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Le incriminazioni di Trump, il loro peso elettorale e quello politico. Il punto di Spannaus

Secondo il professore statunitense, la messa in stato d’accusa di “The Donald” non danneggerebbe la sua corsa alla nomination repubblicana. Discorso diverso invece per quanto riguarda le elezioni presidenziali del 2024. Il cui esito, dice Spannaus, potrebbe mettere a rischio l’architettura istituzionale del paese

La notizia dell’incriminazione di Donald Trump in relazione ai fatti del 6 gennaio 2020 arriva nel pieno della campagna elettorale per le primarie del Partito Repubblicano. Quale impatto avrà questa vicenda sulla corsa alla nomination per il Grand Old Party, oltre che sulle elezioni presidenziali del 2024? Formiche.net ne ha discusso con il giornalista e docente universitario statunitense Andrew Spannaus.

L’indictment pronunciato nei confronti di Donald Trump non è il primo, e forse non sarà l’ultimo. Cosa comporta quest’incriminazione, anche sul piano elettorale?

Dei tre indictment ricevuti da Trump (a cui presto potrebbe aggiungersi un quarto da parte dello Stato della Georgia), la messa in stato d’accusa da parte della Procura Federale di questi giorni è il più importante dei tre. Più importante perché, riguardando il suo rifiuto del risultato delle elezioni del 2020 e il suo successivo tentativo di cambiarne l’esito, il processo sarà volto a stabilire se Trump abbia effettivamente commesso un reato contro le istituzioni americane. Il procuratore Jack Smith ha buone chance di avere un processo rapido: il tribunale di Washington D.C. dove avrà luogo è infatti un tribunale federale, e le sue tempistiche sono molto più veloci di quelle dei tribunali statali; inoltre, la giudice Tanya Chutkan (assegnata al caso specifico per estrazione, e non per volontà) si è già dimostrata abbastanza decisa nel perseguire le persone coinvolte nei fatti del 6 Gennaio, di cui oltre 300 sono già stati condotti al carcere nello stesso tribunale.

Potremmo quindi assistere a un processo che si concluderà ben prima delle elezioni del 2024. Con la possibilità, in caso di condanna (che al momento risulta essere molto probabile), che Trump vada in prigione.  A livello di gradimento, c’è da dire che Trump non è stato danneggiato troppo dalle incriminazioni. Quella dello stato di New York lo ha addirittura rafforzato. Rimane comunque il frontrunner nella corsa per la nomination repubblicana. Tuttavia, i sondaggi ci dicono che i temi su cui si basa l’ultima accusa sono più seri nella mente degli americani rispetto a quelli della frode fiscale o del caso Stormy Daniels. Anche se Trump riuscirà a tenere a bada gli altri candidati repubblicani, arriverà comunque molto debole alla sfida con i democratici. I dirigenti repubblicani lo sanno, e la cosa li preoccupa.

Qual è la situazione degli altri candidati repubblicani? E in particolare quella di Ron DeSantis, principale concorrente del tycoon?

DeSantis era partito con ottimi presupposti, ma appena ha iniziato la campagna elettorale “effettiva” ha cominciato a perdere punti di gradimento. Questo a causa di alcune sue debolezze come la mancanza di empatia, la sua personalità e la sua scarsa capacità di rapportarsi con gli elettori. Ma anche per una certa indecisione dimostrata nel dibattito pubblico. All’inizio il governatore della Florida si era fatto promotore di una posizione “di mezzo” riguardo al conflitto in Ucraina, per poi tornare indietro, e tornare indietro non è una mossa che aiuta a guadagnare consenso tra la base elettorale. Non sa come gestire Trump. In realtà non è messo così male, occupando saldamente il secondo posto, e se la posizione di Trump dovesse indebolirsi (per fattori esterni alla corsa alla nomination) DeSantis potrebbe avere delle speranze. Dovrebbe anzi insistere sulla narrativa del “Trump non può vincere”. Anche perché se l’ex-presidente venisse condannato dopo aver vinto le primarie (possibilità reale considerando le tempistiche dei tribunali in questo momento) per il Partito Repubblicano sarebbero guai seri.

In tutto questo che ruolo gioca l’ex-vicepresidente di Trump, Mike Pence?

Pence si è trovato costretto a diventare un attore centrale in questo dramma giudiziario, perché nell’atto d’accusa formale viene citato un centinaio di volte a causa del suo rifiuto di fare quello che diceva Trump. Se all’inizio si rifiutava di parlarne, ora ha capito che non è possibile, e fa anzi dichiarazioni nette, affermando che uno che mette sé stesso davanti alla costituzione non può essere presidente. E questo tema è diventato il fulcro della sua campagna elettorale, con tanto di merchandising con incisa sopra la frase “Sei troppo onesto” (parole che Trump stesso avrebbe detto a Pence). Ci sono figure che possono danneggiare Trump nel partito repubblicano, e Pence è una di queste. Così come l’ex-governatore del New Jersey Chris Christie, o l’ex deputato al Congresso Will Hurd. Non mirano a vincere, non possono, ma possono picconarlo. E sebbene da soli riescano a fare poco, i loro sforzi combinati potrebbero portare a dei risultati concreti.

Con il Partito Repubblicano dominato da queste forti fratture interne, qual è la posizione del Partito Democratico? È di pochi giorni fa la notizia che Barack Obama avrebbe avvertito Biden di non sottovalutare Trump e i suoi punti di forza..

Obama sottolinea che bisogna evitare atteggiamenti di sufficienza, pensando che tutti questi problemi che hanno i repubblicani implichino una vittoria certa. In realtà Joe Biden è un candidato debole perché metà del Paese, prima ancora di entrare nella sostanza delle sue politiche, lo considera anagraficamente inadatto per sostenere altri quattro anni di presidenza. Ma Biden è convinto di andare avanti, e finché Trump rimarrà in corsa anche Biden lo farà, al netto di problemi di salute troppo evidenti. In ogni caso, direi che i democratici devono comunque prepararsi ad uno scenario senza Biden. Non sarebbe una cattiva idea avere un piano B, sia nel caso di un ritiro di Biden che di un venire meno della candidatura di Trump.

Il valore dell’incriminazione di Trump non è però solo elettorale, ma anche politico. Trump stesso non è un semplice candidato alla presidenza, ma qualcosa di più.

Gli Stati Uniti corrono rischi strutturali. Per i trumpiani più convinti, che non sono affatto pochi, più Trump viene criticato e incriminato, più si merita il loro sostegno, perché si contrappone all’establishment e lo mette in difficoltà. E questo è un paradosso. Personalmente ritengo che la virata promossa dall’amministrazione Trump in termini di politica industriale, e parzialmente anche quella in politica estera, sia stata salutare per il paese. Ma al netto di questi meriti, il suo ego lo rende una minaccia per il paese. Il fatto che lui stesso non abbia negato le azioni di cui è incriminato ne è una prova eclatante. Per questo le istituzioni devono agire per prevenire un suo ritorno alla presidenza. E sarà necessario farlo capire alla popolazione. In caso di fallimento, si prospetta uno scenario di guerra interna alle istituzioni stesse, caratterizzato da spinte contrapposte: da una parte ci saranno tentativi coordinati (e anche rischiosi) di isolare il presidente, dall’altra si punterà invece ad espandere i suoi poteri al massimo, secondo la dottrina dell’Esecutivo unitario sostenuta da Trump e da altri esponenti repubblicani. Uno scontro molto pericoloso per la tenuta delle istituzioni statali.



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