Un recente report svela quanto il sogno elettrico di Elon Musk sia costruito in Cina, tra materie prime e materiali per batterie. Un chiaro esempio di quanto sia complesso il decoupling
Nella settimana che sancisce un altro strappo nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina, con l’annuncio del presidente Joe Biden della firma dell’ordine esecutivo che darà una forte stretta agli investimenti americani in tecnologie critiche per la difesa e la sicurezza nazionale (AI, quantum compunting e semiconduttori), un’altra supply chain rimane al centro della competizione tra Washington e Pechino.
Seppur non siano tra le tecnologie prese di mira, le batterie elettriche (per EV o accumulatori) rappresentano un asset chiave per la transizione energetica e al centro della Bidenomics. Attraverso l’Inflation Reduction Act (IRA) passato ormai un anno fa, l’amministrazione americana punta a rilanciare la manifattura statunitense, cercando al contempo di ridurre l’esposizione lungo la filiera da Pechino.
Una manovra a colpi di sussidi e incentivi pubblici, che prevede anche il coinvolgimento di paesi partner come la Corea e il Giappone, nazioni con un importante presenza nel settore delle batterie e dei materiali (seppur anch’essi integrati nella filiera che gravita intorno alle aziende cinesi). Ma non si tratterà di un’operazione semplice, a partire dal livello di integrazione con la Cina del campione americano per eccellenza in questo settore: Tesla.
Una recente analisi, a partire da informazioni pubblicamente disponibili, condotta da Nikkei Asiain in collaborazione con la società giapponese Fronteo, sulla catena di approvvigionamento di Tesla avrebbe rivelato che quasi il 40% dei fornitori dei materiali utilizzati nelle batterie dell’azienda sono aziende cinesi. L’analisi è stata condotta con l’aiuto di un algoritmo di apprendimento automatico per trovare i dati e le parole chiave associate.
Come si legge nel report, tra le informazioni pubbliche (inclusi i bilanci e i comunicati stampa) sono state analizzate 13.428 aziende che si ritiene forniscano materie prime e materiali per la produzione dei veicoli elettrici di Tesla. Il numero include i fornitori “quinari”, che si trovano a cinque livelli superiori della catena di fornitura.
È interessante notare che la Cina è risultata essere il principale fornitore di materiali per le batterie agli ioni di litio utilizzate nei veicoli elettrici di Tesla. Le aziende cinesi contano per il 39% delle 61 aziende elencate nella categoria “batterie di accumulo” del produttore di veicoli elettrici american. Tra queste aziende figurano Ganfeng Lithium, azienda che produce materiali precursori (tra cui l’idrossido di litio) e che detiene importanti asset minerari all’estero, Novoray, che produce composti inorganici, e Zhejiang Huayou Cobalt, che produce cobalto. Il governo cinese detiene quote di Novoray e Huayou Cobalt, con una partecipazione rispettivamente del 9% e del 12%.
Proprio Huayou Cobalt ha di recente siglato un accordo con LG Energy Solution, produttore coreano di batterie e tra i leader di mercato insieme alla cinese CATL, alla coreana SK Hynix e alla giapponese Panasonic. La partnership prevede la creazione congiunta di due impianti di riciclaggio nelle città cinesi di Nanjing e Quzhou, uno per il pre-trattamento e l’altro per il post-trattamento dei metalli riciclati. Una volta operativi entro la fine del 2024, gli impianti ricicleranno i rifiuti di batterie generati dall’impianto LG di Nanjing e le batterie dismesse raccolte da Huayou. Tra i materiali processati, nichel, cobalto e litio, che verranno riforniti allo stabilimento LG di Nanchino. Secondo gli ultimi dati della società di consulenza sudcoreana SNE Research, LG Energy Solution è la terza azienda al mondo nel settore delle batterie elettriche, con una quota di mercato del 14,5% a livello globale nella prima metà di quest’anno. Un accordo che esemplifica il livello di integrazione verticale delle aziende cinesi: dalla miniera alle batterie a fine vita. Huayou Cobalt è infatti attivo nell’estrazione e commercializzazione del cobalto in Congo.
Nonostante la forte presenza dei fornitori cinesi nelle batterie di Tesla, l’analisi di Nikkei Asia e Fronteo ha indicato inoltre che le aziende statunitensi rappresentano il 22% dei fornitori di Tesla. L’azienda di Musk ha siglato accordi di fornitura a lungo termine con i produttori americani Albemarle e Livent Corporation e l’australiana Liontown Recources. Da un punto di vista complessivo (considerando, dunque, non solo le celle e le batterie), le aziende cinesi rappresenterebbero solo il 17% dei fornitori di Tesla. Ma come è noto, la batterie rappresentano circa il 30% del costo dei veicoli elettrici e l’elemento chiave per determinare il range di guida e le prestazioni complessive.
Mari Yamamoto, direttore di Fronteo, ha osservato che Tesla corra qualche rischio a causa della dipendenza della sua catena di fornitura di batterie dalle aziende cinesi. Il livello di concentrazione elevato espone l’azienda a possibili ritorsioni da parte del governo cinese sulle materie prime, come di recente effettuato con gallio e germanio seppur si tratti di mercato molti diversi rispetto ai battery metals e su per i quali la Cina avrebbe molto più da perdere con una mossa che sconvolgerebbe l’intera supply chain e gli accordi con i grandi produttori di auto.
Vi è tuttavia un possibile rischio anche sul fronte domestico qualora gli sforzi dell’azienda di diminuire la sua esposizione dalla Cina, nonostante la recente visita di Musk ai leader cinesi per avere rassicurazioni a riguardo, non fossero repentini.
Tesla ha infatti avvertito che il credito d’imposta per i nuovi veicoli elettrici di 7.500 dollari che riceve attualmente dal governo statunitense per l’acquisto di uno dei suoi veicoli bestseller, Model Y e Model 3, potrebbe essere ridotto l’anno prossimo. Per riduzione si intende probabilmente un dimezzamento, visto che fino a poco tempo fa i suoi veicoli di base erano equipaggiati con batterie cinesi al litio ferro fosfato (LFP) e potevano beneficiare di questo credito. Tesla ha rielaborato la documentazione sul mix di prodotti, presentata alle autorità federali, per raggiungere la soglia di materie prime di origine straniera che copre i requisiti del credito d’imposta del governo nel corso del 2023.
Nel 2024, tuttavia, la quota di materie prime per batterie che dovrà essere prodotta dagli Stati Uniti o dai Paesi con cui vige un accordo di libero scambio affinché un veicolo elettrico possa beneficiare della metà del credito d’imposta sarà portata al 50%, e le Tesla potrebbero non essere più qualificate. La Model Y e la Model 3 rappresentano la maggior parte delle vendite di veicoli elettrici Tesla negli Stati Uniti e le loro versioni base più economiche utilizzano, come detto, celle LFP acquistati da CATL, il più grande produttore di batterie per veicoli elettrici al mondo e storico fornitore del colosso americano.
È improbabile che la dipendenza di Tesla dalla Cina per le sue batterie possa migliorare nel giro di poco tempo. Ma vi sono alcuni segnali incoraggianti. Dal punto di vista commerciale e della supply chain, l’annuncio di un investimento per costruire, in-house, una raffineria di litio dedicata in Texas è un primo passo per integrare maggiormente il suo business, emulando quanto già stanno facendo molti grandi produttori come Stellantis, General Motors. Dal punto di vista tecnologico, nell’ultimo Investor Day i manager dell’azienda di Musk hanno fatto trapelare i piani di riduzione del consumo di alcuni materiali critici come le terre rare per i magneti nei suoi motori elettrici e il carburo di silicio.
Inoltre, Tesla starebbe pensando di svincolarsi dalle batterie a basso costo provenienti dalla Cina installando una nuova capacità di produzione delle celle di nuova generazione 4680 (basate su catodi NCM 811, nichel-cobalto-manganese) presso le sue gigafactories in Nevada, Fremont e Texas. Questi progetti, tuttavia, non possono essere realizzati da un giorno all’altro e nel frattempo la dipendenza dalla Cina per le batterie dei veicoli venduti negli Stati Uniti rimarrà significativa.