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In Ucraina, nessun compromesso all’orizzonte. Gli scenari di Bozzo

Il docente della Cesare Alfieri ritiene impraticabile la proposta di compromesso avanzata da un funzionario Nato. Nel conflitto ucraino, entrambi i contendenti hanno risorse sufficienti per portare avanti una guerra d’attrito. Ben oltre gli orizzonti temporali di breve periodo

Il 15 di agosto, un alto funzionario della Nato (Stefan Jenssen, capo di gabinetto del segretario generale Jens Stoltenberg) ha affermato che l’Ucraina potrebbe rinunciare ad una parte dei suoi territori in cambio di un nulla osta di Mosca per il suo accesso alla Nato. Affermazione contestata poche ore dopo tanto da esponenti ucraini quanto da funzionari russi.

Secondo lei la situazione sul campo sarebbe abbastanza matura per un compromesso del genere?

La situazione sul campo, per quanto complicata, è chiara e definita nelle sue linee essenziali. Quella a cui stiamo assistendo è una guerra d’attrito che non dà segni di potersi concludere nei mesi a venire. Nella guerra d’attrito le parti coinvolte consumano le proprie risorse militari, politiche, e morali, fino a che una di esse non arriva al punto di cedimento. Nel caso specifico abbiamo da un lato una grande potenza regionale con una demografia, un’industria militare e una tenuta morale e politica tali da permetterle di continuare a combattere a lungo una guerra “localizzata”; dall’altro, un “piccolo” paese che per combattere questa guerra dipende dal sostegno, e in particolare dalle forniture militari, dei paesi membri della Nato e di quelli allineati alle posizioni dell’Alleanza, ma tenace nel continuare la lotta finché questi canali logistici rimangono attivi. Nessuno dei due contendenti sembra sul punto di cedere. Nel corso di questo conflitto, Henry Kissinger ha dichiarato in molteplici occasioni che secondo lui l’unico modo di porre fine alle ostilità in tempi relativamente brevi fosse il compromesso, con Kyiv che dovrebbe rinunciare alla Crimea e negoziare con mosca una forma di autogoverno e di tutela delle minoranze russe negli Oblast del Donbass, se non una loro cessione alla Federazione Russa. Le parole del funzionario Nato riprendono quest’idea. Ma al momento non credo che ci siano le condizioni per una soluzione simile. Soprattutto da parte ucraina.

Quali fattori farebbero sì che il governo ucraino non possa optare per una soluzione “diplomatica”?

Per il governo ucraino non è possibile accettare, almeno sulla carta, qualsiasi esito del conflitto che non porti a una restituzione di tutti i territori occupati, compresa la Crimea. Che il governo ucraino adotti questa posizione non pare sorprendente: cos’altro potrebbe dire il presidente Volodymyr Zelens’kyj ai suoi cittadini, dopo un anno e mezzo di sacrifici, morte, e distruzione? In questo senso le dinamiche sono le stesse della Prima Guerra Mondiale, quella che forse è la guerra d’attrito per antonomasia. Entrambe le parti in causa devono individuare obiettivi abbastanza gratificanti per l’opinione pubblica da convincerla a continuare a sostenere questo gravoso sforzo. Per questo è difficile credere che Kyiv possa accettare un compromesso, così come lo è pensare che Vladimir Putin possa “accontentarsi” di uno ritorno allo status quo. Inoltre, ci sono altri stati della Nato, come la Polonia o i Paesi baltici, che vedrebbero nel raggiungimento di un compromesso tra i due paesi, il quale lascerebbe una parte dei territori occupati sotto il controllo russo, una forma di “precedente” in grado di legittimare nuove avventure imperialiste di Mosca. Finché entrambe le parti sono capaci di proseguire in questo sforzo, sarà difficile arrivare a una soluzione mediata.

Quanto pesa, nella situazione da lei descritta, l’andamento delle operazioni militari? E in particolare quello della tanto sponsorizzata controffensiva (che in realtà è più un’offensiva vera e propria) ucraina?

Gli Ucraini hanno dato prova di grande tenuta morale, che assieme alle forniture militari occidentali ha permesso fino a oggi di sostenere lo sforzo bellico. La controffensiva non sta dando l’esito sperato, anche perché si è verificato un importante passaggio da difesa ad attacco, con tutti i cambiamenti del caso: all’attaccante spetta infatti di prendere l’iniziativa, di trovare luogo e tempo adatti per sferrare l’attacco, e di concentrare risorse sufficienti per sfondare le linee difensive che i russi hanno rafforzato nei lunghi mesi passati. All’inizio del conflitto, lo svantaggio stava tutto a carico dei russi, ora le cose sono parzialmente cambiate, ma non capovolte completamente: un esempio è la resistenza della popolazione civile, che le forze di Mosca continuano a soffrire pesantemente mentre quelle di Kyiv non sono minimamente toccate da questo fenomeno. Ma è evidente a questo punto che i risultati sono carenti. E in Occidente comincia a serpeggiare l’inquietudine, mentre ci si chiede quanto a lungo potremmo continuare a sostenere lo sforzo ucraino, e quanto l’Ucraina stessa sarà in grado di andare avanti.

L’esaurimento di questa controffensiva in un nulla di fatto potrebbe portare a una situazione favorevole per il negoziato?

Sono scettico sul fatto che, quando l’offensiva ucraina si esaurirà (perché tutte le offensive si esauriscono o raggiungono l’obiettivo prefissato, dando spesso adito a una controffensiva nemica), e se lo farà con esiti non soddisfacenti, Kyiv decida di trattare. Finché i canali di supporto politico e militare occidentali rimangono aperti, si può sempre pensare di accumulare risorse per una nuova offensiva. Come abbiamo fatto noi italiani nelle prime undici battaglie dell’Isonzo. E al contrario nostro, non credo che l’Ucraina sia esposta al un rischio di una Caporetto. Per questo sarebbe difficile che l’Ucraina si mostri più disponibile a cercare una soluzione diplomatica al conflitto al termine dell’attuale slancio offensivo.  Il vero fattore chiave in grado di spingere Kyiv a intavolare una trattativa è un fattore esterno. L’Ucraina è totalmente dipendente dalle forniture di materiale occidentale; è vero, anche la Russia viene rifornita di materiale militare dall’Iran, e con molta probabilità anche da Corea e Cina, ma lo squilibrio tra le due parti è plateale, sia in termini qualitativi che in termini quantitativi. Bisogna vedere quanto la Nato sia disponibile ad andare avanti a rifornire Kyiv di materiale costoso, lento da produrre e difficilmente sostituibile, che viene impiegato contro minacce “economiche”. Finché si usano sofisticati sistemi Patriot per abbattere “semplici” droni, è ovvio che le scorte tenderanno ad esaurirsi in un batter d’occhio. Se la Russia ha elasticità nella produzione militare-industriale, nella Nato la situazione è ben diversa.

Non sembra che la Russia stia dando segni di cedimento militare.

Non al momento, perlomeno per quello che possiamo vedere dall’esterno. Le previsioni abbastanza azzardate dei mesi scorsi sulle scarse capacità di tenuta della Russia si sono rivelate infondate. Certo, la Federazione Russa ha speso molto in termini di materiale umano e di equipaggiamento. Abbiamo anche assistito al crollo del rublo, e indubbiamente le sanzioni internazionali mordono, ma la Russia sta dimostrando di poter tenere duro ancora a lungo. Anche perché la Russia è erede di quell’Unione Sovietica che fu definita, a mio avviso molto correttamente, come un paese che “non aveva un complesso militare-industriale, ma era esso stesso un complesso militare-industriale”. Non a caso, la Russia di oggi vive di esportazioni di risorse naturali e di materiale militare. Putin e la sua élite dirigente hanno dato prova fino ad oggi di un’ottima capacità di tenuta.

Quale potrebbe essere allora il punto di svolta nel conflitto ucraino?

Se non si giunge a qualche soluzione intermedia come quella prefigurata, in cui in cambio della fine degli sforzi militari entrambe le parti rinuncino ad alcune delle loro pretese, il conflitto andrà avanti erodendo lentamente le risorse di entrambi fino a che non ci verificherà un collasso dell’apparato militare-industriale, o piuttosto un collasso politico. Torniamo alla Prima Guerra Mondiale per avere due esempi. La Germania imperiale (così come quella nazista 20 anni dopo) non uscì sconfitta dal conflitto per minori virtù militari, anzi, ma per una sopraggiunta insostenibilità economica e demografica del conflitto dovuta all’esaurimento delle proprie risorse, inferiori in termini relativi a quelle dei propri avversari. Viceversa, la Russia uscì dal conflitto per un collasso politico interno, dovuto in parte (se non soprattutto) ai costi della guerra. Queste sono le possibilità, ma dire oggi quale di queste si realizzerà risulta alquanto difficile. Lo stallo in corso nel conflitto ucraino fa sì che entrambi continuino a sostenere perdite umane e materiali elevatissime, ma finché uno di questi fattori non peserà in maniera decisiva è difficile che si possa giungere al collasso di un belligerante o alla volontà di entrambi gli attori di intavolare una trattativa per arrivare alla pace, o quantomeno a un cessate il fuoco in stile coreano.

Nessuno dei due contendenti sta cercando, anche lontano dalla linea del fronte, di forzare la mano all’altro per portarlo a negoziare in una posizione di debolezza?

Certamente. L’Ucraina sta tentando di far capire alla Russia che può portare il confronto a un nuovo livello, e lo fa mandando i droni contro i grattacieli di Mosca. I russi fanno qualcosa di comparabile ma non di analogo, colpendo le infrastrutture civili e i civili ucraini, con lo scopo di infliggere all’Ucraina danni e sofferenze così pesanti per spingerla ad accettare un compromesso vantaggioso per Mosca. E anche all’esterno si gioca una partita analoga: quando si cominciano ad addestrare piloti ucraini con gli F-16 si sta comunicando al Cremlino di pensare a chiudere questa guerra, prima che entrino in campo nuovi sistemi d’arma difficili da gestire. È un gioco pericoloso, che spaventa e preoccupa tutti, e soprattutto i paesi della Nato, perché prefigura la possibilità di un’escalation che non avrebbe altro che conseguenze negative per tutte le parti, direttamente o indirettamente, interessate.



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