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La rappresentanza politica è impagabile. Si costruisce con meccanismi e comportamenti

Chi volesse soddisfare la sua voglia democratica di buona rappresentanza, sicuramente intrattenuta anche da Andrea Cangini, dovrebbe porre due veri problemi: le candidature multiple e il requisito di residenza. Il commento di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica. Recentemente ha pubblicato “Il lavoro intellettuale. Cos’è, come si fa, a cosa serve” (UTET 2023)

Che brutto dibattito ha innescato Piero Fassino sventolando il cedolino della sua indennità di luglio 4.718 euro tralasciando tanto l’indennità aggiuntiva che riceve come vicepresidente della commissione Esteri quanto i vari rimborsi spese di viaggi e di telefono. Non è affatto stato un atto di coraggio, come ha scritto Mattia Feltri (La Stampa), e neppure un gesto esemplare di contrasto alla demagogia, come ha scritto qui Andrea Cangini. Dubito, ma posso essere smentito da chi porterà dati attendibili e comparabili, che Fassino (insieme a molti altri) abbia fatto impennare il suo impegno parlamentare per compensare la riduzione del numero dei parlamentari.

Il lavoro parlamentare può essere migliorato con molti accorgimenti nelle mani dei presidenti d’aula e di commissione. D’altronde, l’indennità non è mai stata commisurata alle ore di attività né quelle in sede parlamentare né extra moenia. Poiché, si, è vero che un certo numero di parlamentari (quanti?) svolge attività politica sul territorio: per informare gli elettori? Per tenere rapporti con le associazioni? Per assicurarsi la continuità del sostegno del partito locale? Qualche volta, addirittura, per svolgere effettivamente il suo compito costituzionale di rappresentanza politica, ma è anche vero che tutto questo, oltre ad essere un compito spesso molto gradevole per chi crede nella politica democratica, non è obbligatorio. Non richiede un certo numero di ore di lavoro. Non impone di timbrare il cartellino.

L’opinione di Cangini è che con grande senso di opportunità (questo lo dico io) Fassino abbia voluto affermare la dignità del lavoro parlamentare e porre il problema dei costi della politica. Né l’uno né l’altro mi paiono, da quel che so, e qualcosa so, terreni frequentati dal parlamentare Fassino, dal ministro Fassino, dal segretario di partito Fassino. Insisto su di lui, ma quanto scrivo vale per la grandissima maggioranza degli attuali parlamentari. Infatti, nessuno ha dato seguito alla denuncia di Fassino. Potrebbe, forse essere che in un dibattito stanco Fassino abbia semplicemente voluto soddisfare, non per la prima volta, la sua voglia di protagonismo?

Chi, invece, volesse soddisfare la sua voglia democratica di buona rappresentanza, sicuramente intrattenuta anche da Andrea Cangini, dovrebbe porre due veri problemi: le candidature multiple e il requisito di residenza. In primis, a rispondere dovrebbero essere Ettore Rosato (Italia Viva), relatore della legge che porta il suo nome, triestino, attualmente parlamentare della Campania; Maria Elena Boschi (Italia Viva), aretina, già indefessa sostenitrice delle liste bloccate dell’Italicum, candidata in Calabria e Lazio, parlamentare del Lazio; e, naturalmente, lo stesso Fassino (Partito democratico), torinese, deputato del collegio di Venezia. Sono solo tre esempi, ma significativi.

Non so quanti sono i pluricandidati/e e i paracadutati/e nella XIV Legislatura (incidentalmente, i secondi erano pochissimi nella cosiddetta Prima Repubblica), ma, in nome della rappresentanza politica, della trasparenza e della meritoria lotta alla casta (che si autoriproduce anche grazie alle leggi elettorali di sua invenzione) sarebbe un’ottima azione se loro stessi rivelassero il loro status. Per i rimedi, sono pochi e facili da capire e da introdurre, un’altra volta on un altro contesto prima, spero, di un’altra elezione.

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