Trump all’attacco della Cina, tema che verrà usato da tutti in campagna elettorale perché incontra le visioni degli elettori e può anche essere utilizzato per attaccare il presidente Biden (che per ora tiene una linea istituzionale con Pechino)
Nel giorno in cui i candidati alla corsa presidenziale statunitense si riunivano sulla Fox per il primo dibattito in vista delle primarie, l’ex presidente Donald Trump ha voluto marcare la sua eccezionalità decidendo di non partecipare con gli altri otto contendenti, ma di concedere un’intervista esclusiva messa online da X.
Nella sua chiacchierata con il giornalista Tucker Carlson, Trump ha preso posizioni molto dure bei confronti della Cina. Questo è molto meno eccezionale, visto che come scrive nella sua column Josh Rogin, ogni candidato “ha fissato dei marker per dimostrare che è il falco cinese più duro in circolazione”.
Trump ha toccato aspetti diversi sul tema, mescolando potenziali scelte di potenziali policy con la propaganda più infima (ma spesso più efficace per toccare gli animi di certi elettori). Per esempio, ha accusato il presidente Joe Biden di essere compromesso e di ricevere pagamenti dalla Cina al punto di considerare il democratico un “Manchurian Candidate”. Ma ha anche detto che la Cina ha costruito basi cinesi a Cuba; sostenuto che la Cina stia conducendo un’espansione imperialistica nell’emisfero occidentale; e poi ha parlato del controllo cinese sul Canale di Panama e ha attaccato la produzione cinese di mulini eolici e lavatrici.
Trump ha affermato che se vincerà le elezioni la Cina lascerà Cuba: l’ex presidente ha dato molto peso a questo argomento che si basa sulle indiscrezioni fatte uscire a inizio giugno dal Wall Street Journal sul progetto di costruzione di una postazione militare cinese nell’isola caraibica. Il Pentagono le aveva bollate come niente di nuovo, confermando di essere a conoscenza di certi piani, che però ancora non sarebbero in azione. Trump dice che Biden sta esitando nel tenere una linea dura su Cuba e la Cina (e accennato a complotti). In realtà, come in altre situazioni in questo momento, l’amministrazione statunitense sta dimostrando di avere controllo e consapevolezza su Pechino senza isterie, e nella posizione della Difesa statunitense ci rientra anche la necessità di minimizzare, per lasciar scorrere più fluidamente l’avvio del tentativo di disgelo ancora in corso.
Trump però sa che queste raffinatezze diplomatiche non interessano la sua constituency, ma anzi sono un elemento da sfruttare: ha accusato infatti Biden di ricevere milioni di dollari dalla Cina e per questo di essere poco efficace nell’affrontarla.
Il candidato repubblicano ha anche parlato dell’influenza cinese in America Latina e ha affermato che la Cina controlla attualmente il Canale di Panama, che è diventato estremamente redditizio per Pechino, e che ciò non dovrebbe essere permesso. Due aziende cinesi, la China Communications Construction Company e la China Harbour Engineering Company, hanno (sempre a giugno) rivitalizzato un progetto per la costruzione di quattro ponti sullo stretto inter-oceanico: sin quando ha stabilito le relazioni nel 2017, Pechino ha investito sforzi significativi a Panama e ha fatto progressi importanti nella costruzione dell’influenza, anche se disomogenei, osserva un’analisi di The Diplomat. Quella a Panama è già tra le situazioni altamente attenzionate dai governi statunitensi. Ma al di là delle analisi, Trump ha promesso che, se fosse presidente, la Cina si ritirerebbe e che lo avrebbe fatto in virtù della relazione positiva che ha costruito con il leader Xi Jinping. Ma nonostante essa, per Trump la via migliore per trattare la Cina è l’imposizione di tariffe commerciali all’occorrenza.
La Cina sarà un argomento centrale in Usa2024. È prevedibile un aumento delle accuse e degli attacchi legati contro l’assertività cinese nei prossimi mesi da parte di Trump e degli altri candidati. La questione cinese verrà affrontata dai Repubblicani sia a livello nazionale (accuse di corruzione e attacchi a Biden) che internazionale (espansione cinese nell’area di influenza degli Stati Uniti). Invece Biden potrebbe scegliere una linea più articolata per marcare le differenze e anche perché costretto dal suo impegno istituzionale.
Il governatore della Florida, Ron DeSantis, top candidato dopo Trump, si scaglia spesso contro la Cina nei discorsi elettorali e ha firmato tre disegni di legge per frenare l’influenza cinese nel suo Stato a maggio. L’imprenditore Vivek Ramaswamy ha tenuto un discorso la scorsa settimana alla Nixon Library che ha menzionato la Cina 44 volte. Anche il senatore della Carolina del Sud Tim Scott si sta ora posizionando come un falco cinese. In molti casi si tratta di posizioni concrete, frutto di esperienze pregresse e conoscenze come nel caso della visione espressa dall’ambasciatrice Nikki Haley o dell’ex vicepresidente Mike Pence. In altri sono lanci propagandistici, spesso basati su un’ignoranza generale su alcuni dossier specifici (per esempio Ramaswamy su Taiwan).
“Mentre il GOP (acronimo dei repubblicani, ndr) è diviso sull’Ucraina, essere anti-Cina è universalmente popolare tra i repubblicani, il che spiega perché i candidati sembrano tutti simili su quella questione in questi giorni. Ma è per questo che gli elettori devono guardare più da vicino chi ha una vera esperienza e chi sa veramente di cosa stanno parlando. Questo dovrebbe essere lo standard per il prossimo commander in Chief”, scrive Rogin.