Le manovre militari della Repubblica Popolare nelle ultime settimane suggeriscono un’intenzione cinese di mettere in atto un blocco navale intorno a Taiwan. Una volta realizzato, faciliterebbe moltissimo l’occupazione di Taiwan, scoraggiando allo stesso tempo qualsiasi intervento dall’esterno
Nelle prime ore della mattina di lunedì 6 luglio, il ministero della difesa taiwanese rilascia una nota che riferisce la presenza di 7 navi militari e 24 aerei della Repubblica Popolare orbitare in prossimità dell’isola di Taiwan. Nelle stesse ore, la televisione di stato cinese CCTV trasmette documentari che mostrano i soldati dell’Esercito Popolare di Liberazione pronti per l’invasione dell’isola.
Più una provocazione che un campanello d’allarme: queste prove di forza hanno luogo alla vigilia del viaggio negli Stati Uniti del vicepresidente taiwanese Lai Ching-te. Per Pechino non è una novità sfruttare lo strumento di pressione militare in risposta alle manovre diplomatiche di Taipei: l’aumento delle attività aeronavali intorno all’isola in seguito alla visita di Nancy Pelosi avvenuta nell’agosto del 2022 ne è un esempio conclamato.
Tuttavia, negli ultimi mesi queste “provocazioni” si sono spinte sempre più lontano. Ad aprile, la portaerei Shandong (la prima della flotta dell’Esercito Popolare ad essere costruita in Cina) ha condotto esercitazioni per quasi un mese in un’area dell’oceano pacifico sita a est di Taiwan. Nel dicembre del 2022, simili esercitazioni erano state condotte nella stessa area dalla Liaoning, l’altra portaerei cinese attualmente in servizio.
Così come la flotta cinese, anche l’aviazione ha iniziato a spingersi oltre il suo raggio d’azione standard, spingendosi oltre alla linea mediana dello stretto di Taiwan. Sul rispetto di questo confine vi era un tacito accordo tra Taipei e Pechino, accordo che le frequenti violazioni da parte dei velivoli cinesi hanno fatto venire meno.
Tra aprile e luglio, il ministero della Difesa di Taipei ha registrato attività insolite anche da parte degli Uncrewed Aerial Systems (Uas) di Pechino: non solo questi si sono spinti ben oltre la loro normale area di operazioni, arrivando a circumnavigare l’isola, ma vi è stato anche un incremento nelle attività che varia dal 100% al 300% rispetto ai mesi precedenti.
In base a questa serie di attività e alle loro caratteristiche, gli esperti militari di Taiwan ipotizzano che le manovre che hanno avuto luogo nelle scorse settimane siano parte di un esperimento dell’Esercito Popolare di Liberazione per studiare la fattibilità di un blocco dell’isola. A sostegno di questa tesi vi sono anche i numerosi sconfinamenti da parte della flotta cinese nei tratti di mare limitrofi che rientrano nelle acque territoriali di altri paesi, come il Giappone o le Filippine.
Il controllo di questi tratti di mare sarebbe fondamentale per una corretta riuscita dell’operazione. E, secondo il direttore del think tank taiwanese Institute for National Policy Research Yujen Kuo, tale controllo potrebbe essere facilmente esercitato dalla Cina grazie alle sue due portaerei, a cui dovrebbe aggiungersene una terza entro il 2024, seguita a sua volta da una quarta.
“Poiché la Cina ha già concretizzato la sua espansione marittima nel Mar Cinese Meridionale e nel Mar Cinese Orientale, un suo avanzamento nel Pacifico Occidentale le permetterebbe di bloccare appieno Taiwan da tre direzioni diverse. […] Una flotta di quattro portaerei permetterebbe di stringere la presa su questi tre mari, rendendo il blocco dell’isola un’eventualità ancora più realistica” sono le parole esatte di Kuo.
Questo blocco potrebbe assumere rilevanza in diversi scenari. Esso potrebbe essere finalizzato a un vero e proprio assedio dell’isola, che in questo momento rimane però molto improbabile. Ma potrebbe allo stesso tempo rappresentare un tassello fondamentale per l’occupazione militare: un’invasione lampo dell’isola capace di stroncare rapidamente ogni tipo di resistenza, assieme ad una deterenza “by denial” esercitata dalla flotta cinese dispiegata nei mari antistanti permetterebbe a Pechino di realizzare un fait accompli, neutralizzando quasi completamente ogni possibile velleità interventista di Washington. Lo scenario peggiore per Taiwan stessa, che infatti ha deciso di strutturare la propria strategia difensiva sul modello del “porcospino” proprio per evitare il verificarsi di una simile evenienza.