Sorprendono alcune critiche di natura tecnica nei confronti del governo. La decisione sugli extraprofitti è una misura presa non tanto per fare cassa, ma per creare un precedente. E lanciare un monito. Affinché le “distorsioni” del sistema non abbiano più a ripetersi. Il commento di Gianfranco Polillo
Una grande levata di scudi a favore delle banche, vittime dell’ultima decisione governativa in tema di tassazione. Era in parte inevitabile, considerato il fatto ch’erano stati violati antichi santuari. Nessuno, però, aveva proferito verbo quando, nonostante l’inflazione e l’aumento dei tassi d’interesse attivi, quelli sui depositi erano rimasti a zero. E quindi depositare i soldi in banca, considerate le spese addebitate, significava, per il risparmiatore, avere un rendimento negativo.
Un costo destinato a sommarsi al peso di quell’inflazione, più del 14 per cento in due anni, che equivaleva ad una tassa patrimoniale solo su alcuni. Probabilmente i meno abbienti, visto che i grandi rentier avevano a disposizione schiere di consulenti in grado di suggerire loro come difendersi dal flagello dell’inflazione. Problema del tutto trascurato da coloro che parlano di discriminazione. Perché le banche e non le grandi compagnie energetiche? Perché – questa la risposta – colpire solo i piccoli risparmiatori e non le grandi fortune finanziarie?
Certo, anche queste piccole formiche, come suggerito da Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Société Genérale, potevano, ad esempio, investire i loro risparmi in Bot a tre mesi per avere un minimo di rendimento. Come avviene in Francia e non solo. Se non l’hanno fatto, peggio per loro. Giustissimo: se fossimo un Paese ad elevato tasso di educazione finanziaria. Ma così non è. La maggior parte dei piccoli risparmiatori ha un rapporto quasi sacrale con la propria banca. Ne succhia i consigli per gli investimenti. Si fida ciecamente della gestione, al punto che cambiare il proprio istituto di credito comporta spesso un piccolo trauma. Fiducia che, negli ultimi tempi, purtroppo è stata, per lo meno, mal riposta.
I tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, per quelle marginali e sui depositi, presso la Bce, dal 10 maggio di quest’anno, sono stati portati, rispettivamente al 3,75, 4,0 e 3,25 per cento a favore degli istituti di credito che chiedono o offrono risorse finanziarie. Quindi le banche sono remunerate se depositano fondi presso Francoforte, ma non scuciono un euro a favore dei propri depositanti. Non è forse questa una “distorsione”? Qual è quell’arbitraggio che, senza alcun rischio, consente di portare a casa un utile del 3,25 per cento? In concorrenza spesso, con l’acquisto dei titoli di Stato del proprio Paese?
La verità è che il cartello delle banche, non solo in Italia, ma in Europa ha funzionato. E ha funzionato a danno dei più sprovveduti. Di chi non ha grande dimestichezza con i riti della finanza. Perché, il più delle volte, non è depositario di una ricchezza tale da richiedere conoscenze più specifiche. Si guardi al modo di operare di quelle strutture. Nessuna concorrenza tra le grandi banche sul fronte della remunerazione dei depositi. Solo un paio di grandi gruppi – uno olandese, l’altro milanese – hanno proposto di remunerare i conti correnti, ponendo tuttavia condizioni sul loro possibile utilizzo. Comunque un passo avanti rispetto al grande deserto circostante. Rispetto al quale ben altri dovevano essere gli interventi. A partire da una “moral suasion”, che non si è manifestata.
Di fronte a problemi di questa dimensione, sorprendono alcune critiche di natura tecnica nei confronti del governo. Si è trattato di una manovra distorsiva: questo il commento più gettonato. Si tassa soltanto il margine di intermediazione, mentre gli utili bancari hanno una natura ben più complessa, in cui le commissioni, ad esempio, hanno un peso ben maggiore. Ma il problema non era tassare il profitto, bensì gli extra ricavi derivanti da una posizione di signoraggio, nei confronti del vasto mondo, senza voce, dei risparmiatori. Una misura presa non tanto per fare cassa, ma per creare un precedente. E lanciare un monito. Affinché simili “distorsioni” non abbiano più a ripetersi.