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Il fascino indiscreto della nuova borghesia. La riflessione di Cristiano

C’era una volta quello che il grande regista Luis Buñuel chiamò il fascino discreto della borghesia. È il titolo di un suo film molto famoso. Così la domanda se la borghesia ci sia ancora, se esistano ancora un ceto e una cultura borghese, mi sembra la questione di fondo che emerge dalla vicenda della festa di nozze mancate a Torino. Il commento di Riccardo Cristiano

Ha destato grande attenzione la vicenda della festa a sorpresa d’addio, trasmessa on line per volontà di M. all’insaputa della sua ex, C. Non voglio citare le loro generalità, per me innanzitutto e per il rispetto che si deve comunque, anche se il mio scrupolo vale poco, visto che tutto è noto e che le interviste non sono poche. Ma ciò che mi riguarda è il senso dell’accaduto, non i protagonisti. A lei soprattutto va un dovuto cenno di solidarietà per ciò a cui è stata inconsapevolmente – così leggo – esposta. Il senso è che quel che doveva essere l’annuncio ad amici di un matrimonio dopo anni di convivenza, un annuncio importante tra persone che hanno un ruolo sociale riconosciuto, è divenuto l’annuncio ripreso on line di un addio per tradimento, con indicazioni abbastanza esplicite da parte di lui delle colpe di lei, ovviamente. In tutto questo si è visto poco di edificante, da parte della larga maggioranza dei commentatori, e pochi si sono fatti sviare dalla disponibilità data alla signora così abbandonata a seguitare a lavorare insieme.

I motivi per scrivere di questa vicenda sono pochi, io ne vedo uno. C’era una volta quello che il grande regista Luis Buñuel chiamò il fascino discreto della borghesia. È il titolo di un suo film molto famoso, passato alla storia anche per la scena in cui il padrone di casa dice ai suoi ospiti prima di offrirgli un aperitivo: “Aspettate, adesso vi faccio vedere come non si beve un Martini”, e invita a raggiungerli all’interno della villa l’imbarazzatissimo autista, se ben ricordo Osvaldo, offrendogli un bicchiere con dentro il famosissimo Martini.

È così: la borghesia era una classe ed esprimeva una cultura, non si poteva appartenere alla borghesia se non si sapeva come sorseggiare un Martini. Non era tutto qui il fascino discreto di quella classe sociale con la sua cultura, ma la sintesi sembra degna di un grande regista. Sorseggiare un drink nel giusto modo è parte del giusto modo di rapportarsi agli altri, di appartenere a un mondo che ha le sue regole, le sue conoscenze, le sue norme.

Tutto questo comporta anche modi, conoscenze, relazioni, consapevolezza di alcuni limiti invalicabili, come la forma richiede.

Dunque ne scrivo per chiedermi se il senso dell’accaduto ci debba far chiedere se un mondo borghese esiste ancora. Se esistesse, allora esisterebbero anche le sue regole “borghesi”; il suo “rispetto” borghese, i suoi “modi” borghesi, le sue “falsità” borghesi, le sue “conoscenze” borghesi. Si impara da piccoli a non mettere i gomiti sulla tavola quando si mangia, a non confondere il bicchiere dell’acqua con quello del vino, e quindi a sorseggiare correttamente un Martini.

Tutto questo può piacere o non piacere, ma raramente in una casa borghese si può venire accusate di essere delle poco di buono davanti a tutti. Raramente in una casa borghese si farà riferimento esplicito a colpe o manchevolezze di una padrona di casa. Questo, avrebbe detto qualcuno, lo farà chi non sa sorseggiare un Martini, chi confonde il bicchiere dell’acqua con quello del vino. In pratica chi non ha studiato e accettato le “buone maniere borghesi”. Che le buone maniere siano queste e che le buone maniere siano davvero borghesi, e non quelle contadine, o quelle operaie, o altro ancora, è altra storia. Probabilmente più importante, ma altra. La cultura operaia, la cultura contadina, esistono ancora? Ma torniamo al nostro tema. Questa è una storia borghese? Questo è il punto: o possiamo cominciare a parlare di una borghesia anti-borghese? Qui infatti non si vede un rifiuto della condizione borghese, ma della cultura borghese sì.

La vicenda torinese riguarda infatti ambienti che appaiono appartenere alla cosiddetta “élite”, e questo a mio avviso avrebbe colpito Luis Buñuel, perché gli avrebbe fatto pensare che forse nell’ampia società liquida anche i ceti sociali sono liquefatti. Senza nulla voler dire del protagonista di questa scelta per me insostenibile da tutti i punti di vista, il successo che ha avuto in termini di visualizzazioni mi sembra dare ragione alla deduzione che qui attribuisco a Luis Buñuel: questa vicenda origina, si verifica in ambienti che si definirebbero comunemente borghesi, ma si presenta come anti-borghese.

Nulla di quei modi che chiamiamo ancora oggi borghesi vi appare, anzi quei modi sembrano essere attaccati in pubblico. Se il successo della vicenda ha a che fare con la pruderie, con i dettagli citati nella presentazione del video, con il morboso che in molti di noi fa capolino anche con il desiderio di osservare i protagonisti (soprattutto la donna, ovviamente), il suo senso profondo è che accade in ambienti importanti, ci porta lì dentro, ma non come fossimo l’Osvaldo di Luis Buñuel, goffi e inadeguati ospiti di un ambiente che è più alto del nostro.

Dunque che ambiente ci viene prospettato da questa vicenda? Che senso ha la persona, dalla padrona di casa fino all’ultimo invitato? Per i borghesi sapevamo la risposta, adesso? Adesso il senso va cercato altrove? E dove se non nel web, nel richiamo, nella trovata, nel suo successo. È del poeta (del tempo del web) il fin la meraviglia? Così la domanda se la borghesia ci sia ancora, se esistano ancora un ceto e una cultura borghese, mi sembra la questione di fondo che emerge. Così viene da pensare alle tante fotografie che vediamo sui social, foto di sé e dei propri cari. E il discorso si allarga, come è giusto che sia se si vuol trovare un senso al parlare di questa vicenda che per me, soprattutto, rattrista.



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