra attraversare un momento di crisi. Abbiamo chiesto a Francesco Sisci, esperto di Cina, di darci qualche spiegazione al riguardo.

L’economia cinese fatica a ripartire?

La notizia è questa: nei primi tre mesi dell’anno aziende e privati individui cinesi hanno comprato circa 770 miliardi di dollari di certificati di deposito a lungo termine. Questa è la più grande vendita dal 2015, anno dell’introduzione dei certificati di deposito in renmimbi. Indicatore del fatto che tanto i cittadini quanto le aziende cinesi al momento attuale sono poco fiduciosi nello spendere e nell’investire. Contribuendo così a una contrazione dei consumi. D’altro canto il governo ha approvato nuove misure di stimolo e dovremo vedere nei prossimi mesi che impatto riusciranno ad avere, e se ci sarà un rimbalzo dei consumi.

Ci saranno delle conseguenze sul lato macroeconomico?

Se i consumi non riprendono la Cina potrebbe trovarsi nei prossimi anni nella famosa trappola di liquidità che ha afflitto il Giappone tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 del secolo scorso. La questione è la seguente: Pechino sta ricorrendo a politiche monetarie espansive, immettendo capitale nel mercato, nel tentativo di agire sul lato dell’offerta. Forse la cosa va vista diversamente: è la domanda che non riesce a decollare. Prima facie si vede una sfiducia dei consumatori e degli investitori.

Ovviamente, i dati si fermano ai primi tre mesi, durante il resto dell’anno potrebbero essere rilevati miglioramenti significativi. La Cina ha annunciato una serie di misure di stimolo, il cui effetto non potrà essere verificato se non nelle prossime settimane. Ma questi numeri rimangono comunque un campanello d’allarme. Il problema ad oggi non è la mancanza di fondi, quelli ci sono e vengono investiti in certificati finanziari a lungo termine, quanto piuttosto una certa mancanza di fiducia del mercato.

Mancanza di fiducia e timori che però avranno una causa: quale?

Le cause sono sicuramente molteplici. In primis il crollo del mercato immobiliare, che è stato per 20 anni il driver principale della crescita economica cinese. Sommersi dai debiti e con decine di milioni di appartamenti invenduti, adesso la gente non compra più case. E non sa in cosa investire. Una volta fermatosi il motore immobiliare, non si sa su che altro puntare. Ci sarebbe quello delle infrastrutture, ma questo genere di investimenti ha ritorni bassi in tempi lunghi , motivo per cui esso incide enormemente sul debito pubblico centrale e/o locale degli enti pubblici, che ne sono i principali finanziatori. Quindi esse non possono andare a sostituire il motore edilizio.

Poi ci sono altri due elementi da tenere in considerazione. Uno è il Covid, e l’incertezza che continua ad esserci, nonostante le misure anti-covid siano state rimosse solo alla fine del 2022 (in ritardo rispetto al resto del mondo). Il terzo elemento è la campagna anti-corruzione che Xi Jinping sta portando avanti da più di 10 anni, la quale ha indirettamente spaventato anche il mercato.

Pensa che le tensioni geopolitiche possano aver contribuito in qualche modo?

A quanto detto prima si aggiungono certamente anche le tensioni geopolitiche. Che però forse sono una ciliegina sulla torta: non sono loro l’origine di queste difficoltà economiche. Tutti questi elementi concorrenti potrebbero incidere nel lungo termine. Bisognerà vedere se queste misure del governo centrale avranno un qualche effetto, e come reagiranno eventualmente i mercati.



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