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L’Italia fuori dalla Via della Seta? Se Pechino piange, Taiwan gode

Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi

Anche Taipei, con Washington, “sarebbe sollevata” se Roma decidesse di non rinnovare il memorandum d’intesa. Lo scrive in un editoriale il Taipei Times, uno dei giornali più diffusi sull’isola

Anche Taipei, con Washington, “sarebbe sollevata” se Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, decidesse di non rinnovare il memorandum d’intesa Italia-Cina sulla Via della Seta. È quanto scrive in un editoriale il Taipei Times, uno dei giornali più diffusi a Taiwan. “Con tutti i progressi fatti di recente nell’internazionalizzazione della questione dello Stretto di Taiwan e nel miglioramento dei legami con i Paesi dell’Unione europea, il fatto che Pechino controlli le catene di approvvigionamento nel centro dell’Europa è motivo di preoccupazione”, conclude la testata. Prima delle elezioni di settembre, la presidente del Consiglio aveva affidato all’agenzia di stampa taiwanese Cna le sue critiche a quell’intesa, definita un “grosso errore”, che “se mi trovassi a dover firmare il rinnovo di quel memorandum domani mattina, difficilmente vedrei le condizioni politiche”.

Il giornale di Taipei oggi critica l’approccio adottato dall’amministrazione statunitense presieduta da Donald Trump alla vigilia della firma nel memorandum nel 2019 da parte del governo italiano guidato da Giuseppe Conte, a capo dell’esecutivo gialloverde.

“Non c’è bisogno che il governo italiano dia legittimità al progetto di vanità cinese per le infrastrutture”, aveva scritto Garret Marquis, l’allora portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, su Twitter. La Via della Seta “non è un progetto di facciata ed è un errore pericoloso sottovalutarla”, spiega il Taipei Times. “Pur con i suoi difetti, è un meccanismo audace, innovativo ed efficace per promuovere il tentativo del presidente cinese Xi Jinping di sovvertire l’ordine mondiale costituito” tramite investimenti in progetti infrastrutturali nei Paesi partecipanti “per creare una rete commerciale e di filiera che apparentemente va a beneficio di quei Paesi, ma che in ultima analisi consolida il controllo centralizzato dell’intera rete a Pechino”.

A maggio Bloomberg aveva riportato che funzionari del ministero delle Imprese e del Made in Italy guidato da Adolfo Urso, già presidente del Copasir e figura di spicco di Fratelli d’Italia, erano volati a Taipei per valutare il rafforzamento della cooperazione su produzione ed esportazione di semiconduttori. Avrebbero “lasciato intendere nel corso di colloqui privati” che l’Italia “potrebbe essere disposta” a non rinnovare il memorandum d’intesa con la Cina sulla Via della Seta “nel tentativo di assicurarsi un aiuto sui semiconduttori”. Come osservato allora su Formiche.net, al netto dell’interesse che le aziende private taiwanesi possono avere verso il futuro del memorandum d’intesa sulla Via della Seta, la rivelazione di Bloomberg portava con sé un forte messaggio politico di attenzione di Roma verso i destini di Taipei la cui sovranità è minacciata dal Partito comunista cinese che reputa l’isola una provincia ribelle.

In questo senso, ad aprile è stata annunciato l’apertura dell’Ufficio di rappresentanza di Taipei in Italia-Ufficio di Milano, seconda sede di rappresentanza di Taiwan in Italia dopo quella di Roma. Inoltre, dopo l’apertura della nuova tratta Milano-Taipei lo scorso ottobre operato dalla taiwanese Eva Airways e la ripresa a marzo del volo diretto Roma-Taipei tramite China Airlines, nei giorni scorsi Enav (la società che gestisce il traffico civile in Italia) e il fornitore dei servizi alla navigazione aerea taiwanese Anws (Air Navigation and Weather Services) hanno siglato un accordo per la fornitura e l’assistenza di Cronos, un nuovo sistema di gestione delle informazioni aeronautiche. Si tratta di una piattaforma digitale ad alte prestazioni che sarà in uso nelle sale di controllo taiwanesi e accessibile dagli aeroporti e dalle compagnie aeree entro il 2024. Ciò significa soprattutto permettere a Taiwan di aumentare il suo riconoscimento a livello internazionale, come auspicato dal ministro degli Esteri Joseph Wu durante il suo recente viaggio in Europa (gli europei vogliono i chip ma “non sembrano pensare a un quadro più ampio di migliori relazioni con Taiwan, economiche o di altro tipo”, ha detto a Politico).

Più Taiwan, meno Cina è un approccio che l’Italia ha ribadito nella dichiarazione congiunta diffusa da Meloni e dal presidente statunitense Joe Biden dopo il loro incontro alla Casa Bianca. Nel documento viene evidenziato l’apprezzamento americano per l’impegno italiano nei Balcani occidentali e quello, più recente, nell’Indo-Pacifico. Gli Stati Uniti e l’Italia hanno mandato un forte segnale a Pechino, impegnandosi “a rafforzare le consultazioni bilaterali e multilaterali sulle opportunità e le sfide poste dalla Repubblica Popolare Cinese”. Inoltre, i due leader hanno ribadito “l’importanza vitale di mantenere la pace e la stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan, che è strumentale alla sicurezza e alla prosperità regionale e globale”.

Una posizione così esplicita come quella presa dal Taipei Times non è comune. Taiwan resta solitamente distante dalle questioni interne ai Paesi partner, ma quella che riguarda l’Italia e la Cina sta diventando sempre di più un affare internazionale. Da un lato l’interessamento taiwanese, come l’allineamento statunitense, sono fattori di rassicurazione (e protezione) sulla scelta di non rinnovare l’adesione dell’esecutivo Meloni. Dall’altro rischiano di diventare fattori che attirano sempre più attenzione e che pongono Pechino nella posizione di dover reagire (con forza?) alla mossa italiana — pena accettare la defezione e dunque mostrare debolezza.

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