Mentre un report dell’intelligence americana mette in dubbio l’esito della controffensiva, l’eventualità di un negoziato viene evocata da più parti, con modi e risultati diversi. Ma la guerra non sembra destinata a concludersi presto
Melitopol è ancora lontana. Così lontana che probabilmente l’impeto della controffensiva si esaurirà prima della sua liberazione. Così dicono alcune fonti dell’apparato di intelligence statunitense, parlando in condizioni di anonimato al Washington Post riguardo a un ipotetico report che starebbe circolando in questi giorni: secondo questo documento le forze armate ucraine, nonostante l’accumulo di riserve realizzato appositamente per sostenere l’azione militare attualmente in corso, riusciranno con molta difficoltà a farsi strada attraverso le ben fortificate linee russe, e la loro avanzata terminerà svariate miglia prima di arrivare al centro della città fondata da Caterina II.
La situazione sul campo non è effettivamente delle migliori: mentre le truppe di Kyiv combattono duramente nella regione sudorientale del fronte, intorno al centro abitato di Robotyne, più a Nord le forze di Mosca continuano a lanciare piccole offensive nell’area di Kupiansk, attirando così nella zona preziose risorse umane e militari che le forze armate ucraine vorrebbero impiegare altrove. Secondo alcuni analisti, è stata proprio la frammentazione delle forze a impedire all’offensiva ucraina di ottenere rilevanti risultati: dopo aver subito forti perdite nelle prime fasi dell’azione, dove le dimensioni dei contingenti impiegati negli attacchi era molto superiore, la leadership ucraina ha deciso di cambiare approccio, cercando di sfruttare ogni opportunità di vantaggio relativo a livello tattico; questa metodologia ha ridotto le perdite subite e ha consentito guadagni incrementali di piccole porzioni di terreno, ma ha impedito di realizzare uno sfondamento capace di pesare sul piano operativo. L’utilizzo di una punta di lancia corazzata, pur comportando un maggiore numero di perdite sia di vite umane che di equipaggiamento militare, avrebbe potuto permettere alle forze di Kyiv di rompere le ben fortificate linee nemiche e di “correre” fino a Melitopol, recidendo così la quasi totalità dei collegamenti tra l’entroterra russo e la penisola di Crimea.
In ogni caso, quelle dell’intelligence sono solo previsioni, non dati certi. Ci tiene a sottolinearlo il Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Washington Jake Sullivan: “Negli ultimi due anni ci sono state molte analisi su come la guerra si sarebbe evoluta. Noi stiamo facendo il possibile per sostenere gli ucraini. Non facciamo previsioni perché la guerra, questa guerra, è imprevedibile. Ho fiducia nel coraggio degli ucraini”. Ma i segnali che arrivano dall’Ucraina sono contrastanti.
Con un provvedimento datato 17 agosto, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha esteso per altri 90 giorni la durata della legge marziale, mettendo in dubbio il regolare svolgimento delle elezioni previsto per l’autunno. Un segnale che la fine del conflitto è ancora lontana, ben oltre le prospettive sempre più limitate della controffensiva in corso. In linea con i recenti preparativi degli alleati occidentali, sempre più strutturati per fornire il supporto necessario in una fase “successiva” a quella attuale.
Ma anche sul piano diplomatico, qualcosa si sta muovendo. Dopo che la proposta di Stefan Jenssen, capo di gabinetto del segretario generale Jens Stoltenberg, sulla cessione di una parte di territori alla Russia in cambio del nulla osta di Mosca per una rapida adesione di Kyiv alla Nato è stata fermamente declinata tanto dagli ucraini quanto dai russi, il consigliere di Zelensky Andriy Yermak apre alle negoziazioni, affermando che “la pace e la vittoria” debbano passare per una trattativa finale. Nello specifico, Yermak fa riferimento al piano di pace ucraino (i cosiddetti “10 punti”) che non comporterebbe una discussione diretta tra Mosca e Kyiv, quanto un accordo con gli altri leader mondiali per l’attuazione delle misure necessarie per porre fine al conflitto in corso.
Nonostante una simile prospettiva possa apparire irrealizzabile, il messaggio implicito è che Kyiv sa che soltanto la diplomazia potrà chiudere questa guerra; diplomazia che però dovrà tenere conto dei risultati sul campo. E forse proprio in quest’ottica va inquadrato il rinnovato sforzo ucraino anche al di fuori della linea del fronte terrestre: i numerosi e oramai quasi quotidiani attacchi di droni sia contro postazioni e navi russe nel bacino del Mar Nero, che contro edifici amministrativi siti sul territorio della Federazione Russa, sono modi per esercitare una forte pressione nei confronti dell’avversario, nel tentativo di farlo sedere al tavolo delle trattative con la maggior debolezza possibile. Magari proseguendo con questo tipo di attacchi proprio durante lo svolgimento dei negoziati, amplificando ancora di più l’effetto di una simile tattica. Se questa scelta si rivelerà efficace, però, ancora non si può dire.